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Afghanistan, la lotteria della morte all’aeroporto di Kabul

Afghanistan, la lotteria della morte all’aeroporto di Kabul

21 Agosto 2021 0 Di Pietro Nigro

Così si muore davanti ai cancelli dell’aeroporto di Kabul per lasciare l’Afghanistan: calpestati dalla folla o uccisi dai mitra talebani.

Afghanistan, all’aeroporto di Kabul scatta la lotteria della morte: calpestati dalla folla o uccisi dai talebani

E’ una tragica lotteria della morte quella che va in scena ormai ogni giorno, ogni ora, ogni minuto in quel disperato girone dantesco che è diventato l’Abbey gate dell’aeroporto di Kabul.

E’ qui, infatti, che migliaia di persone rocambolescamente arrivate da ogni angolo del paese si accalcano in cerca di una via di fuga dall’Afghanistan appena riconquistato dai Talebani.

Ma solo per alcuni, i più fortunati, la lotteria gira bene: sono quelli che riescono a percorrere la Airport Road senza essere bloccati dai Talebani, che resistono ore ed ore sotto un sole cocente e implacabile, che attraversano la folla e alla fine entrano in aeroporto e partono verso la salvezza.

Gira male, invece, la lotteria per tutti quelli che invece che un viaggio della salvezza “vincono” una morte atroce e crudele, uccisi da una raffica talebana o peggio, schiacciati dalla folla.

E si stima che siano ormai decine e decine gli afghani, uomini e donne, che da mercoledì scorso ad oggi hanno trovato una morte terribile lungo le vie di accesso all’aeroporto o addirittura davanti a cancelli.

E’ uno spettacolo atroce, dice chi lo ha visto, direttamente perché sta lì in aeroporto, o indirettamente dalle foto e dai video che volano in tutto il mondo di chat in chat e infine arrivano ai media.

Anche noi di Italia Notizie 24 abbiamo ricevuto un video da Aziz, un lavorante afghano della base di Herat, che è fuggito con i parenti dalla città in cui i peggiori tra i talebani, gli Haqqani, stanno rastrellando i “collaboratori” casa per casa.

Dopo un interminabile viaggio in autobus di oltre 25 ore, da tre giorni Aziz cerca di entrare in aeroporto ma è rimasto bloccato con i parenti tra la folla ed ha visto morire tra la folla decine di persone, perfino la moglie di suo cugino.

Del video che ci ha mandato via Whatsapp abbiamo preferito non mostrare le parti più terribili, ma quel che si vede è molto chiaro ed eloquente.

 

Il viaggio della speranza per morire sulla via dell’aeroporto

E’ una pagina terribile e vergognosa quella che si sta scrivendo a Kabul, e anche ad Herat, in questi giorni. Perché quegli uomini e quelle donne sono quelli che, come Aziz, hanno creduto alle nostre promesse, e che in questi venti anni hanno accettato di lavorare per e con le missioni occidentali inviate in Afghanistan, compresa quella italiana.

E che ora vanno a morire sulla via dell’aeroporto di Kabul o addirittura davanti ai cancelli presidiati dai sempre più arroganti Talebani, che ormai minacciano apertamente la folla brandeggiando spavaldi i loro Kalashnikov: “Allontanatevi o spariamo“, hanno detto. E in diverse occasioni hanno anche fatto.

Sono centinaia, ormai, i messaggi, le richieste, gli appelli più disperati o anche le segnalazioni più drammatiche ed atroci. Tutti quelli tra i nostri soldati e civili che hanno lavorato in Afghanistan in questi anni, anche quelli già tornati da tempo in Italia, stanno ricevendo contatti e richieste, che magari girano ai colleghi rimasti sul posto nel tentativo di aiutare a rintracciare e a salvare questo o quell’altro afghano.

Spesso invano, perché in quel girone dantesco che si accalca fuori dall’aeroporto, poco o nulla possono fare i nostri soldati spediti a Kabul dalla ITA-JFHQ, il comando interforze a disposizione del capo di stato maggiore della Difesa per la pianificazione ed esecuzione di missioni di evacuazione in aeree di crisi.

I velivoli della nostra Aeronautica, i due C-130 da trasporto che incessantemente partono, vanno e vengono anche due volte al giorno da Kabul. Praticamente, atterrano a Kuwait City, sbarcano i circa cento passeggeri e ripartono per l’Afghanistan. E lo stesso fanno i velivoli che invece fanno la spola tra Kuwait City e il terminal C di Fiumicino.

Ma a salire a bordo, appunto, sono solo i fortunatissimi che sono riusciti ad entrare in aeroporto e farsi riconoscere dai nostri militari.

Per A. e per tutti gli altri, il viaggio della disperata speranza che è iniziato magari due o tre giorni prima a Herat, dove aveva sede la nostra missione in Afghanistan, si conclude con una pallottola talebana, o peggio, schiacciati dalla ressa davanti all’ormai insanguinato Abbey Gate, il cancello sud dell’aeroporto.

Già arrivare a Kabul è un viaggio disperato, che per lo più i nostri ex collaboratori afghani e i loro familiari affrontano in autobus, e lungo almeno due giorni in un Afghanistan ormai preda del nuovo caos Talebano.

Da Kabul si cerca in un modo o nell’altro ma per lo più a piedi, di percorrere la lunga Airport Road, che sebbene sia un rettilineo perfetto è ormai diventato uno zig zag, uno slalom tra i check-point che i miliziani Talebani hanno improvvisato in questi giorni.

Un tragico deterrente, visto che possono passare solo gli occidentali e gli Afghani “muniti di documenti” e dove a volte i talebani ti sparano a vista.

Ma anche un efficientissimo varco doganale, ottimo per spillare tangenti e mazzette a quelli che in questo modo cercano di comprare un effimero passaporto per la salvezza.

Abbey gate, il cancello per la libertà con l’inferno fuori

Ma è lo spazio antistante all’ormai famigerato Abbey Gate, unico varco aperto di accesso alla parte civile del quasi inaccessibile aeroporto di Kabul che i Talebani in kalashnikov presidiano notte e giorno, che è diventato un tragico girone dantesco.

E’ qui infatti, che da giorni si ammassano ormai migliaia di persone, una folla disperata di uomini, donne, ragazzi e ragazze, giovanissimi e anziani, che cercano di arrivare al cancello e farsi riconoscere dai soldati occidentali.

Un mare di persone, in piedi per ore ed ore sotto un sole spietato e implacabile, che a ondate inizia a muoversi senza controllo, in avanti quando la folla cerca di avanzare, o indietro quando partono le scariche dei mitra.

E di nuovo in avanti quando il cancello viene aperto e in tanti, in troppi, cercano di entrare, spingendo, pressando, e schiacciando chiunque cada.

E’ così, schiacciati dalla folla, che sono morti in tanti.

Tra loro stava finendo anche il figlio di Aziz, l’uomo che lavorava alla base di Herat e che da tre giorni cerca di entrare all’aeroporto: il ragazzo stava per crollare stremato dalla fatica, e il padre ha fatto appena in tempo a sostenerlo e a impedirgli di cadere tra i piedi dei vicini.

Non ce l’ha fatta a resistere, invece, la moglie di suo cugino, pure lui lavoratore alla base di Herat scappato a Kabul per imbarcarsi sugli aerei italiani.

Una donna calpestata da centinaia di piedi, sotto gli occhi atterriti e impotenti del marito e degli altri parenti, uccisa a un passo dalla libertà dalla folle lotteria della morte all’aeroporto di Kabul.

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