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Silvio Pellico e i detenuti del Don Bosco di Pisa

Silvio Pellico e i detenuti del Don Bosco di Pisa

12 Ottobre 2016 0 Di Enrico Zini

Il garante dei detenuti Alberto Di Martino ha presentato lunedì 3 ottobre alla seconda commissione consiliare permanente del comune di Pisa “il resoconto per gli anni 2014-2015 e 2015-2016”.

Pisa, ecco la situazione al carcere Don Bosco

Un carcere di transito, molto sovraffollato, inadeguato, e privo di trattamenti di recupero: è la fotografia del Don Bosco di Pisa presentata alla seconda commissione del Consiglio comunale di Pisa dal Garante dei detenuti Alberto De Martino.

Il Don Bosco di Pisa ospita 277 detenuti (51 in più della capienza regolamentare che è di 226) Sono tendenzialmente detenuti in attesa di giudizio o di sentenza definitiva con pene inferiori a 5 anni o il cui residuo di pena non è superiore a 5 anni. 28 sono le donne, 164 gli stranieri, per lo più tunisini, marocchini, albanesi e rumeni.

Ne risulta una situazione incancrenita dalla mancanza di interventi e di finanziamenti pubblici, anzi i problemi si sono aggravati per il fatto che non sono stati risolti per tempo.

La struttura del Don Bosco, sovrappopolata e fatiscente, non è, poi, attrezzata per la rieducazione del carcerato essendo stata costruita negli anni Trenta quando la detenzione era considerata solo punitiva. Mancano aree di socialità, la situazione dei sanitari delle celle è addirittura “illecita”: nelle celle non c’è acqua calda e nella sezione femminile i bagni sono separati solo con un mezzo muro dal resto della stanza per non parlare poi di quella dei semiliberi dove, a dividere i sanitari alla turca dalla cella, non c’è niente.

A rendere più difficoltosa la rieducazione incide, oltre al turn-over dei detenuti, che al Don Bosco avviene ogni 3-6 mesi e che impedisce programmi di medio lungo periodo, anche la mancanza di adeguate figure come interpreti e mediatori culturali o strumenti come la guida multilingue per interfacciarsi con il gran numero di detenuti stranieri.

Oltre a questi problemi, non risolvibili nel breve periodo, ce ne sarebbero altri che lo potrebbero essere con un po’ di buona volontà. Infatti nel resoconto si legge che:

L’ora d’aria viene prevista anche per l’estate tra l’una e le tre, sotto il sole a picco spingendo alcuni prigionieri a rinunciarci; per i colloqui con i familiari, importantissimi per il benessere psicofisico dei carcerati, vengono posti ostacoli incomprensibili come la chiusura dei bagni in orario di visita e il divieto di visita per i familiari non in possesso del permesso di soggiorno.

Questa porta ad una situazione di disagio confermata dai due suicidi avvenuti dall’estate 2014 a oggi.

Il resoconto richiama alla memoria la testimonianza più famosa dell’esperienza carceraria, il libro di Silvio Pellico “Le mie prigioni”. Scritto nel 1832, ripercorre i suoi giorni nelle carceri austriache ed evidenzia disagi e sofferenze che accomunano, al di là del tempo e dello spazio, tutti coloro che vengono privati della loro libertà.

Silvio Pellico, costretto a portare la catena ai piedi, dormire su nudi tavolacci, e mangiare il più povero cibo immaginabile languiva in una cella che lui descrive come un orrido antro illuminata da un alto finestruolo e ammobiliata con un nudo pancone…per letto, ed una enorme catena al muro.

Per capire l’importanza, sia dell’ora d’aria sia della socialità per i detenuti, basta ascoltare le parole del nostro compatriota che si rifiuta di promettere al suo carceriere Shiller di non parlare più alla finestra con gli altri carcerati:

Non voglio promettere ciò che sento che non manterrei…perché la solitudine continua è tormento sì crudele per me, che non resisterò mai al bisogno di mettere qualche voce da’ polmoni, d’invitare il mio vicino a rispondermi. E se il vicino tacesse, volgerei la parola alle sbarre della mia finestra, alle colline che mi stanno in faccia, agli uccelli che volano

Questo senso di solitudine che crea malessere può essere mitigato dai colloqui con i familiari e in particolare con i figli. Per averne la conferma basta rileggere come parla Pellico delle visite di Zanze, la figlia del custode dei Piombi di Venezia, uno dei carceri dove fu richiuso, per un breve periodo, prima dello Spielberg:

A’ tempi della Zanze, le sue visite, benché pur sempre troppo brevi, rompendo amabilmente la monotonia del mio perpetuo meditare e studiare in silenzio, intessendo alle mie idee altre idee, eccitandomi qualche affetto soave, abbellivano veramente la mia avversità, e mi doppiavano la vita.
Dopo, tornò la prigione ad essere per me una tomba. Fui per molti giorni oppresso di mestizia, a segno di non trovar più nemmeno alcun piacere nello scrivere…

Il senso di essere in una tomba più che in una prigione hanno portato anche il riflessivo Silvio Pellico a pensare seriamente al suicidio come ammette lui stesso:

Fui allora preso da forte melanconia e da desiderio di morire. Il pensiero del suicidio tornava a presentarmisi. Io lo combatteva; ma era come un viaggiatore spossato, che mentre dice a se stesso: “È mio dovere d’andar sino alla meta” si sente un bisogno prepotente di gettarsi a terra e riposare.
M’era stato detto che, non avea guari, in uno di quei tenebrosi covili un vecchio boemo s’era ucciso spaccandosi la testa alle pareti. Io non potea cacciare dalla fantasia la tentazione d’imitarlo.

Queste parole, che andrebbero rilette per cercare di affrontare il problema dei detenuti in maniera differente, mettono in luce la fragilità e l’umanità dei carcerati, persone che devono essere aiutate nel loro percorso di riscatto e di rieducazione.

Garantire una migliore condizione di vita nel carcere non sarebbe solo un vantaggio dei detenuti ma di tutta la società ma le amministrazioni e lo stato,  bloccati dalla sciagura del pareggio del bilancio in costituzione hanno le mani legate.

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