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Riforma della Costituzione: cittadini messi spalle al muro

Riforma della Costituzione: cittadini messi spalle al muro

21 Novembre 2016 1 Di Rita Dietrich

Referendum, italiani costretti a trasformarsi in costituzionalisti per comprendere una riforma della Costituzione difficile e piena di lacune. 

Riforma della Costituzione, un referendum complesso

Riforma della Costituzione, se al referendum del 4 dicembre si vota Sì, riduci il numero dei parlamentari e le relative spese ed acceleri il processo di votazione di una legge, ma rischi una riforma imprecisa e criticata dagli stessi costituzionalisti, Se si vota No, mantieni lo status quo, si rientra fra i sostenitori del Governo anche se non si approva il suo mandato e il suo lavoro, ma soprattutto si viene minacciati di aver perso la possibilità di apportare modifiche alla Costituzione considerate necessarie da un’ampia maggioranza di politici e magistrati per snellire molti procedimenti legislativi. Insomma questo referendum mette i cittadini con le spalle al muro, costretti a scegliere anche questa volta il male minore.

Per molti costituzionalisti l’errore di questa riforma della Costituzione sta alla base, poiché mischia giudizi politici di parte a scelte che invece dovrebbero essere condivise dalla maggioranza assoluta dei cittadini e dei loro rappresentanti politici (motivo per il quale esiste il referendum costituzionale).

Ciò dipende dal fatto che la nuova legge è partita come iniziativa governativa, visto che riporta la firma di due ministri, e che con sei passaggi al Parlamento sia passata con maggioranze risicate nonostante i compromessi.

Tutto ciò crea molta confusione, e visto che una riforma della legge principale e fondamentale della Repubblica italiana non si può fare con la pancia, impone ai cittadini di essere consapevoli delle conseguenze di ambedue le scelte.

Riportiamo quindi il testo del referendum:

Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?

Nel seguente articolo analizzeremo in modo più approfondito i quesiti del referendum, incominciando dai primi due: fine del bicameralismo perfetto e riduzione dei parlamentari.

Bicameralismo perfetto addio

Oggi il sistema costituzionale prevede il cosiddetto “bicameralismo perfetto”, che significa che i due rami del Parlamento (Camera e Senato) concorrono con gli stessi poteri e funzioni ad emanare le leggi (potere legislativo generale): Camera e Senato sono due organi identici, con le medesime funzioni e poteri.

La riforma della Costituzione, con il superamento del bicameralismo perfetto (o “paritario”) prevede che la Camera dei Deputati sia la sola titolare del potere legislativo generale, mentre il Senato, trasformato in “Senato delle territorialità”, non parteciperà più al potere legislativo generale, bensì, attraverso la nuova versione dell’articolo 70 della Costituzione, parteciperà, in concorso con la Camera dei Deputati, solo alla emanazione delle leggi più importanti:

  • quelle che riguardano i rapporti tra Stato, Unione Europea e territorio,
  • leggi costituzionali, revisioni della Costituzione,
  • leggi sui referendum popolari,
  • leggi elettorali,
  • leggi sulla Pubblica Amministrazione,
  • leggi su organi di Governo, sulle funzioni specifiche di Comuni e Città Metropolitane.

Con la nuova riforma il nostro sistema diverrebbe più simile a quello di Gran Bretagna, Germania e Francia, dove i due rami del Parlamento che non hanno i medesimi poteri e funzioni.

In Francia e Germania, ad esempio, il “Senato” (lì si chiamano in modo diverso) è la Camera di riferimento degli enti territoriali (esattamente come vorrebbe la riforma da noi), con la relativa elezione dei membri di appartenenza “indiretta”, vale a dire non da parte dei cittadini elettori, bensì dagli stessi enti territoriali, al loro interno (in Gran Bretagna, addirittura, la Camera dei Lords ha una composizione per eredità e casta).

Secondo quanto previsto dalla riforma, il Senato non avrà quindi più la funzione e il potere legislativo generale. Se vorrà intervenire potrà chiedere alla Camera, entro 10 giorni e su richiesta di 1/3 dei suoi componenti, di modificare una legge.

La Camera potrà decidere di accogliere o ignorare le modifiche eventualmente suggerite, e votare il disegno di legge. Il Senato avrà comunque il potere di proporre progetti di legge alla Camera a maggioranza assoluta.

Sempre come conseguenza del mutato carattere e funzione del Senato della Repubblica, questo non sarà più chiamato a votare la fiducia al governo (lo farà solo la Camera dei Deputati, essendo l’unico organo parlamentare eletto direttamente dal popolo, presso cui risiede, e continuerà a risiedere, la sovranità del Paese) e non avrà più competenza su indulto, amnistia ed autorizzazione a ratifica trattati internazionali.

A causa di tutto quanto sopra spiegato, in caso di vittoria del Sì, verrà riformata anche l’elezione del Presidente della Repubblica: verrà sempre eletto da Camera e Senato in seduta comune, ma, essendo il Senato la “camera delle regioni”, non parteciperanno al voto i delegati regionali; diminuirà, inoltre, il quorum per la sua elezione, a partire dal quarto turno.

Infine, il Presidente della Repubblica potrà sciogliere solo la Camera dei Deputati, e non più anche il Senato (sempre perché il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento sarà solo tra il primo e la Camera dei Deputati).

La riduzione del numero dei parlamentari

A differenza di precedenti tentativi di riforma della Costituzione, che prevedevano la riduzione dei componenti di entrambi i rami del Parlamento (seppur in numero complessivamente inferiore), la riforma di cui si discute prevede e dispone la riduzione, dai 315 attuali (più i senatori di diritto ed a vita), a soli 100 senatori. La Camera resta invariata. 95 senatori saranno eletti in modo “indiretto” dal territorio (i cittadini che saranno chiamati alle elezioni comunali e regionali eleggeranno anche i consiglieri/sindaci che saranno poi designati Senatori dai rispettivi Consigli; per maggior chiarezza, le modalità di elezione “indiretta” dei senatori dovrà essere regolata da una successiva e distinta legge ordinaria: la Costituzione non regola le leggi elettorali) e 5 eletti dal Presidente della Repubblica che decadranno alla fine della legislatura; con la riforma non ci saranno più senatori a vita (solo gli ex presidenti della Repubblica).

Il Senato sarà composto da membri eletti tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio, senza il limite dei 40 anni di età, e godranno dell’immunità parlamentare – come i deputati –  durante il loro mandato; non avranno alcuna indennità (da qui una diminuzione delle spese della politica: si eliminano 215 indennità per i senatori, con tutti i vari orpelli a corollario delle indennità): l’eventuale rimborso delle spese potrà essere deciso dall’organo a cui apparterranno (il Senato). Ma, sostanzialmente, l’emolumento dei nuovi senatori sarà esclusivamente quello di consigliere regionale, o di sindaco, al quale non si cumulerà quello da senatore.

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