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Biden al lavoro fra decreti e nomine: che aria tira a Washington?

Biden al lavoro fra decreti e nomine: che aria tira a Washington?

25 Gennaio 2021 0 Di Tommaso Corno

La missione di Joe Biden nei primi giorni da Presidente è chiara: cancellare quel che resta di Trump. La partenza sembra dettare un percorso chiaro, ma gli spettri della retorica sono dietro l’angolo.

Biden, partenza sprint: 30 ordini per dimenticare Trump

Trenta ordini esecutivi e cinquantuno nomine ufficiali di cui due già approvate dal Senato: è questo il bilancio dei primi tre giorni di Presidenza di Joe Biden, insediato lo scorso 20 gennaio come 46° Presidente degli Stati Uniti d’America.

Ed è proprio grazie a questo bilancio che si può iniziare, seppur cautamente, ad analizzare che aria tira alla Casa Bianca e cercare di comprendere che America vedremo nei prossimi quattro anni.

Non appena insediato, Biden parte in quarta, emanando una moltitudine di decreti esecutivi mirati in particolare alla revisione di molte delle misure introdotte dall’amministrazione Trump e al contrasto dell’emergenza coronavirus.

Fra queste, il rientro degli Stati Uniti negli Accordi sul clima di Parigi e nell’OMS, dove Anthony Fauci sarà capo delegazione, nonché lo stop alla costruzione del muro al confine con il Messico.

Per combattere il virus, in aggiunta alle misure per accelerare la distribuzione del vaccino, viene introdotto l’obbligo di mascherina in tutti gli edifici federali, negli aeroporti e sui mezzi di trasporto pubblici.

Sul piano sociale, la presa di distanza nei confronti del predecessore è evidente.

Vengono poste le fondamenta per innalzare il salario minimo a 15 dollari l’ora, e restituire ai dipendenti federali il potere di negoziato collettivo, che era stato fortemente ridotto da Trump.

Viene inoltre cancellata la commissione “1776”, critica nei confronti del Movimento dei diritti civili, voluta dall’ex-Presidente per promuovere l’insegnamento ‘patriottico’.

Vengono infine sollevate le restrizioni di ingresso ai cittadini di sette paesi prevalentemente musulmani.

Tutte misure in linea con la promessa elettorale di Biden: dimenticare Trump e creare maggior equità, tolleranza e diversità.

L’esecutivo di Biden: diversità per il cambiamento

Il compito più impegnativo ora è quello di presentare le oltre 4mila nomine necessarie per completare la transizione, 754 delle quali richiedono l’approvazione del Senato.

Sebbene di queste ultime manchi ancora la maggior parte, i nomi di rilievo non mancano.

Fra questi risalta quello di Rachel Levine, nominata sottosegretario alla Salute, che una volta confermata al Senato diventerà la prima ufficiale del governo federale apertamente transessuale.

Così come quello di Deb Haaland – di origini nativo americane  – e chiamata alla segreteria del Dipartimento dell’Interno, il cui nome ha suscitato le critiche del Partito repubblicano per la rilevanza che il dipartimento ha nei rapporti con le popolazioni indigene.

L’intento di Biden è chiaro: portare la diversità ai massimi storici all’interno del governo federale. Un gesto che, presumibilmente, indica l’inizio di un percorso veramente progressista e mirato a combattere le frizioni presenti nella società americana.

La retorica di Biden, tuttavia, non sembra avere vita facile. Sono in molti ad aver criticato il Presidente per le centinaia di migliaia di deportazioni effettuate durante il suo periodo da vice di Barack Obama, che egli stesso a febbraio dello scorso anno ha definito un “grave errore”.

La ricerca di diversità nelle nomine alle varie agenzie non basterà a guadagnare la fiducia degli scettici: servirà costanza e coerenza nelle azioni, che dovranno esser volte non solo a cancellare l’eredità di Trump, ma a costruire in maniera propositiva quell’America ‘unita’ che il numero uno della Casa Bianca dice di sognare.

Il nodo Cina: gli ideali che si scontrano con la realtà

A non aiutare il Presidente sono le parole di condanna della Cina pronunciate nel giorno dell’insediamento dall’ex-Vicepresidente Mike Pence, che ha definito la detenzione del popolo Uiguro in campi di ‘rieducazione’ un genocidio, rendendo gli Stati Uniti il primo paese ad adottare questo termine.

Se da una parte Biden intende ristabilire contatti più diplomatici con il governo di Xi Jinping, è altresì vero che, in questo momento, ogni passo di avvicinamento sarà visto dai critici del neo-Presidente, soprattutto dalla Sinistra più radicale, come un gesto assolutivo nei confronti dei Cinesi.

Si prospetta dunque un periodo di diplomazia complicata in Oriente, come tradizionalmente avviene durante i governi “Dem”.

Una sfida che si giocherà anche sul piano economico, e che sicuramente vedrà gli Stati Uniti mantenere una linea dura su sanzioni e commercio, almeno fino ad un miglioramento dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani nella Repubblica Popolare.

Con Biden, sembrerebbe che l’America si stia preparando veramente a voltare pagina. Solo il tempo potrà dirci se l’abbrivio di inizio mandato porterà con sé un vero e proprio cambiamento, ma senza dubbio l’aria che tira a Washington è quella fresca di un America post-Trump.

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