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Aborto: obiezione di coscienza, il caso Catania e le mammane

Aborto: obiezione di coscienza, il caso Catania e le mammane

29 Ottobre 2016 0 Di Enrico Zini

Il caso “Catania, la donna morta  nel tentativo di partorire due gemelli, ripropone il tema dell’aborto e quello, connesso dell’obiezione di coscienza.

Aborto, obiezione di coscienza: il caso Catania e le mammane

obiezione di coscienza abortoIl dramma della giovane donna deceduta il 18 ottobre all’ospedale Cannizzaro di Catania nel tentativo di partorire due gemelli nati morti ha riposto al centro il tema dell’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza.

Secondo la denuncia dei familiari il medico di turno si sarebbe rifiutato di intervenire nonostante le condizioni della donna fossero peggiorate perché a uno dei bambini batteva ancora il cuoricino.

L’ospedale nega attribuendo la causa della morte ad uno shock settico che in 12 ore ha fatto precipitare la situazione.

Sulla vicenda sta indagando il sostituto procuratore mentre gli ispettori del ministero della Salute hanno in meno di una settimana svolto il loro compito: affermare che la morte non è dipesa dall’obiezione di coscienza né da altro sbaglio dell’équipe che, non solo ha svolto bene il suo lavoro, ma che ha sostenuto e tenuto informati i familiari.

Queste conclusioni, ottenute attraverso le testimonianze dei soli medici e dal diario clinico, tendono a sollevare di ogni responsabilità il suddetto ministero il quale aveva sostenuto al Consiglio d’Europa la sostenibilità per il sistema sanitario italiano di un così alto numero di obiettori, ma solo la magistratura potrà mettere la parola fine a questa tragedia.

A prescindere da quanto accaduto a Catania, su cui farà luce chi di dovere, bisogna sottolineare che in quell’ospedale tutto il reparto era obiettore.

L’articolo 9 della legge n.194/78, pur riconoscendo tale diritto, al comma 3 stabilisce che l’obiezione non esenta il personale medico dall’espletamento dell’assistenza antecedente e conseguente all’intervento e non può essere invocata quando il suo personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione specificando che l’obiezione è valida solo per i fatti “causativi” dell’aborto e non per l’assistenza dovuta alla donna prima e dopo di questi.

Stando alla relazione del ministero della Salute, oltre il 70% dei ginecologi si definiscono obiettori di coscienza, seguiti a ruota dagli anestesisti (49%) e dal personale non medico (46%).

La situazione poi non è la stessa in tutta Italia perché se nel Nord la media (67%) è inferiore a quella nazionale, nel sud raggiunge l’80%; tuttavia, tutte le regioni italiane, tranne Valle D’Aosta (13, 3 %) e Sardegna (49,7%), sono sopra il 50%, anche le regioni considerate più progressiste come Emilia Romagna, Toscana, Umbria, mentre in alcune come Molise (93%)e Basilicata (90%) o la Provincia autonoma di Bolzano (92,9%) di fatto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è negato alle donne.

Da sottolineare infine che in molti ospedali (35%) l’obiezione non riguarda il sindaco medico, ma è di struttura, vale a dire che tutti i medici, nessuno escluso, rifiutano di applicare la legge 194, pertanto, di fatto, in quasi 4 ospedali su dieci la legge non è rispettata.

Per questo L’Italia è stata più volte condannata dal Comitato europeo dei diritti sociali.

La prima volta è accaduto nel marzo 2014 su ricorso presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood Federation European Network e dalla Laiga per l’elevato e crescente numero di medici obiettori che viola i diritti delle donne.

La seconda condanna risale all’aprile del 2016 su ricorso presentato dalla Cgil per la discriminazione verso medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza, vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”.

Quest’ultima però è stata poi in parte sconfessata dal Consiglio d’Europa nel luglio dello stesso anno su altri dati presentati dal ministero della Salute.

Poiché i dati sui quali sono state basate le due decisioni contrastanti provengono entrambi dalla stessa fonte (la relazione annuale sull’attuazione della 194 presentata nel 2015) viene il sospetto che la benignità con la quale è stata giudicata l’Italia dipenda dal fatto che, mentre il Comitato che l’ha condannata è composta da esperti indipendenti, il Consiglio d’Europa che l’ha “assolta” è formato dai Ministri dei paesi del continente.

La storia dell’Obiezione di coscienza però non è sempre stata la negazione di un diritto ma la conquista di un altro, e cioè del diritto a non uccidere in guerra. I primi obiettori dell’Italia unita venivano repressi ferocemente dall’esercito fino alla condanna a morte per fucilazione.

La situazione migliorò nel Dopoguerra quando gli obiettori, invece di perdere la vita, perdevano la libertà. Il primo ad essere incarcerato fu Piero Pinna nel 1948, per dieci mesi, ma la lotta continuò e si estese così tanto dopo il ’68 che, alla vigilia dell’approvazione della legge Marcora, nel 1972, che concesse la possibilità dell’obiezione, le persone in carcere per quel motivo erano varie decine.

Anche quando non subivano la limitazione della libertà venivano processati, come successe a Padre Balducci e a Don Milani, che furono accusati di apologia di reato. Quindi, prima della legge del 1972, gli obiettori venivano repressi, processati, carcerati e perfino uccisi.

Con la legge Marcora l’esenzione dal servizio militare non era facile né indolore. Infatti, per ottenerla, l’obiettore doveva essere esaminato da una commissione di 5 membri e fare il servizio civile per un anno e 8 mesi, un periodo quasi doppio rispetto a quello del servizio militare.

Quindi paragonare l’obiezione di coscienza nei confronti del servizio di leva a quello contro l’Ivg non è corretto. Infatti, nel secondo caso, chi decide di obiettare non deve attendere che la sua obiezione sia accolta o respinta da qualche commissione ma deve solo consegnare una dichiarazione autografa alla direzione sanitaria. Inoltre, per prima cosa, non si é obbligati a fare il medico in strutture che praticano aborti mentre una volta si era obbligati a fare il militare.

Non parliamo poi del costo per la collettività: mentre l ‘obiettore militare pagava il suo scrupolo di coscienza sulla sua pelle, nel caso dell’obiezione a praticare l’aborto a pagare sono gli altri.

Infatti l’applicazione della legge 194 dipende dalla sensibilità del personale non obiettore, che si deve sobbarcare senza compensazioni il lavoro scantonato dai colleghi, e dall’efficienza della struttura ospedaliera che, nell’eventualità di un reparto interamente obiettore, come quello di Catania, deve ingaggiare, a pagamento, dei medici “gettonisti”.

Non si sa se le conclusioni degli ispettori saranno confermate dalle indagini della magistratura, resta il fatto, però, che tutto il reparto del Cannizzaro era obiettore e questo non può essere ammesso perché anche quell’ospedale è territorio italiano e nel nostro paese l’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto.

Bisogna rivedere l’articolo 9 della legge prevedendo magari una commissione che analizzi le richieste di obiezione, oppure si potrebbero prevedere dei vantaggi per i non obiettori che si accollano anche il lavoro altrui e mansioni di compensazione per chi obietta.

Già questo secondo me diminuirebbe il numero degli obiettori. Poi, certo, ci sarebbe da capire il nesso tra quantità di obiettori in un reparto e l’inclinazione del dirigente dello stesso, specialmente dove l’obiezione supera il 50%.

Comunque la legge, per avere piena attuazione, dovrebbe in qualche modo garantire in ogni reparto ginecologico, un’adeguata presenza di personale non obiettore oppure possiamo continuare ipocritamente a prevedere l’interruzione volontaria di gravidanza per legge e negarla di fatto in vaste zone d’italia. Tanto, al limite, ci sono sempre le costosissime cliniche private oppure perché non anche le Mammane?

 

http://www.serviziocivile.gov.it/menusx/servizio-civile-nazionale/cosa-e-il-scn/

Il dramma della giovane donna deceduta il 18 ottobre all’ospedale Cannizzaro di Catania nel tentativo di partorire due gemelli nati morti ha riposto al centro il tema dell’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria di gravidanza.

Secondo la denuncia dei familiari il medico di turno si sarebbe rifiutato di intervenire nonostante le condizioni della donna fossero peggiorate perché a uno dei bambini batteva ancora il cuoricino. L’ospedale nega attribuendo la causa della morte ad uno shock settico che in 12 ore ha fatto precipitare la situazione.

Sulla vicenda sta indagando il sostituto procuratore mentre gli ispettori del Ministero della salute hanno in meno di una settimana svolto il loro compito: affermare che la morte non è dipesa dall’obiezione di coscienza né da altro sbaglio dell’équipe che, non solo ha svolto bene il suo lavoro, ma che ha sostenuto e tenuto informati i familiari. Queste conclusioni, ottenute attraverso le testimonianze dei soli medici e dal diario clinico, tendono a sollevare di ogni responsabilità il suddetto Ministero il quale aveva sostenuto al Consiglio d’Europa la sostenibilità per il sistema sanitario italiano di un così alto numero di obiettori, ma solo la magistratura potrà mettere la parola fine a questa tragedia.

A prescindere da quanto accaduto a Catania, sulla quale farà luce chi di dovere, bisogna sottolineare che in quell’ospedale tutto il reparto era obiettore.

L’articolo 9 della legge n.194/78, pur riconoscendo tale diritto, al comma 3 stabilisce che l’obiezione non esenta il personale medico dall’espletamento dell’assistenza antecedente e conseguente all’intervento e non può essere invocata quando il suo personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione specificando che l’obiezione è valida solo per i fatti “causativi” dell’aborto e non per l’assistenza dovuta alla donna prima e dopo di questi.

Stando alla relazione del ministero della Salute, oltre il 70% dei ginecologi si definiscono obiettori di coscienza, seguiti a ruota dagli anestesisti (49%) e dal personale non medico (46%).
La situazione poi non è la stessa in tutta Italia perché se nel Nord la media (67%) è inferiore a quella nazionale, nel sud raggiunge l’80%; tuttavia, tutte le regioni italiane, tranne Valle D’Aosta (13, 3 %) e Sardegna (49,7%), sono sopra il 50%, anche le regioni considerate più progressiste come Emilia Romagna, Toscana, Umbria, mentre in alcune come Molise (93%)e Basilicata (90%) o la Provincia autonoma di Bolzano (92,9%) di fatto il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza è negato alle donne. Da sottolineare infine che in molti ospedali (35%) l’obiezione non riguarda il sindaco medico, ma è di struttura, vale a dire che tutti i medici, nessuno escluso, rifiutano di applicare la legge 194pertanto, di fatto, in quasi 4 ospedali su dieci la legge non è rispettata

Per questo L’Italia è stata più volte condannata dal Comitato europeo dei diritti sociali. La prima volta è accaduto nel marzo 2014 su ricorso presentato dall’organizzazione internazionale non governativa International Planned Parenthood Federation European Network e dalla Laiga per l’elevato e crescente numero di medici obiettori che viola i diritti delle donne. La seconda condanna risale all’aprile del 2016 su ricorso presentato dalla CGIL per la discriminazione verso medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza, vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. Quest’ultima però è stata poi in parte sconfessata dal Consiglio d’Europa nel luglio dello stesso anno su altri dati presentati dal ministero della salute. Poiché i dati sui quali sono state basate le due decisioni contrastanti provengono entrambi dalla stessa fonte( la relazione annuale sull’attuazione della 194 presentata nel 2015) viene il sospetto che la benignità con la quale è stata giudicata l’Italia dipenda dal fatto che, mentre il Comitato che l’ha condannata è composta da esperti indipendenti, il Consiglio d’Europa che l’ha “assolta” è formato dai Ministri dei paesi del continente.

La storia dell’Obiezione di coscienza però non è sempre stata la negazione di un diritto ma la conquista di un altro, e cioè del diritto a non uccidere in guerra. I primi obiettori dell’Italia Unita venivano repressi ferocemente dall’esercito fino alla condanna a morte per fucilazione.

La situazione migliorò nel dopoguerra quando gli obiettori, invece di perdere la vita, perdevano la libertà. Il primo ad essere incarcerato fu Piero Pinna nel 1948, per dieci mesi, ma la lotta continuò e si estese così tanto dopo il ’68 che, alla vigilia dell’approvazione della legge Marcora, nel 1972, che concesse la possibilità dell’obiezione, le persone in carcere per quel motivo erano varie decine.

Anche quando non subivano la limitazione della libertà venivano processati, come successe a Padre Balducci e a Don Milani, che furono accusati di apologia di reato. Quindi, prima della legge del 1972, gli obiettori venivano repressi, processati, carcerati e perfino uccisi.

Con la legge Marcora l’esenzione dal servizio militare non era facile né indolore. Infatti, per ottenerla, l’obiettore doveva essere esaminato da una commissione di 5 membri e fare il servizio civile per un anno e 8 mesi, un periodo quasi doppio rispetto a quello del servizio militare. Quindi paragonare l’obiezione di coscienza nei confronti del servizio di leva a quello contro l’IVG non è corretto. Infatti, nel secondo caso, chi decide di obiettare non deve attendere che la sua obiezione sia accolta o respinta da qualche commissione ma deve solo consegnare una dichiarazione autografa alla direzione sanitaria. Inoltre, per prima cosa, non si é obbligati a fare il medico in strutture che praticano aborti mentre una volta si era obbligati a fare il militare.

Non parliamo poi del costo per la collettività: mentre l ‘obiettore militare pagava il suo scrupolo di coscienza sulla sua pelle, nel caso dell’obiezione a praticare l’aborto a pagare sono gli altri.Infatti l’applicazione della legge 194 dipende dalla sensibilità del personale non obiettore, che si deve sobbarcare senza compensazioni il lavoro scantonato dai colleghi, e dall’efficienza della struttura ospedaliera che, nell’eventualità di un reparto interamente obiettore, come quello di Catania, deve ingaggiare, a pagamento, dei medici “gettonisti”.

Non si sa se le conclusioni degli ispettori saranno confermate dalle indagini della magistratura, resta il fatto , però, che tutto il reparto del Cannizzaro era obiettore e questo non può essere ammesso perché anche quell’ospedale è territorio italiano e nel nostro paese l’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto. Bisogna rivedere l’articolo 9 della legge prevedendo magari una commissione che analizzi le richieste di obiezione, oppure si potrebbero prevedere dei vantaggi per i non obiettori che si accollano anche il lavoro altrui e mansioni di compensazione per chi obietta. Già questo secondo me diminuirebbe il numero degli obiettori. Poi, certo, ci sarebbe da capire il nesso tra quantità di obiettori in un reparto e l’inclinazione del dirigente dello stesso, specialmente dove l’obiezione supera il 50%.

Comunque la legge, per avere piena attuazione, dovrebbe in qualche modo garantire in ogni reparto ginecologico, un’adeguata presenza di personale non obiettore oppure possiamo continuare ipocritamente a prevedere l’interruzione volontaria di gravidanza per legge e negarla di fatto in vaste zone d’italia. Tanto, al limite, ci sono sempre le costosissime cliniche private oppure perchè non anche le Mammane?

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