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Fallimento Borsalino, il mito rischia la fine per il no del tribunale

Fallimento Borsalino, il mito rischia la fine per il no del tribunale

19 Dicembre 2017 0 Di Pietro Nigro

Potrebbe essere la fine di un mito della moda italiana: il Tribunale di Alessandria ha detto no alla richiesta di concordato per Borsalino.

Borsalino dichiara fallimento

Borsalino: più che un marchio, più che un’azienda, è la storia della moda italiana e un mito dell’eleganza. Ma ora, dopo che il tribunale di Alessandria ha respinto l’istanza di concordato preventivo presentata dall’imprenditore svizzero Philippe Camperio, che gestisce l’azienda, quel nome, icona dell’eleganza per uomini e donne di ogni epoca, status sociale e latitudine rischia di passare definitivamente alla storia.

Borsalino è l’azienda che per 160 anni ha creato cappelli di feltro ed è stata fondata nel 1857 dal leggendario Giuseppe, che tutti chiamavano Siur Pipen, che per ben sette anni ha lavorato in un cappellificio parigino per imparare i segreti del mestiere e diventare Maestro cappellaio per poi tornare in patria e arpire il suo cappellificio insieme al fratello Lazzaro.

La leggendaria storia dell’azienda riporta anche il curioso episodio in cui il siur Pipen, a Londra, è andato a rubare il segreto industriale dei famosi produttori di bombette, la catramatura, ottenuta immergendo furtivamente il suo fazzoletto nel prezioso e misterioso liquido.

Da allora, avviata la produzione industriale, Borsalino produce cappelli di altissima qualità, ottenuti con un procedimento produttivo sofisticato che prevede fino a cinquanta passaggi diversi e sette settimane di lavoro, prima di arrivare in uno dei dieci punti vendita monomarca che l’azienda possiede in Italia o in quello diParigi, o in una delle centianaia di boutique e uno a Parigi, oltre ad essere presente nelle boutique e negli stores di tutto il mondo.

Per decenni ha prodotto e venduto cappelli che hanno contribuito non poco a trasformare in simbolo chi li indossava. Tanto per citare a caso, Alain Delon, Jean-Paul Belmondo, Humphrey Bogart, James Cagney, James Stewart, Fernandel, Jude Law, Federico Fellini, Francois Mitterand, John Belushi, Michael Jackson, Al Capone, Robert Redford, Marcello Mastroianni, Johnny Depp, Leonardo Di Caprio, Denzel Washington, Justin Timberlake, Kate Moss, Nicole Kidman, Naomi Campbell, John Malkovich e tanti altri, che nella vita o sullo schermo hanno indossato un Borsalino e lo hanno trasformato in mito.

A mettere in crisi lo storico marchio, la gestione a dir poco disinvolta di un finanziere d’assalto, quel Marco Marenco, originario di Asti ed ex “re del gas” imputato per la maxi bancarotta fraudolenta delle sue undici società ed accusato di aver lasciato debiti per almeno tre miliardi di eruo verso le banche e verso il fisco. Imprenditore che, tra l’altro, aveva rilevato a inizio anni Novanta anche la Borsalino di Alessandria.

Coinvolta dal crack, anche la Borsalino va in sofferenza, e il Consiglio di amministrazione, in difficoltà con i pagamenti di stipendi e fornitori, chiede al Tribunale di dichiarare il concordato preventivo. Si tratta delle procedure per salvare l’azienda cercando una transazione bonaria con i creditori per evitare il fallimento e tentare di proseguire l’attività d’impresa.

A tentare il salvataggio dell’azienda e del marchio arriva una cordata di imprenditori e investitori guidata dall’italo svizzero Philippe Camperio, che nel 2015 partecipa e vince la gara internazionale indetta per trovare gestori qualificati e credibili. Nel maggio di due anni fa, dunque, Campero affitta un ramo dell’azienda attraverso il fondo Haeres Equita e avvia il percorso che avrebbe dovuto portarlo al pieno controllo della Borsalino.

Un primo alt del tribunale al concordato arriva nel dicembre dell’anno scorso, quando è stato avviato un secondo tentativo. Nel maggio scorso, la presentazione di un nuovo piano industriale, che questa mattina è stato definitivamente bocciato, aprendo la via a un definitivo fallimento. Resta dunque molto incerta la sorte del marchio, anche se non è chiaro se i curatori fallimentari possano proseguire il contratto di affitto del ramo di azienda o tentare di cederlo con una nuova gara.

Se saltano anche questi eventuali altri tentativi, l’azienda rischia di chiudere definitivamente. E il mito del cappello passera alla storia.

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