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Sanità: primo rapporto Eurispes-Enpam sul Sistema Sanitario in Italia

Sanità: primo rapporto Eurispes-Enpam sul Sistema Sanitario in Italia

05 Gennaio 2018 0 Di Francesca Pierpaoli

Il lavoro di ricerca sulla sanità in Italia realizzato da Eurispes ed Enpam, sotto l’egida dell’Osservatorio su Salute, Previdenza e Legalità, offre una visione che si discosta nettamente dall’idea diffusa di una sanità pubblica al tracollo e sostanzialmente irriformabile. Basti pensare che i dati a livello internazionale attestano che in Italia il bene-salute è accettabilmente garantito, pur tra le difformità e gli squilibri che ne inficiano l’immagine complessiva.

Eurispes ed Enpam, un’analisi accurata

“Questo Rapporto – dichiara Gian Maria Fara, Presidente Eurispes – ha voluto osservare il sistema della sanità, con l’obbiettivo di “prendere contatto” con i diversi temi e le maggiori contraddizioni di un Sistema sanitario Nazionale per il quale è difficile esprimere una valutazione univoca, in grado di comprendere in sé le molte carenze come pure le tante eccellenze. Occorre soprattutto ricordare che, nonostante i ritardi e i problemi, il nostro Sistema sanitario nel confronto internazionale rimane uno dei migliori al mondo per la capacità di assicurare la salute dei nostri cittadini”.

Secondo Alberto Oliveti, Presidente Fondazione Enpam: “Il nostro Ssn è un fiore all’occhiello di civiltà che vogliamo difendere anche nell’interesse dei nostri iscritti che in esso operano. Considerate le tendenze economico-finanziarie, gli andamenti demografici di denatalità e invecchiamento, l’evoluzione tecnologica e la digitalizzazione crediamo che la strada da percorrere per garantire la sostenibilità di un Ssn pubblico sia quella di selezionare i livelli essenziali di assistenza (Lea) possibili, quelli cioè che possiamo garantire a tutti su tutto il territorio nazionale”.

“Il nostro Rapporto – commenta Vincenzo Macrì, Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Salute, Previdenza e Legalità – si astiene rigorosamente da qualsiasi tentazione di forzature interpretative dei dati acquisiti ed elaborati. Le fonti sono amplissime e, molte, di matrice internazionale. Da segnalare la continua comparazione di tali dati con quelli di altri paesi europei. Ne risulta un quadro che apparirà sorprendente a chi ritiene, sulla base dell’informazione pubblica e di quella del web, che la situazione italiana sia decisamente peggiore delle altre per l’inefficienza, gli sprechi, le carenze organizzative, l’assenteismo, le prassi corruttive, che ne caratterizzano l’attività. E invece così non è”.

Sanità, la spesa pubblica incide per il 7% sul Pil

Il Rapporto ha analizzato il Sistema sanitario principalmente attraverso l’ottica dei cittadini/pazienti, ma senza nascondere le tematiche più generali della compatibilità nei conti pubblici.
L’Italia investe il 14,1% della spesa pubblica per mantenere il proprio sistema sanitario, l’1,1% meno della media europea. L’Irlanda è il paese che vi dedica la quota più alta (19,3%), ma questa spesa incide solo per il 5,7% del proprio Pil, dato che per l’Italia sale al 7%. Cipro è il paese che spende per la sanità la percentuale più bassa della spesa pubblica, pari al 2,6% del proprio Pil.

Gli operatori impegnati nella sanità rappresentano una quota di lavoro rilevante nel nostro Paese. Nel 2015 gli occupati nel comparto sono stati 1.796.000. Considerando la quota di lavoro nero e grigio che si annida soprattutto nell’area della cura alla persona, è legittimo ritenere che a questi si debbano aggiungere tra le 300.000 e le 400.000 unità, portando il totale a circa 2.200.000 addetti, ovvero ad una quota vicina al 10% del totale occupati del Paese.

Sanità, i punti critici

Tra le tante contraddizioni e i punti critici, il Rapporto ha evidenziato il tema del precariato e della insufficienza degli organici, del forte invecchiamento del personale sanitario che in alcune aree, ed in particolare nella medicina generale (medico di base e pediatra di libera scelta), rischia nel futuro prossimo di generare dei vuoti incolmabili. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute e aggiornati al 2012 il comparto assorbiva 45.437 medici di medicina generale. Secondo la Federazione Italiana dei Medici di Famiglia circa 21.700 medici di base andranno in pensione entro il 2023, mentre il numero dei giovani medici “in ingresso” si prevede non superiore alle 6.000 unità. Questo significherà una carenza di 16.000 medici di base e la quasi certezza che entro il prossimo decennio almeno un terzo dei residenti nella Penisola non potrà avvalersi del medico di famiglia.
I servizi ospedalieri assorbono il 44,4% degli addetti, di questi il 18% è impiegato per mansioni non afferenti le professioni sanitarie. Questo dato fa intuire il livello di burocratizzazione della macchina sanitaria, con la presenza di una quota elevata del personale principalmente amministrativo che viene assorbita per il suo funzionamento.

Sanità, analisi degli sprechi e la corruzione

Anche i temi legati agli sprechi e alle diverse aree di intervento dei fenomeni corruttivi che il Rapporto analizza a fondo, e la cui gravità è sotto gli occhi di tutti, non risultano una peculiarità del nostro Paese. Infatti le statistiche elaborate dagli organismi internazionali (Ocse e Ue) fanno rientrare l’Italia nei range medi di diffusione delle cattive pratiche e dell’illegalità.
Le stime più accreditate circa il tasso medio di corruzione e frode in sanità stimano nel 5,59%, con un range che spazia tra il 3,29 e il 10%. Se si applicassero questi valori alla situazione italiana, che per ciò che riguarda la spesa pubblica vale circa 113 miliardi di euro l’anno, ciò si tradurrebbe in un danno di circa di 6,5 miliardi di euro l’anno.
Se poi alla stima dell’impatto della corruzione sommiamo quella dell’inefficienza della spesa pubblica nel comparto sanitario (che inciderebbe per il 3% del totale) e il peso degli sprechi, valutato nell’ordine del 18% della spesa totale, l’insieme delle pratiche corruttive, degli sprechi e delle inefficienze, costerebbero annualmente al nostro Paese ben 23,6 miliardi di euro.

Tra le contraddizioni più stridenti, quella della lunghezza delle liste di attesa per le visite specialistiche e per i ricoveri ospedalieri che ha prodotto riflessioni critiche sul ruolo ed il reale funzionamento dell’intramoenia, che finisce col generare una forte disparità nell’erogazione della cura su base censuaria, oltre che dilatare i tempi di accesso alle visite specialistiche per chi non vi fa ricorso.

Sanità, i dati di spesa delle famiglie

Inoltre il Rapporto segnala che se la spesa delle famiglie in ticket è di 1.403.626.000 euro, gli italiani hanno sborsato nello stesso anno per l’intramoenia ben 1.118.395.000 euro.
Attualmente dall’intramoenia entra nelle casse pubbliche poco più 10% dei volumi generati dall’intramoenia stessa: circa 150 milioni di euro.
Se si scende dal dato nazionale alla situazione delle diverse Regioni, i risultati non sono omogenei ma appaiono, comunque, tutt’altro che soddisfacenti. Nel Lazio i volumi complessivi di intramoenia producono più di 137.000.000 di euro, ma nelle casse della sanità regionale rimangono solo circa 13.000.000 di euro. In Lombardia si spendono in intramoenia circa 262.000.000 di euro, ma alle casse della Regione ne giungono solo circa 18.000.000.

Sanità e nuove tecnologie

Di fronte alle ristrettezze dei bilanci regionali, non sorprenderebbe scoprire nella sanità italiana un parco tecnologico carente e non “aggiornato” rispetto alle nuove tecnologie, come conseguenza di un sistema impoverito e caratterizzato da bassi investimenti. E invece la presenza di apparecchiature tecnico-biomediche (nelle strutture ospedaliere e territoriali) risulta in aumento nel settore pubblico, anche se la loro disponibilità è fortemente variabile a livello regionale. Esistono, ad esempio, circa 106,2 mammografi ogni 1.000.000 di abitanti con valori che superano i 150 in due Regioni (Valle d’Aosta, Umbria). La regione che registra il rapporto minore tra apparecchiature tecnico-biomediche e abitanti è la Campania.

L’evoluzione pur faticosa dei piani di rientro di molte regioni, il varo dei nuovi Lea (Livelli essenziali di assistenza) e delle nuove politiche vaccinali, fanno ritenere che, comunque, il sistema non sia “immobile”, e che per alcuni versi siano state imboccate le strade giuste in un rapporto più equilibrato tra autonomia ragionale e Ministero della Salute.

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