Contenuto Pubblicitario
Algeria, qui c’è stato il banco di prova dell’Islam armato e jihadista

Algeria, qui c’è stato il banco di prova dell’Islam armato e jihadista

26 Ottobre 2018 0 Di Corrado Corradi

Come la Spagna del ’36 é stata il banco di prova per un più vasto conflitto, la Seconda guerra mondiale, cosi’ l’Algeria é stata il banco di prova di un altro conflitto, più diluito nello spazio e nel tempo, ma altrettanto consistente per le mire strategiche.

In Algeria sono arrivato qualche giorno dopo l’eccidio dei sette marinai italiani del cargo «Lucina» al porto di Jijel, la piccola Kabilia a un centinaio di chilometri a est di Algeri.

Ero lì durante gli eccidi dei cittadini stranieri (francesi, italiani, croati, spagnoli, etc., ma soprattutto preti e suore) e algerini stessi.

Ero lì quando é stato ucciso il Vescovo di Orano, Monsignor Pierre Claverie che mi aveva onorato della sua amicizia.

Ero lì quando sono stati rapiti i sette monaci di Tibharine, ed ero lì quando i loro corpi straziati sono stati ritrovati. Come ero lì ai loro funerali, nella Basilica di Notre Dame d’Afrique dove le loro sette bare, inquadrate come un reparto militare, erano allineate dietro a un’altra, quella dell’ultranovantenne Cardinale Etienne Duvall, deceduto la sera stessa in cui gli avevano comunicato che erano stati ritrovati i suoi sette monaci…

Proprio la sera prima ero andato a trovare l’anziano Cardinale nel suo letto ormai di morte (una decina di giorni prima si era rotto il femore) e alle mie banali frasi di circostanza aveva risposto con un fil di voce: «Ce n’est pas ma jambe qui me fais souffrir mon ami… c’est le sort de mes moines… deshormais je suis écrasé sous le poids de la croix»… lui che qualche tempo prima mi aveva parlato della luce della «espérance», stava affrontando l’ultima prova, quella del buio della disperazione. 

Ero là, in Algeria, tra il 1994 e il 1997

E’ in quel periodo che mi sono reso conto che, proprio come la Spagna del ’36 é stata il banco di prova per un più vasto conflitto, la Seconda guerra mondiale, cosiì é stata il banco di prova di un altro conflitto, più diluito nello spazio e nel tempo, ma altrettanto consistente per quanto attiene alle mire strategiche: collaudare le tattiche e le tecniche per avviare il lebensraum dell’Islam; qualcuno aveva bisogno di predicatori convinti e convincenti e di combattenti sperimentati perché quel qualcuno già vedeva profilarsi all’orizzonte il tempo della predicazione e del jihad (armato ovviamente)… 

E’ in Algeria che ho assistito a quegli episodi prodromici a quello che poi é avvenuto e sta avvenendo in Medioriente, nel Maghreb, nel Sahelo-Sahara, in Europa, in Pakistan, adesso con una componente in più suscettibile di potenziare quell’offensiva allora a livello di sperimentazione e adesso pienamente operativa: la reislamizzata Turchia di Erdogan contigua alla consorteria dei Fratelli Musulmani, i levatori (nell’accesso ostetrico del termine) della da’wa e del jihad. 

La nascita del Front Islamique du Salut

Da Il Cairo, quel qualcuno aveva brigato per inviare in un’Algeria che negli anni ’80 non aveva ancora risolto i problemi connessi con la sua travagliata indipendenza, una sfilza di attivisti islamisti provenienti dalla moschea/università islamica El Azhar, per creare le premesse per la formazione di un partito islamista suscettibile di inserirsi nell’agone politico algerino e sostituire il decrepito Fln, il Fronte di Liberazione Nazionale che aveva acquisito all’Algeria l’indipendenza dalla Francia.

Il partito islamista in questione, che già allora in Europa qualche babbeo identificava come una sorta di DC musulmana, prese il nome di Front Islamique du Salut, (Fis) che nel 1989 si impose nelle elezioni amministrative e nel 1991, vinse le politiche caratterizzate da elevato assenteismo dove il quorum non superava il 30%.

Fecero la loro comparsa due bei profili: il Presidente del Fis, il politico Abassi Madani e il vice presidente, lo spirituale Ali Belhadj.

Fis Abassi Madani Ali Belhadj.

il Presidente del Fis, il politico Abassi Madani e il vice presidente, lo spirituale Ali Belhadj.

Il Fis, alleato ad altre due piccole realtà islamiste, sostenuto da una massa giovanile di diseredati che lo scelse più per vendetta nei confronti di un establishment di mariuoli, che per protesta, e favorito dalla litigiosità degli altri partiti, diventava il padrone dell’Algeria e provvedeva immediatamente a marcare il territorio con una serie di provvedimenti amministrativi inequivocabilmente confessionali che consolidavano quelle che erano diventate consuetudini non algerine già imposte dai suoi militanti.

Il gioco era stato relativamente facile perché, in barba all’adesione al ba’athismo sposato dai liberatori dell’Fln, la costituzione dell’Algeria liberata nel 1962 prevedeva (e tutt’ora prevede) l’obbligo della religione islamica per ogni cittadino algerino, rendendo di fatto stranieri anche quei cittadini francesi e cristiani, ormai algerini, che al momento dell’indipendenza avevano scelto di rimanere in Algeria… proprio come il Cardinale Leon Etiènne Duval, chiamato bonariamente dagli algerini di buonafede Mohammed Duval. 

Una banda di politici presuntuosamente velleitari quanto incapaci e spesso disonesti che imperversa dal 1962 e che ha dato il meglio del peggio di sé negli anni ’80-’90, ma che imperversa ancora oggi, ha fatto il resto.

Nel ’92 l’allora Capo di Stato Maggiore delle Forze armate algerine, il Generale Khaled Nezzar si presentò all’imbelle Presidente Chadli Ben Jedid inducendolo a dimissionare. «Signor Presidente, o si dimette o la dimetto io» gli intimò, mettendo mano alla pistola, costringendolo a sciogliere «un parlamento illegittimo in balia di traditori della nazione». 

Contemporaneamente venne creato un alto Consiglio per la sicurezza nazionale che metteva fuorilegge il Fis.

Dopo tale iniziativa, il Generale Nezzar si ritirò nella sua villa in attesa della morte imminente preannunciata dal suo cancro al cervello, ma che, a tutt’oggi, non é ancora avvenuta.

La futura strategia dell’Islam militante: la «da’wa» e il «jihad», ossia proselitismo e lotta (ovviamente armata) 

All’inizio degli anni ’70 un ex combattente per l’indipendenza diventato fervente musulmano, Moustapha Bouyali, in risposta al malgoverno dell’Fln aveva dato vita a un «maquis» denominato «movimento islamico armato algerino» che ha avuto vita breve perché nel ’75 é stato debellato, tuttavia aveva risvegliato, specialmente nella popolazione più giovane, la volontà di opporsi a un regime connotato da ingiustizia sociale e corruzione.

E che, per certi aspetti, faceva rimpiangere i colonizzatori francesi, e andava ad incrementare un insopportabile complesso di inferiorità nei confronti degli ormai frusti colonizzatori. 

Quel sentimento ormai dilagante nella popolazione algerina verrà raccolto dal Fis il quale, pur astenendosi dal ricollegarsi a quel movimento, ha proposto all’ampia base giovanile quello che sarà il primo slogan dell’Islamismo e che riecheggerà nella Tunisia del 2010 durante la cosiddetta primavera (n.d.r., ma primavera di cosa?!): «la propreté de l’Islam».

Quasi magicamente, appena il Generale Nezzar aveva dato il benservito al Presidente Ben Jedid e costituito l’alto Consiglio per la sicurezza nazionale, il disciolto Fis ha tirato fuori dal cilindro l’Ais, ossia l’Armée Islamique du Salut, armata di tutto punto, la quale, dopo alcune azioni sanguinarie ai danni di poliziotti, gendarmi e militari, ha partorito quello che sarà il prototipo per futuri gruppi jihadisti: il Gia ossia, il Gruppo Islamico Armato che ha aperto la caccia agli stranieri.

il Gia, nelle sue due componenti (la nazionalista jazairita e l’internazionalista salafita) é responsabile di esazioni e massacri ai danni della popolazione algerina religiosamente tiepida e dell’uccisione di oltre un centinaio di stranieri (tecnici, piccoli imprenditori, alcuni diplomatici, alcuni consiglieri militari) nonché di una ventina di preti e suore; personalmente ricordo quattro religiosi nella Kasbah di Algeri, altrettanti a Tizi Ouzou, il Vescovo di Orano e i sette monaci di Tibharine.

Il salto di qualità: un anticipo dell’11 settembre

All’ala internazionalista del Gia é attribuibile un’azione squisitamente terroristica nell’accezione del termine che noi usiamo per indicare azioni ad elevato profilo tecnico/tattico: il 24 dicembre del 1994, un gruppo di fuoco del Gia si impossessò di un aereo Air France in attesa di decollo dall’aeroporto di Algeri. Dopo aver giustiziato a titolo dimostrativo un funzionario dell’ambasciata di Francia, trucidandolo davanti al portellone anteriore dell’aeromobile per poi lasciarlo cadere giù a terra, e aver richiesto la liberazione di Abassi Madani e Ali Bel Haj, si alzò in volo in direzione Marsiglia.

Ho seguito gli eventi di quel giorno passo passo, e ci é immediatamente apparso chiaro che di Abassi Madani e Ali Bel Haj, a quei dirottatori non gliene importasse nulla.

Infatti, appena atterrati a Marsiglia si é capito che l’intenzione dei terroristi era quella di portare l’aereo a schiantarsi su Parigi… anticipando così di 7 anni quell’azione di gruppo di dirottatori jihadisti (probabilmente figlio naturale o adottivo, poco importa, di quel Gia salafita) che l’11 settembre del 2001 ha portato a termine, schiantando due aerei sulle torri gemelle di New York, l’azione interrotta dal GIGN francese sette anni prima.

Altri due attentati con utilizzazione di esplosivo ai danni della  metropolitana di Parigi (1995-1996) evidenziavano – ad uso e consumo di chi in Europa continuava a lagnarsi per  l’estromissione poco democratica del Fis dal governo dell’Algeria – la proiezione internazionale del GIA Salafita o internazionalista.

A conferma di un legame tra i jihadisti algerini di allora e quelli di oggi, sia quelli sparpagliati come foreign fighter in Europa, sia quelli che costituiscono gruppi jihadisti omogenei in Medioriente e nel Sahelo-Sahara (ISIS, AQMI, ANSAR, GSPC) ricordo che tra il 1994 e il 1997 ad Algeri si respirava un clima di terrore per il fatto che alcuni nuclei di fuoco del GIA salafita, che ormai agiva quasi indisturbato nei villaggi e nelle rotabili dell’entroterra, si erano spinti fino nella periferia di Algeri. Dove, travestiti da poliziotti, avevano allestito dei falsi posti di blocco e avevano intercettato e sgozzato alcuni stranieri. 

Nel 1997, il GIA (si ritiene quello internazionalista perché ormai quello nazionalista era stato estromesso) ha investito due villaggi: Ben Talaha dove il 29 agosto sono state uccise 250 persone, e Hai Rais dove il 23 settembre le vittime sono state 500. La maggior parte sgozzati per rappresaglia, in un macabro rito punitivo con riprese video, proprio come usa fare l’Isis o Daesh oggi, perché accusati di aver fornito collaborazione alle Forze dell’ordine.

E’ evidente che tutto questo, occorso tra la fine degli anni ’80 e ’90 e che ho vissuto in prima persona cercando di capire chi ci fosse dietro a quei gruppi che evidentemente erano strumento di interessi allora non ancora svelati, non può non rimandare a quel che sta accadendo oggi in Europa, in Medioriente, nel Maghreb e nel Sahelo Sahara.

Durante la mia permanenza in Algeria, mentre in Europa si guardava con spavento agli Ayatollah iraniani perché si riteneva che la minaccia potesse provenire da quell’Islam lì, mi era giunta voce, poi verificata, che più volte, delegazioni diplomatiche e non dell’Arabia Saudita circolavano liberamente in un’ Algeri quasi sotto assedio.

Erano state anche intercettate da falsi posti di blocco tenuti dal GIA senza che nessuno di loro fosse stato toccato. Ciò era determinato dal rispetto per la primazia religiosa di quel Paese? Oppure dal pagamento di laute prebende per non essere toccati dalla ferocia jihadista? O ancora per intese operative? O, semplicemente per fratellanza?

Personalmente propendo per tutte e quattro queste ipotesi che sostanzialmente sono compatibili. Certo é che, in quel periodo, se un gruppo del GIA avesse intercettato un diplomatico occidentale non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di sgozzarlo.

Contenuto Pubblicitario
Banner Istituzionale Italpress 666x82