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Elezioni del 4 marzo 2018, un solo sconfitto: Matteo Renzi

Elezioni del 4 marzo 2018, un solo sconfitto: Matteo Renzi

29 Dicembre 2017 0 Di Marino Marquardt

Dopo che il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere, da oggi sarà campagna elettorale fino alle elezioni del 4 marzo 2018. Dalle urne uscirà un solo sconfitto: Renzi.

Elezioni del 4 marzo 2018, un solo sconfitto: Renzi

Ieri il Presidente della Repubblica ha sciolto le Camere, e le prossime elezioni politiche sono fissate per il 4 marzo 2018. Da oggi, 29 dicembre 2017 al 2 marzo 2018 – ultimo giorno di campagna elettorale – è rush verso Palazzo Chigi. Esattamente 63 giorni di annunci, mistificazioni, insulti e menzogne certificate. E’ il prezzo della campagna elettorale affidata alle mani e alle lingue di noti Quaquaraqua, è il costo della democrazia pret a porter, è la condanna per uomini e donne costretti a seguire loro malgrado la commedia politica. E alla fine – c’è da scommettere – dalle urne usciranno tutti vincitori e un solo sconfitto: Matteo Renzi.

Campagna elettorale ufficialmente aperta, dunque. Fa seguito a quella già in corso da mesi.

E’ rumorosamente in campo il Frodatore di Arcore, lo stesso che quando va in tv stringe tra le mani fogli di carta piegati formato A3 a mo’ di coperta di Linus; è al momento discretamente defilata Giorgia Meloni; è nervoso Matteo Salvini combattuto come è tra il mandare a quel paese il Pregiudicato alleato o scendere a patti sulla parola col medesimo; si guarda intorno e attende dritte e consigli Pietro Grasso alla prima esperienza da leader politico; mostra padronanza della scena e sembra un consumato mestierante Luigi Di Maio; appare con le armi spuntate e spoglio della proverbiale arroganza e protervia Matteo Renzi, il segretario del Pd che ha sfasciato il partito e che ha regalato il Rosatellum all’amico Silvio con il marchio di qualità del ragionier Ettore Rosato, noto statista triestino.

Inutile dire che Renzi uscirà dalle urne come il grande sconfitto. E – a guardar bene sondaggi alla mano – sarà anche l’unico sconfitto.

Tutti i già citati, in un modo o nell’altro e grazie al Rosatellum, avranno infatti modo di andare orgogliosi dei propri risultati. L’ex Capo Scout di Rignano invece potrà consolarsi soltanto con una anonima poltrona da senatore. Da generale a soldato semplice, insomma. Un ridimensionamento che lo relegherà a valletto – vedrete – nella affollata corte di Arcore.

La Boschi diventerà il simbolo della fine del renzismo

In questo scenario, ha ragione Marco Damilano, il direttore de l’Espresso, quando afferma che Maria Elena Boschi è destinata a diventare il simbolo della fine del renzismo. Anche lei ha peccato di protervia. Per tirarsi fuori dai guai e dal chiacchiericcio forse sarebbe bastato non mentire al Parlamento e ammettere il proprio interessamento per la banca di cui il padre era vice presidente.

Non lo ha fatto pensando che il potere di cui al momento disponeva la legittimava anche a mentire. Errore fatale. E ora rischia di diventare il capro espiatorio di una intera stagione politica fallimentare, una stagione incentrata sulla ulteriore precarizzazione delle fasce sociali deboli del Paese.

Boschi a parte, resta comunque il fatto che Renzi e i suoi devono ancora fare i conti con i fallimenti di un’intera strategia politica. Strategia a cui non hanno mai trovato una alternativa valida. Eccessivamente compromessi con troppo potere nel raggio di pochi chilomentri quadrati del territorio toscano, quelli del Giglio magico (Renzi, Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai).

Troppo potere all’ombra di soldi, banche, affari di famiglia, cappucci, grembiulini e compassi. Un bulimico provincialismo – insomma – che ha fatto prima da rampa di lancio e poi da tomba del renzismo.

E ciò a prescindere dai guasti caratteriali dei personaggi. Accade quando deliri di onnipotenza offuscano le menti…

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