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Bruce Springsteen a Roma, amore infinito

Bruce Springsteen a Roma, amore infinito

18 Luglio 2016 0 Di Francesca Pierpaoli

Il concerto di Bruce Springsteen al Circo Massimo si conferma un evento unico per i 60.000 spettatori, con quasi 4 ore di show

Un grande concerto. Anzi un grande evento, quello che ha regalato Bruce Springsteen al Circo Massimo ai 60.000 fan accorsi da tutta Italia. A 67 anni suonare per 3 ore e 50 come solo lui fa trasforma il tutto in un’esperienza quasi mistica. Del resto, nel 1974 il critico musicale statunitense John Landau, dopo aver visto la performance di uno sconosciuto artista, scrisse nella sua recensione: “ho visto il futuro del rock and roll il suo nome è Bruce Springsteen”. Da quel momento in poi il Boss ha rappresentato per intere generazioni non solo il futuro, ma soprattutto il presente del rock. Roma è solo l’ennesima conferma che il leone ruggisce ancora, con rinnovato vigore, teso, carico, energico.

Alle ore 20.20 il rocker del New Jersey sale sul palco tra il pubblico in delirio spalleggiato dalla fedele, mitica E-Street Band e, a sorpresa, dall’Orchestra Sinfonietta con la quale attacca la meravigliosa “New York City Serenade”, struggente brano del 1973. Siamo solo all’inizio, ma il pubblico è già rapito, visibilmente commosso. Neanche il tempo per riprendersi dalla forte emozione, che Springsteen, urlando “daje Roma” accende i motori e sprigiona tutta la potenza della sua E-Street Band lanciandola a tutta velocità verso una cavalcata travolgente attraverso la storia del rock and roll. Di seguito partono “Badlands” del 1978 e la sorprendente “Summertime Blues”, una hit degli anni 50 di Eddie Cochran. La E-street band sembra un fiume in piena, non si può fermare.

Arriva il momento di “The Ties that Bind”, “Sherry Darling”, “Jackson Cage”, “Two Hearts”, “Independence Day” e “Hungry Heart” tutte dall’album The River, del 1980, che ha dà il nome al tour mondiale del Boss. A questo punto Bruce rispolvera “Boom-Boom”, cover di John Lee Hooker che lo stesso Springsteen aveva suonato per la prima volta nel “Tunnel of love express tour” del 1987 e subito dopo si esibisce in un indiavolata “Detroit Medley”, una delle richieste del pubblico, seguita da “You Can Look” un altro rock and roll tratto da The River, ormai diventato un classico. Il pubblico è in delirio, percorso da una scarica di adrenalina allo stato puro. Molto bello è vedere a fianco dei fan di vecchia data, tanti, tantissimi ragazzi, in grado di intonare a memoria tutte le canzoni, nonostante siano brani che hanno più di 30 anni. Ennesima conferma che l’amore verso questo artista rimane invariato a dispetto del tempo che passa, e che le sue tematiche da “working class hero” sono ancora attuali.

Dopo la recente “Death to my Hometown” arriva il momento forse più toccante di tutta l’esibizione. Un silenzio irreale accompagna la chitarra acustica con la quale Springsteen intona “The Ghost of Tom Joad” con una dedica speciale agli operai, ai più soli e dimenticati.

“Ovunque ci sarà un poliziotto che picchia un ragazzo, ovunque ci sarà un neonato affamato che piange, ovunque si combatterà contro l’odio e il sangue, ovunque ci sarà qualcuno che lotta per conquistare un posto dove stare, per avere un lavoro decente o una mano che lo aiuti, ovunque ci sarà qualcuno che lotta per la libertà, mamma guarda nei suoi occhi e vedrai me“.

I cavalli di battaglia di Springsteen si snocciolano come granelli di un rosario, durante una liturgia a cui i fedeli partecipano con immenso trasporto e passione. Arriva il momento di “Tougher than the Rest” in cui duetta con la moglie Patti Scialfa e l’immancabile “Because the night”.  Improvvisamente lacrime e sospiri percorrono l’intero spazio del Circo Massimo e nel silenzio più assoluto, Springsteen dedica alle vittime dell’immane tragedia di Nizza la sua “Land of Hope and Dreams”.

Terminato il giusto e doveroso raccoglimento, “Jungleland”  e una tiratissima “Born in the Usa” in versione elettrica fanno da preludio ad una nuova festa. Ed ecco allora in una sequenza mozzafiato “Born to Run”,  l’inno a tutti i “vagabondi nati per correre” per inseguire un sogno, “Ramrod” e “Dancing in the Dark”, con la quale il palco si trasforma in un happening continuo. Poi è la volta du “Tenth Avenue Freeze-Out”  con il toccante ricordo del sassofonista ed amico Clarence Clemmons e di Danny Federici, due membri della E-Street Band scomparsi tempo fa.

Ci si avvia verso la fine, con una lunghissima e gioiosa versione di “Shout”, un altro hit degli Isley Brothers con il quale Bruce conclude la festa. Tutto il Circo Massimo sembra impazzito. Al ritmo incalzante della musica il pubblico balla, canta, salta. E’ l’apoteosi finale. Mentre i ragazzi della band salutano ed abbandonano il palco, Bruce si trattiene ancora e congeda il pubblico romano con una “Thunder Road” in versione acustica. Poi le luci si spengono. Grazie Bruce, per mantenere sempre vivi i sogni, per accendere la speranza e per donarci la tua energia e la forza inesauribile delle tue liriche. Roma ti ama.

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