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App e wearable devices: Il contact tracing tra bisogno di sicurezza e sorveglianza

App e wearable devices: Il contact tracing tra bisogno di sicurezza e sorveglianza

23 Giugno 2020 0 Di Vittorio Zenardi

Dall’App Immuni alle tecnologie indossabili per il contact tracing, si assiste all’elaborazione di scenari e futuri possibili, sia da parte degli ideatori di questi dispositivi socio-tecnici, che da parte degli utilizzatori finali che, nell’interpretare e agire le funzionalità degli strumenti, ne ridefiniscono usi, campi e modi di applicazione.

App e wearable devices: Il contact tracing tra bisogno di sicurezza e sorveglianza

di Stefania Capogna, Professore Associato e Direttrice del Centro di Ricerca Digital Technologies, Education & Society, Link Campus University e Responsabile Osservatorio Educazione Digitale AIDR

 

Si è parlato di App e wearable devices il giorno 18 giugno 2020 nel corso di una Digital Conference promossa dai centri di ricerca DiTES (Digital Technologies, Education & Society) e DASIC (Digital Administration and Social Innovation Center), della Link Campus University, in collaborazione con AIDR (Associazione Italiana Digital Revolution).

Obiettivo di questa Tavola Rotonda plurale con ospiti del mondo accademico, del mondo aziendale e della società civile, era quello di riflettere sul modo in cui le interazioni con questi artefatti tecnologici modifica la scena e le relazioni nella cura e nella sicurezza della persona.

Dall’App Immuni alle tecnologie indossabili per il contact tracing, si assiste all’elaborazione di scenari e futuri possibili, sia da parte degli ideatori di questi dispositivi socio-tecnici, che da parte degli utilizzatori finali che, nell’interpretare e agire le funzionalità degli strumenti, ne ridefiniscono usi, campi e modi di applicazione.

Come ha ricordato Veronica Moretti (Università di Bologna) la discussione sulle ambivalenze presentate da queste tecnologie richiamano alla mente le ipotesi filosofiche Foucaultiane, l’immagine del Panopticon, le istituzioni totali, l’auto disciplina suscitata dalla consapevolezza di essere scrutati in ogni istante. La sorveglianza digitale, pur essendo molto più pervasiva e presente del “carcere ideale”, assume un carattere “dolce” e invisibile. Non è percepita nella quotidianità, ma è costantemente presente nelle nostre vite, irrompendo sulla scena improvvisamente nella discussione odierna, penetrando in molti spazi della nostra sfera privata. Uno tra questi, la tracciabilità a scopo sanitario che fa apparire la libertà soggettiva come “pericolosa per la sicurezza propria e altrui”. Da qui la doppia lettura sulla necessità di utilizzo di tali dispositivi e la loro applicabilità nei vari contesti. Nel fragile equilibrio tra le finalità utili alla sicurezza personale e collettiva e la possibilità di entrare nella sfera dell’intimità e della libertà individuale si gioca l’ambivalenza tra controllo e protezione.

Per questo è interessante riflettere sull’utilizzo delle App nel quotidiano e negli ambiti lavorativi. A questo proposito, Francesco Miele (Università di Padova) si è soffermato sul loro uso nel monitoraggio della salute, come ad esempio attraverso il ricorso, da parte delle aziende, dei braccialetti a garanzia della sicurezza dei lavoratori, o delle App per il monitoraggio delle abitudini e dello stile di vita quotidiano.

Ebbene, quali scenari futuri si aprono nella raccolta dei parametri vitali dei dipendenti? E per quale tipo di utilizzo?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi sollevati nella discussione che tocca anche il tema della fiducia, della consapevolezza, dell’affidabilità delle infrastrutture stesse che detengono questi dati, del rischio alimentato dalle nuove frontiere del crimine on-line ecc..

Questioni cruciali che meritano una riflessione attenta, approfondita e diffusa che si deve confrontare con i sempre possibili rischi di effetti perversi, non voluti, involontari, come quelli paventati dagli scenari del controllo totale stile “Grande fratello”. Scenari accompagnati dalla possibilità di commerciare i dati personali a scopi consumistici, inducendo bisogni di mercato data driven, connessi a forme speculative di industria della salute 4.0. Un fenomeno, questo, alimentato in modo più o meno consapevole dalla tendenza diffusa a cedere dati personali in cambio di servizi digitali. Le App legate al wellness sono uno degli esempi più caratterizzanti. Sono App, alle quali permettiamo con serenità il monitoraggio della nostra quotidianità, la geolocalizzazione dei nostri movimenti, auspicando di raggiungere un maggiore benessere e il miglioramento del nostro stile di vita.

Si pone su un piano diverso la sperimentazione dell’App Immuni per il controllo della pandemia, che è stata accompagnata da forti elementi di perplessità e scetticismo. Le perplessità più rilevanti, come ha raccontato Beba Molinari (Università di Catanzaro) hanno riguardano la tracciabilità delle singole persone per contrastare la diffusione del virus, in considerazione del fatto che la funzione di questo dispositivo è nel poter “segnalare” i contagiati, permettendo di ricostruire l’evoluzione della spirale del contagio, mediante geolocalizzazione bluetooth o GPS. L’evidenza di poter essere continuamente geolocalizzati attraverso lo Smartphone ha alimentato il dibattito sul valore di questa App. Un dibattito che ha palesato uno scontro di valori e di priorità nella dicotomia sicurezza sociale e libertà personale, in considerazione del fatto che l’efficacia dell’applicazione si basa sull’utilizzo del GPS, al fine di rendere effettiva la “mappa di prossimità”, per tracciare rapidamente il rischio di focolai. Nonostante le criticità e il dibattito in corso, dal 16 giugno ad oggi sono 2,5 milioni i cittadini che hanno scaricato l’App.

Tuttavia, l’App Immuni rappresenta solo un elemento, forse nemmeno il più importante, di una trasformazione radicale del Sistema Nazionale Sanitario che già da diversi anni si è incamminato verso la sfida di una riconversione volta a valorizzare tutte le opportunità previste dal piano Sanità digitale.

Un piano, come ha spiegato Alessandro Di Falco (CONSIS), che chiede una forte progettualità di natura strategica e prospettica che sia in grado di rimettere al centro il cittadino/paziente e la necessità che egli sia titolare e responsabile dei suoi dati sanitari.

Quante volte il cittadino ha realmente accesso ai dati sulla sua salute? Quante volte in caso di degenza i nostri parametri vitali vengono raccolti e si accetta il consenso informato sulle terapie? Quanto è davvero informato questo consenso? Quanto pesa sulla sanità pubblica e sul soggetto la frammentazione e la dispersione dei dati sanitari?

Ogni cittadino, in maniera variabile in base all’età e al vissuto personale ha una storia clinica articolata. Una storia dispersa all’interno di una varietà di strutture (ospedali, laboratori, professionisti, medici di base, ecc.) che non dialogano tra loro e che, per lo più, non viene nemmeno interamente consegnata ai titolari del dato. Anche la migliore applicazione tecnologica in uno scenario in cui i dati sanitari non sono organizzati, e l’infrastruttura deputata a gestirli si presenta disomogenea da Nord a Sud, e frammentata da Regione a Regione, rende difficile la possibilità di intravedere la decantata Sanità 4.0. Una sanità che vorrebbe essere più vicina al cittadino e capace di offrire servizi di qualità e tutela della sicurezza.

Certamente va fatta una distinzione tra le App dedicate al wellness e quelle dedicate alla cura, alla ricerca e alla sanità in senso stretto.

L’insieme di questo secondo gruppo di dispositivi di tipo sanitario non è ancora sufficientemente conosciuto e studiato. Non vi è una sufficiente comprensione di come possa contribuire a ridisegnare la rete di relazioni e assistenza sui territori. Ma allo stesso tempo apre una finestra sul tema della diagnostica a distanza, della diagnostica robotica, della telemedicina ecc. L’App Immuni quindi è solo l’apice delle infinite possibilità di ripensare il sistema, lasciando intravedere una trasformazione più profonda e complessa che apre grandi sfide ai mutamenti sollecitati dallo scenario della Sanità digitale.

Quello che emerge dalla discussione è che la trasformazione digitale del sistema sanitario si gioca a diversi livelli rispetto ai quali è forse necessario costruire occasioni di convergenza.

In primo luogo, si pone la questione della narrazione che si sviluppa intorno a queste tecnologie, e come questa narrazione influenza la formazione di un’opinione pubblica e dell’agenda setting attorno al tema, lasciando trapelare la responsabilità degli organi della comunicazione istituzionali e non.

In seconda istanza, si evidenzia la necessità di iniziare a pensare queste tecnologie in termini di ‘ecosistema’, mediante un approccio ‘ecologico’ che possa favorire il dialogo e lo scambio. Strettamente connesso a questo punto si pone il tema delle infrastrutture e delle architetture locali, nazionali e sovranazionali che non solo influenzano la progettazione di tali tecnologie ma che si devono porre anche come garanti nei confronti della cittadinanza, ad esempio rispetto al tema della proprietà dei dati, la loro tutela, la crittografia, la trasparenza, la certificazione delle App ecc..

Inoltre, l’emergenza Covid-19 ha portato alla luce, ponendolo sul piano del dibattito pubblico, la questione dell’invisibilità e della pervasività della tecnologia che rende possibile una forma di controllo sempre meno fisico e materiale, quindi sempre più subdolo e nascosto. Una forma di controllo in cui non si sa bene chi controlla chi, con quali scopi, a vantaggio di chi. Un controllo capace di penetrare anche l’intimità della persona, la sfera personale e affettiva e per questo, quindi, anche molto violento.

L’esempio dell’App Immuni e del contrasto che si gioca nella contrapposizione tra gestione centralizzata e gestione decentralizzata fa ben comprendere che l’introduzione e l’adozione della tecnologia all’interno del sistema di governance del Sistema Sanitario si gioca nello spazio di una policy a doppia polarità, cioè tesa tra sistema centrale (il livello nazionale) e sistema locale (le regioni), a cui si aggiunge una terza polarità, esercitata da quella vasta pletora di privati che detengono la tecnologia, i dati, l’algoritmo di analisi del dato ecc..

Certamente, questo apre uno scenario di possibilità ma anche il rischio di nuove forme di ingiustizia sociale. Ingiustizia determinata dal grave divario digitale (digital divide) che affligge il nostro paese e lo stesso ‘villaggio globale’, e che si misura non solo in termini di accessibilità alle infrastrutture, ma anche in relazione alla scarsa cultura e competenze digitali che affliggono molta parte della popolazione, interessando anche molte professionalità.

Resta il fatto che la tecnologia sicuramente è un alleato, è una risorsa ma non è auto-risolutiva, non è la panacea per tutti i mali. C’è bisogno di orientare un processo di “domesticazione” e di socializzazione alle tecnologie che accompagni le persone ad approcciarsi ad esse come soggetti attivi, in grado di esercitare una loro agency consapevole, la loro libertà di scelta e il loro pensiero critico nel quadro di una responsabilità personale e collettiva.

Questo sposta la riflessione sul piano della formazione, dell’educazione, dell’inclusione e dell’accompagnamento delle persone all’utilizzo appropriato e cosciente di questi strumenti.

Infine, la crisi economica e sociale determinata dalla pandemia ha aperto una finestra sui cosiddetti “invisibili”. Alcuni sono invisibili per scelta perché scelgono (sanno come esercitare il diritto di scelta) di non essere tracciati; ma la gran parte rappresentano solo la sommatoria di fragilità umane e sociali che trovano nel digitale il loro apice semplicemente perché sono esclusi.

Il digitale rappresenta così la nuova cinta muraria invisibile che separa gli ‘eletti’ dagli ‘esclusi’. Ma allo stesso tempo può rappresentare anche lo strumento mediante il quale raggiungere i più lontani. Questo significa che non si può pensare di affrontare il tema delle App e dei wearable devices, o di qualsiasi altra tecnologia, esclusivamente in termini tecnici. Le tecnologie, come sempre in ogni epoca, ripropongono il tema del conflitto di potere.

La storia insegna che il governo della tecnologia consente l’esercizio del potere sulle persone, sulla società e sul sistema economico. Per questo il tema va affrontato attraverso la lente “dell’ecologia delle relazioni sociali e materiali” che contraddistinguono la società ipertecnologica e digitale che ci pervade e pervade le nostre vite e le nostre comunità.  Ma soprattutto va affrontato nei termini di un’idea di futuro.

Quale modello di società si intende progettare e costruire? Quale visione di umanità?

Quale soggettività può esprimersi, e come, nel complesso quadro di relazioni socio-tecnico-materiali del sistema di cura 4.0?

L’esperienza dell’emergenza e l’analisi delle criticità connesse all’uso dell’App Immuni, e di qualsiasi tecnologia di cura, mostra che il successo dell’applicazione dipende dalla compartecipazione verso una prospettiva comune. Diventa centrale allora il tema dell’etica della co-responsabilità che si sintetizza nella comune disposizione a costruire responsabilmente, ciascuno nel suo ruolo e nelle sue possibilità, la quotidianità del nostro vivere comunitario. Una quotidianità fatta di interdipendenze reciproche in cui ciascuno ha bisogno dell’altro per esistere e sussistere.

E’ in questo quadro di interdipendenze che si muovono nel nuovo spazio socio-materiale digitale che si gioca oggi anche la sfida della relazione medico-paziente e che sarà oggetto della Digital Conference del prossimo 25 giugno.

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