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Corte dei conti europea: ecco le sfide legate ai finanziamenti da paesi extra-UE

Corte dei conti europea: ecco le sfide legate ai finanziamenti da paesi extra-UE

05 Maggio 2021 0 Di Tommaso Corno

La Corte dei conti dell’Unione Europea ha pubblicato un’analisi sui finanziamenti provenienti da paesi extra-UE: fra Brexit e gestione dei contributi ai singoli Stati membri, le istituzioni europee non sono a corto di sfide.

 

Il report della Corte dei conti europea sui finanziamenti da paesi esterni all’UE

L’Unione Europea non è un circolo esclusivo volto all’estromissione di chi non vi faccia parte da qualunque forma d’iniziativa. Quale sarebbe altrimenti il beneficio per paesi come Liechtenstein, Svizzera o Norvegia – tutti  circondati da Stati membri dell’UE – nel non aderire al progetto comunitario?

 

Sono svariati i programmi europei che coinvolgono paesi extra-UE, espandendo gli orizzonti della cooperazione internazionale e del mercato unico. Un esempio su tutti è Erasmus+, l’evoluzione del programma Erasmus attraverso il quale l’UE promuove mobilità e cooperazione per i giovani europei (e non solo). Al budget da oltre 26 miliardi di euro, doppio rispetto a quello del predecessore, contribuiscono anche i paesi candidati all’ingresso nell’UE (Albania, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia e Turchia) insieme ai potenziali candidati (Bosnia-Erzegovina e Kosovo), i quali hanno versato un totale di 842 milioni nel periodo 2014-2019 per potervi aderire.

 

Sebbene il tema dei finanziamenti da parte di paesi terzi non sia mai stato al centro dell’attenzione nelle istituzioni europee, nonostante questi contribuiscano per l’1% alle entrate totali dell’UE,  la loro importanza è stata recentemente messa in evidenza dalla Corte dei conti europea. Quest’ultima ha recentemente pubblicato un’analisi che presenta al pubblico il quadro generale relativo a questi finanziamenti, evidenziandone rischi e sfide per il futuro.

 

Dall’analisi della Corte emerge che ad attirare una somma cospicua di fondi stranieri è il programma “Orizzonte 2020”, attraverso il quale l’Unione Europea finanzia e promuove la collaborazione nella ricerca e nell’innovazione. Oltre tre miliardi e mezzo di euro da paesi non membri dell’Unione, la maggior parte dei quali provenienti da Svizzera ed Israele, sono stati versati al bilancio dell’UE nel corso di 5 anni (fra il 2014 ed il 2019) per finanziare il progetto.

 

Ma non tutti i soldi versati da paesi al di fuori dell’UE a beneficio degli Stati membri rientrano nei sette miliardi presenti nel bilancio comunitario. Sia la Svizzera che il SEE (Norvegia, Islanda e Lussemburgo), i quali congiuntamente costituiscono l’EFTA (European Free Trade Area), contribuiscono anche in maniera diretta nei confronti di singoli paesi europei.

I finanziamenti svizzeri sono basati su un memorandum d’intesa con l’UE, e rappresentano conseguentemente un versamento autonomo volto a “sostenere la transizione democratica dell’Europa centrale ed orientale”. Il contributo è infatti destinato nella sua interezza ai paesi dell’Est europeo, ed i fondi (1,2 miliardi di euro dal 2007) sono destinati al sostegno di settori quali la tutela dell’ambiente e la promozione della crescita economica.

Similmente, anche le sovvenzioni del SEE si concentrano principalmente nei paesi dell’Europa orientale, in aggiunta al Portogallo. Queste sono versate agli Stati membri come contropartita per la partecipazione al mercato interno (un concetto valido, seppur informalmente, anche per la Svizzera), per un totale di 2,8 miliardi di Euro dal 2014 suddivisi in 96 programmi concentrati su ricerca ed innovazione, sviluppo della società civile, ambiente ed energia, inclusione sociale e giustizia.

 

Gestione dei finanziamenti diretti e Brexit: ecco le sfide chiave per le istituzioni europee

Seppur mirati alla promozione dello sviluppo sociale e della democrazia nei paesi più fragili dell’UE, sono proprio questi fondi diretti a rappresentare la prima delle sfide identificate dalla Corte dei conti.

Sebbene il versamento di contributi direttamente agli Stati membri sia il frutto di un accordo politico con le istituzioni europee, sono gli Stati beneficiari stessi a svolgere la loro attuazione attraverso due distinti quadri normativi. La Corte dei conti ha identificato il rischio di un doppio finanziamento delle azioni intraprese dagli Stati membri, in quanto questi ultimi potrebbero, in alcuni casi, beneficiare sia dei contributi in questione che dei fondi previsti dal bilancio UE.

La sfida per l’Europa diventa quindi quella di “soddisfare la necessità di un coordinamento efficace, al fine di massimizzare la complementarità”, un’impresa piuttosto complessa data l’esclusione delle istituzioni UE dal processo di supervisione dei contributi.

 

La seconda grande sfida che l’Europa si trova ad affrontare ha a che fare con la Brexit. Il recesso del Regno Unito dall’UE, infatti, porta con sé la necessità di stabilire i princìpi per definire la partecipazione inglese ai programmi europei, oltre alla possibilità di rinegoziare la partecipazione degli altri paesi terzi coinvolti.

Ad oggi la maggior parte dei contributi viene calcolata attraverso una proporzionalità fra il Pil dei singoli paesi extra-UE ed il Pil europeo. Si tratta di un meccanismo incerto, che non rispecchia pienamente la partecipazione al progetto e richiede una gestione decentrata, la quale non garantisce coerenza nel calcolo dei contributi.

 

Le sfide identificate dalla Corte non sono indifferenti: a seguito della Brexit, la proporzione di entrate da paesi terzi nel bilancio UE è destinata a salire. Il quadro presentato nell’analisi sembra parlare chiaro: non si tratta solo di un’opportunità per cambiare, ma di una necessità di adattarsi ad un contesto in continua evoluzione, dove una fonte finora poco considerata degli introiti europei è destinata a crescere in volume ed importanza, e di conseguenza dovrà essere gestita con maggiore efficienza e sicurezza.

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