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LA SCUOLA CHE VERRÀ. Riflessioni a margine

LA SCUOLA CHE VERRÀ. Riflessioni a margine

12 Giugno 2020 0 Di Vittorio Zenardi

Il punto di partenza della ricerca è da rintracciarsi nell’idea che la conoscenza dello stato dell’arte sull’uso del digitale a scopo educativo sia fondamentale per: informare le education policies rispetto alle scelte strategiche di indirizzo nel digitale a scuola; alimentare la riflessione sul modello di educazione atteso; affrontare le sfide del XXI secolo. 

LA SCUOLA CHE VERRA’. Riflessioni a margine

di Stefania Capogna, Professore Associato e Direttrice del Centro di Ricerca Digital Technologies, Education & Society, Link Campus University e Responsabile Osservatorio Educazione Digitale AIDR

“Digital Culture for Educational Organizations. Guidelines for Teachers and Education Agencies”  (1) è l’esito conclusivo della ricerca svolta nel triennio 2016-2019 per la realizzazione del Progetto DECODEDEvelop COmpetences in Digital Era. Competenze, buone pratiche e insegnamento nel XXI secolo”. Progetto realizzato all’interno di una Partnership strategica nel campo dell’istruzione, nel quadro di un progetto Erasmus + KA2 (2016-1-IT02-KA201-024234). (2)

Obiettivo principale di quel progetto era la volontà di avviare un confronto circa la reale sperimentazione/incorporazione delle ICT nelle pratiche didattiche, con l’intento di entrare nella black box dello spazio educativo per comprendere in che modo il digitale trasforma il sistema di relazioni attraverso cui si sviluppa il contesto e il processo di crescita e formazione personale.

Il punto di partenza della ricerca è da rintracciarsi nell’idea che la conoscenza dello stato dell’arte sull’uso del digitale a scopo educativo sia fondamentale per: informare le education policies rispetto alle scelte strategiche di indirizzo nel digitale a scuola; alimentare la riflessione sul modello di educazione atteso; affrontare le sfide del XXI secolo. Sfide che ci chiedono di confrontarci seriamente e criticamente, senza pregiudizi, con il senso e il valore delle tecnologie digitali per la formazione integrale dell’uomo e per il rinnovamento dei processi organizzativi e produttivi spinti dalla rivoluzione dell’industria 4.0.

Il progetto si è chiuso a fine agosto 2019 e i principali esiti della ricerca sono stati resi disponibili mediante uno spazio on-line dedicato (http://decode-net.eu/), dal quale è possibile accedere a tutti i materiali prodotti.

Anche se in fondo sono passati solo pochi mesi, sembra essere un’era glaciale, a seguito della forzatura imposta dal lock down dell’emergenza Covid 19 alla scuola e all’università. Ma proprio per questo è necessario prendere le distanze dalla ‘sbornia’ digitale che tutto il sistema educativo (e non solo) ha subito, per ripensare in maniera critica i problemi irrisolti, e mai del tutto compresi, che la didattica a distanza ha soltanto evidenziato e aggravato.

Il progetto DECODE mirava a ricostruire anche in chiave comparativa:

• gli usi, le metodologie e le più diffuse pratiche in uso tra i docenti di scuola di ogni ordine e grado, nella valorizzazione e integrazione delle Tecnologie dell’Apprendimento e della Conoscenza (TAC);

• il quadro di competenze e bisogni formativi che caratterizzano la professionalità docente nell’era digitale, al fine di supportare le decisioni strategiche in tema di formazione, aggiornamento e accompagnamento in servizio;

• i profili di competenza emergenti, sollecitati dai cambiamenti osservati all’interno del nuovo paradigma educativo.

Un percorso, questo, che si chiudeva con un’azione di formazione-intervento, con l’ambizione di attivare un ‘apprendimento trasformativo’ e “comunità di pratiche”, fondate sulla valorizzazione della prassi riflessiva, dell’auto-valutazione, della co-valutazione e del peer learning; perché la professionalità docente non si acquisisce una volta per tutte ma si coltiva lungo tutta la vita.

A valle dell’emergenza Covid 19 e lo spostamento on-line di tutte le attività che fino a pochi mesi fa sembravano impossibili, se non quando irregolari, fermarsi a guardare la situazione di partenza sembra essenziale, per evitare il rischio di “sdoganare” il digitale come panacea per tutti i mali, attraverso la banalizzazione dell’azione educativa, e la perdita di senso della prospettiva olistica e sistemica di una relazione fondativa per il soggetto e per la collettività.

Il progetto ha cercato di favorire una migliore conoscenza rispetto all’utilizzo del digitale nelle pratiche professionali e didattiche, con l’intento di intercettare, condividere, valorizzare e disseminare le buone pratiche presenti nelle scuole, per attivare processi virtuosi di innovazione dal “di dentro”, e dare voce e riconoscimento a chi la scuola la fa tutti i giorni, con passione e dedizione.

Questo lungo percorso di ricerca giunge al termine con la pubblicazione finale che ripercorre le tappe più salienti del lavoro svolto, con l’intento di delineare fattori di somiglianza e differenze, punti di forza e di debolezza, prospettive di sviluppo e minacce, che pesano sul mondo della scuola, nel confronto con la sfida digitale. La prospettiva che ha accompagnato l’analisi è di natura descrittivo-interpretativa, con l’intento di comprendere le tensioni che abitano la quotidianità dell’agire educativo, accompagnare la ricerca di nuove soluzioni e identificare suggerimenti utili per i “naviganti”, ai diversi livelli. Non un lavoro punitivo, né la ricerca di colpevoli da sacrificare o responsabilità da distribuire ma uno sforzo di conoscenza delle pratiche quotidiane, al fine di sostenerne il cammino verso le nuove sfide che ci attendono.

Rimandando al sito di progetto per ogni approfondimento, ci si concentrerà in questo breve contributo su una rappresentazione di sintesi che tratteggia lo stato dell’arte pre-Covid. E, sebbene siano in molti a dire che tre mesi forzati di didattica a distanza hanno fatto più di dieci anni di investimenti e di formazione, non si può ignorare lo stato di partenza e i problemi di sistema su cui l’emergenza si è innestata.

I risultati delle ricerche nazionali, infatti, hanno evidenziato alcuni ”limiti”, che risultano trasversali alle politiche dei diversi paesi partner del progetto: mancanza di una visione e di un quadro nazionale unitario a sostegno delle digital policies; assenza di un coordinamento nazionale in tema di innovazione digitale, accompagnato da una frammentazione delle responsabilità e delle competenze, e non solo in relazione alla scuola; difficoltà a valorizzare esperienze virtuose e a uscire da una logica stop and go legata ai progetti; endemica carenza di investimenti sul versante scuola; difficoltà nel cogliere le reali esigenze di accompagnamento per Dirigenti Scolastici e insegnanti, su come il digitale possa trasformare l’organizzazione scuola e il patto educativo tra scuola-studenti-famiglie-territorio.

L’integrazione delle tecnologie digitali nell’ambiente e nel processo di insegnamento-apprendimento non si limita, come è stato fatto in una situazione di inusitata emergenza, al mero trasferimento, all’interno di ambienti on-line, delle tradizionali attività realizzate in aula, bensì necessità di una ri-progettazione culturale e didattico-organizzativa complessiva. Sebbene l’accessibilità rappresenti un vincolo dirimente da cui non si può prescindere, non si migliora la qualità dell’insegnamento-apprendimento, semplicemente investendo sulla dimensione tecnica. Il ruolo di mediazione degli educatori (insegnanti, genitori, adulti di riferimento), e la loro alleanza rispetto al fine/valore educativo, è più importante che mai, come anche l’esperienza della sospensione delle attività ordinarie ha dimostrato. Ma l’azione educativa, e le relative scelte didattico-metodologiche, non possono avvenire nel vuoto, sulla base di principi astratti, ma devono dialogare con l’eredità (legacy) determinata dai fattori sociali, economici, culturali e locali, e devono partire dai bisogni e dalle risorse presenti nei contesti in cui si è chiamati ad ‘agire’ l’azione educativa. E se alla scuola è chiesto di creare un piano d’azione, identificare obiettivi verificabili da raggiungere, predisporre meccanismi per il monitoraggio, la valutazione e la garanzia della qualità, è anche vero che la sua “micro-politica” di istituto, si muove in un quadro di governance a configurazioni variabili e a doppia polarità, cioè tesa tra livello centrale e livelli intermedi, all’interno della quale il margine di autonomia ad essa riconosciuto, non sempre corrisponde allo spettro di responsabilità che le vengono attribuite. Motivo per cui è necessario ricomporre il quadro delle diverse responsabilità per dirigersi in modo unitario verso un obiettivo comune.

La rilevazione svolta mediante la ricerca DECODE ha interessato complessivamente 2652 docenti che hanno partecipato, a titolo volontario e gratuito alla survey on-line (Italia: 937; Spagna: 693; Romania 401; Finlandia: 366; Regno Unito: 255). Le domande del questionario hanno teso a esplorare quattro aree principali: pratica quotidiana dell’insegnamento in relazione all’equipaggiamento tecnologico fornito dalla scuola; l’uso concreto delle tecnologie e delle risorse personali nella pratica professionale e nell’insegnamento quotidiano; il patrimonio di esperienza e abilità dei docenti; le esperienze più rilevanti. Punto di riferimento essenziale è stato il Digital Competence Framework for Educators (DigCompEdu), attraverso cui i docenti coinvolti hanno potuto auto-valutare le proprie competenze digitali. Senza entrare nel dettaglio degli esiti di ricerca, sintetizziamo in questa sede solo gli elementi che ci sembrano maggiormente in linea con la sfida del momento, focalizzando in particolar modo l’attenzione sulla situazione italiana. A questo proposito, ci si soffermerà sugli esiti dell’analisi statistica, per identificare i profili dominanti attraverso cui si esprime la teaching agency nel confronto con il digitale. Sulla base della popolazione di rispondenti è stato possibile distinguere tre profili.

Il profilo 1 (cluster 1: 295 docenti) si distingue per un uso residuale delle ICT nella pratica didattica, pur avendo competenze digitali e ricorrendo alle tecnologie per uso professionale e personale, esse non vengono incorporate nelle pratiche didattiche, se non, appunto, in maniera residuale. L’orientamento dominante rispetto al modo in cui si approccia in questo caso l’interfaccia digitale sembra incentrato sull’interazione basata su una logica trasmissiva dell’informazione/contenuto; mentre sembra mancare un uso specifico nella sua funzione di mediatore della conoscenza, a supporto e integrazione della funzione trasmissiva operata dal docente.

Il profilo 2 (cluster 2: 277 docenti) si contraddistingue per un uso prevalente delle tecnologie digitali di base, con particolare attenzione a promuovere attività creative e partecipative. Se si guarda alla modalità di utilizzo delle ICT nella loro funzione di interfaccia che consente di estendere la nostra capacità di azione/interpretazione e conoscenza, sembra emergere un orientamento guidato dal valore attribuito all’interazione e alla relazione, anche ai fini dell’apprendimento; alla dimensione riflessiva volta al self-empowerment, e all’accesso/costruzione di nuova conoscenza. La differenza non la fa la tipologia di risorse tecniche utilizzate ma la metodologia e gli obiettivi formativi con cui essa viene adottata.

Il profilo 3 (cluster 3: 228 docenti), infine, si caratterizza per un uso prevalente di tecnologie digitali avanzate. In questo caso, la rete è vissuta principalmente come “luogo” per lo sviluppo del sé e delle occasioni di svago, con una tendenza a utilizzare le risorse digitali per promuovere attività collaborative a fini didattici.

Gli esiti complessivi del lavoro hanno fatto emergere la presenza di una ‘innovazione a doppia velocità’ e il perdurare di una tensione contrapposta tra innovazione e tradizione. Da una parte si osserva la tendenza all’adattamento da parte del corpo professionale delle strategie e delle pratiche consolidate; dall’altra il tentativo di sperimentare soluzioni innovative, costruire nuove conoscenze e sviluppare nuove competenze.

E’ evidente che l’emergenza degli ultimi mesi si è innestata in un sistema che, seppure con molti ritardi e difficoltà, non partiva da zero. Motivo per cui, nel giro di poco pur con tutti i problemi da più parti ricordati, si è riusciti a ricreare una parvenza di processo minimo di trasmissione della conoscenza, perdendo inevitabilmente le altre due funzioni essenziali cui concorre la scuola nella formazione della persona: la dimensione della soggettivazione e quella della socializzazione, essenziali per l’affermazione del sé individuale e collettivo.

Quello che possiamo imparare da questa ricerca, anche per tentare di progettare una nuova normalità post-Covid, è che nella maggioranza dei casi rappresentati, in tutti i paesi coinvolti, l’apprendimento rispetto all’uso della tecnologia digitale in ambito didattico avviene mediante percorsi di auto-socializzazione, giocati principalmente in contesti informali, all’interno di comunità professionali, spesso virtuali, o radunate attorno a progetti, obiettivi e valori comuni, dando evidenza di esperienze virtuose disseminate a macchia di leopardo e che faticano a fare sistema e massa critica. Al contempo, i risultati della ricerca mostrano la difficoltà di intercettare quella componente del corpo insegnante meno propenso a frequentare spazi/comunità di social networking per lo sviluppo professionale, e che si sente meno a suo agio all’interno di ambienti di apprendimento on-line. E’ questa una componente, dunque, che rischia di vivere in solitudine il suo ruolo, e non avere sufficienti occasioni di accrescere le proprie competenze e la propria professionalità. Infatti, la professionalità dell’insegnante non si esaurisce nell’acquisizione di conoscenze e capacità meramente disciplinari, né all’interno del limite fisico della classe e dell’armamentario rituale e scenico che accompagna una tradizionale lezione frontale in aula. All’insegnante è sempre più richiesto di:

  • progettare ambienti e percorsi di scoperta e costruzione della conoscenza;
  • gestire ambienti e processi di apprendimento personalizzati, individualizzati e disarticolati, che si rivolgono a una platea di studenti che porta alla scuola (grazie ai processi di scolarizzazione di massa) una mole di richieste e problematiche irrisolte, nemmeno immaginabili solo vent’anni fa;
  • praticare l’arte di una valutazione empowering che consenta a ciascuno di attivare le proprie risorse personali per l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile da agire nello scenario delle sfide poste da uno sviluppo globale e sostenibile;
  • acquisire conoscenze e competenze nella gestione della comunicazione interpersonale, di gruppo, organizzativa e di processo, anche all’interno di ambienti digitali;
  • ricordare che tutto questo non serve a nulla se l’atto educativo non si innesta sulla relazione Maestro-Allievo. Non l’asettica e impersonale relazione docente-discente, ma quella autentica e profonda, fondata sul riconoscimento empatico dell’altro, e per questo sempre unica e diversa.

Tutto questo non è sostituibile con la DaD, e con nessuna tecnologia digitale, ma la buona notizia è che non è in contrapposizione con essa. E’ possibile assumere, ciò che di buono il digitale può offrire, di volta in volta, in base alle specifiche esigenze che ogni soggetto/contesto porta con sé, all’interno di questo portato valoriale-metodologico.

Per concludere, quindi, il problema non è se l’insegnante sappia utilizzare o meno le tecnologie digitali nella pratica didattica, quanto, piuttosto, ripensare e ricomporre i percorsi di socializzazione terziaria essenziali nella formazione dell’habitus e dell’ethos professionali che dovrebbero distinguere l’insegnamento, a tutti i livelli, nel terzo millennio. E’ banale e ingeneroso ridurre le difficoltà del momento ai problemi della scuola. La scuola non è un soggetto astratto e indefinito. La scuola è una ‘comunità di co-responsabilità’, siamo tutti noi, ciascuno di noi, ciascuno con il suo ruolo di privato e pubblico. Ciascuno a difesa del valore di una scuola, e di una professione, dedicata alla cura delle nostre risorse migliori, i nostri figli, i nostri giovani che sono il presente su cui investire. E’ per questo che non ci può essere riapertura della scuola, né investimento sulla DaD, che possa prescindere da una rinnovata cultura della “rete”, in grado di ricreare nei territori – e non solo – reti stabili (scuola universitaria-società civile-locale e istituzioni nazionali), e coltivare capitale sociale, al fini di indirizzare il progetto educativo verso i cambiamenti imposti dalla rivoluzione digitale che ci impone nell’immediato, e nel prossimo futuro, sfide ben più ampie che la DaD. 

NOTE

1) La pubblicazione di cui si dà conto è la sintesi del lavoro di un team ben più ampio a cui hanno partecipato, a diverso titolo, studenti e colleghi. A ciascuno di loro, e dei docenti che hanno avuto la pazienza di partecipare alla ricerca con le loro testimonianze e la compilazione della survey on-line, vanno i più sentiti ringraziamenti.
2) I partner del progetto sono stati: Fondazione Link Campus University (FLCU); Centro di ricerca CRES-IELPO, Dipartimento di Scienze della Formazione – Università Roma Tre; ANP Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (Italia); UOC, Universitat Oberta de Catalunya (Spagna); Omnia, la Joint Authority of Education e Regional Center di Espoo (Finlandia); IES, Institutul de Ştiinţe ale Educaţiei (Romania); Aspire International (Regno Unito).
3) Per quanto riguarda il caso Italia sono pervenuti 935 questionari completi e su questi è stato possibile effettuare l’analisi multivariata.

 

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