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Carabiniere ucciso funerali in diretta e certezze in differita

Carabiniere ucciso funerali in diretta e certezze in differita

28 Luglio 2019 0 Di Claudia Svampa

Domani su Rai Uno alle 11,55 in diretta i funerali del carabiniere ucciso a Roma. La ricostruzione dei tragici fatti invece resta impantanata in dinamiche discordanti e in attesa di conferme, dove il condizionale della narrazione resta ancora d’obbligo.

Domani in diretta i funerali del carabiniere ucciso

Il volto di Rosa, la moglie di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso nella notte tra il 25 e il 26 luglio a Roma, é una maschera di dolore mentre accoglie oggi, presso la camera ardente a Roma, il feretro dell’uomo che aveva sposato meno due mesi fa.

Accoglie il vicebrigadiere in una bara, avvolta dal tricolore. E’ ciò che le resta del suo uomo in divisa, che amava da tanto e per il quale si era trasferita a vivere a Roma, perché é lì che avrebbero voluto far nascere e crescere i loro futuri figli.

Domani Raiuno trasmetterà il suo dolore, quello della famiglia, dell’Arma e di un intero Paese, attraverso la diretta dei funerali di questo giovane vicebrigadiere 35enne dai limpidi occhi azzurri, che ha perso la vita in maniera inspiegabile, onorando la sua scelta di vita ed emozionando gli italiani per la generosità verso il prossimo.

La giovane moglie lo saluterà, per l’ultima volta, nella stessa Chiesa di Somma Vesuviana che un mese e mezzo fa li aveva visti entrare come sposi.

Ricostruzioni lacunose e pessime polemiche, qualche informazione in più aiuterebbe

Intanto, dopo due giorni di assoluto silenzio da parte delle fonti ufficiali, dopo quarantotto ore di notizie che si sono rincorse e smentite, di ricostruzioni lacunose, e pessime polemiche politiche, qualche informazione in più sembrerebbe schiarire le tante ombre e incongruenze che hanno accompagnato il drammatico delitto del carabiniere ucciso.

E sempre oggi il Gip Chiara Vallo ha convalidato il fermo di Elder Finnegan Lee, 18 anni e Christian Gabriel Natale Hjorth 19 anni, entrambi studenti californiani in vacanza a Roma, e accusati del delitto del vicebrigadiere.

Pochi i fatti accertati

Mario Cerciello è stato ucciso tra le 3 e le 3,30 dell’alba del 26 luglio in via Pietro Cossa, nel quartiere Prati, a seguito di otto colpi di arma da taglio uno dei quali, letale, sferrato all’altezza del cuore.

Si trovava sul luogo in compagnia del collega Andrea Varriale che, nel tentativo di soccorrerlo, non è riuscito a bloccare gli aggressori che si sono dati alla fuga.

La notizia, drammatica, é arrivata alla stampa parecchie ore dopo, intorno alle 9 del mattino.

Per l’omicidio sono stati arrestati due giovani studenti americani: Christian Gabriel Natale Hjorth e Elder Finnegan Lee.

Quest’ultimo, ne corso dell’interrogatorio, ha confessato di essere stato lui a pugnalare il carabiniere con un coltello, dichiarando di non aver capito di avere davanti un uomo delle forze dell’ordine.

I due americani, nel pomeriggio del giorno precedente, si erano recati in piazza Mastai, nel quartiere Trastevere, con l’intento di acquistare una dose di cocaina del valore di 100-110 euro e in cambio avevano ricevuto un cosiddetto «pacchetto»: una pastiglia di analgesico al posto della droga.

Accortisi della truffa i due sarebbero tornati a cercare il pusher e gli avrebbero rubato lo zaino, dandosi alla fuga e ripresi dalle videocamere di sorveglianza istallate in zona.

A seguito della perquisizione nella stanza dell’hotel dove i due giovani alloggiavano, sono stati rinvenuti l’arma del delitto, occultata dietro un pannello di contro soffittatura della camera, gli abiti sporchi di sangue e lo zainetto rubato, nascosto in una fioriera della hall dell’hotel.

Dopo due giorni di silenzio stampa oggi davanti ufficiali é stato diramato un audio di chiamata al 112 dove l’ipotetico pusher derubato, Sergio Brugiatelli richiedeva l’intervento dei militari dell’Arma per il furto del suo zaino, informandoli della conseguente richiesta di estorsione da parte dei ladri contattati attraverso il cellulare rimasto nello zaino sottratto.

Quello che ancora non si sa

Non è ancora chiaro se l’intervento del vicebrigadiere Cerciello e del suo collega Varriale, in piena notte e in borghese, sia avvenuto per un diretto contatto tra loro e Sergio Brugiatelli o su incarico del comando superiore nel quadro di un’azione investigativa antidroga.

Non si sa esattamente se i due carabinieri fossero o meno armati e se il loro intervento abbia coinvolto o meno direttamente nell’operazione altre pattuglie di supporto.

Non sono state rese note le caratteristiche dell’arma del delitto né le modalità con le quali i due americani, in vacanza a Roma, sarebbero riusciti entrate in possesso.

Non sono stati resi noti i risultati degli esami tossicologici sui due arrestati.

I punti che non tornano

Il giorno successivo l’omicidio, attraverso canali web non pubblici e legati ad ambienti della forza dell’ordine, sono stati indicati come possibili autori dell’efferato omicidio quattro maghrebini: tre marocchini e un algerino.

Nomi e volti sono arrivati così alla stampa in via non ufficiale, attraverso l’invio di foto segnaletiche archiviate in caserma e dalle quali si evinceva che tutti e quattro fossero schedati per precedenti reati.

Altrettanto inspiegabile appare l’immagine, fatta circolare oggi sempre da ambienti vicini all’Arma e arrivata ai media, che ritrae Elder Finnegan Lee in manette e bendato nel corso dell’interrogatorio di garanzia. E che rappresenterebbe un assist incredibile per la difesa del giovane americano.

Non é chiaro come e perché, in relazione a un furto ordinario avvenuto in zona Trastevere siano stati chiamati a intervenire due carabinieri appartenenti alla caserma di piazza Farnese.

Appare inverosimile che Sergio Brugiatelli, il derubato, fin dalla prima ora definito pusher e all’indirizzo del quale si sarebbero rivolti i giovani americani per l’acquisto di droga, abbia ritenuto di denunciare il furto del suo zainetto chiamando il 112 e dunque automaticamente anche autodenunciarsi.

Resta incredibile il fatto che il presunto omicida, studente americano di esile corporatura sia riuscito, attraverso una colluttazione con un uomo alto robusto allenato alla difesa e all’attacco, ad atterrarlo, a colpirlo per ben otto volte al torace e al cuore.

La giovanissima età, la fisicità minuta e l’inesperienza rispetto a modalità tipiche dell’addestramento militare che non sembra possano essere attribuibili al ragazzo, lasciano basiti non solo se si considera l’efferratezza e la brutalità dell’atto, ben otto coltellate, ma anche se si valuta la lucidità che una tale aggressione richiede, la forza fisica e in ultimo la tecnica addestrativa per poter orientare la lama nel corso della colluttazione in modo tale che possa perforare il costato.

Non ci sono stati chiarimenti sul perché, nelle prime dichiarazioni, il collega del vicebrigadiere, Varriale, testimone oculare dell’aggressione, li avesse descritti come nordafricani, indirizzando, anche lui, in quel senso la caccia all’uomo e come sia possibile che un carabiniere possa essere andato in confusione su tale riconoscimento.

Andrea Varriale é certamente un teste chiave nell’appurare lo svolgimento dei fatti, eppure in questi giorni il suo nome é scomparso dalle cronache.

I giovani americani non sembrerebbero essere delinquenti abituali, ma ragazzi con disponibilità economica, alloggiati a Roma in un hotel di lusso in zona Prati, e attratti dal consumo di alcool e droghe che costella da anni la movida di Campo de’ Fiori a Roma e ben nota e frequentata soprattutto da giovani di ambiente internazionale.

I due pare si trovassero a Roma per qualche giorno di vacanza dopo essere stati a Fiumicino in visita al nonno e in compagnia del padre di uno dei due.

Da consumatori di droga e non da spacciatori, tanto il movente quanto i profili dei due lasciano perplessi sul perché si siano infilati in ipotetico regolamento di conti con pusher romani potenzialmente pericolosi.

Perché poi gli americani dopo l’omicidio sarebbero rientrati in hotel con tutte le prove al seguito del loro gesto?

Coltello, abiti imbrattati di sangue, e fin anche lo zainetto nascosto nella fioriera della hall? Un comportamento, quasi, più infantile che criminale.

Ipotesi suggestive

In attesa della conclusione delle indagini e della chiara dinamica del delitto, sembra ormai evidente, seppur non ufficiale, che il pusher fosse in realtà un informatore delle forze dell’ordine nelle indagini su un presunto traffico di stupefacenti in quell’area.

Forse collaborava anche con il vicebrigadiere Mario Cerciello e il suo collega Andrea Varriale e ciò restituirebbe un senso sia al tempestivo e diretto coinvolgimento degli investigatori nel recuperare lo zainetto per non far saltare la copertura dell’uomo che «monitorava» la zona di Campo de’ Fiori e della movida romana, sia il coinvolgimento della Caserma di Piazza Farnese altrimenti del tutto estranea ai fatti.

Mancherebbe però il motivo dell’iniziale coinvolgimento dei quattro magrebini, a meno che non fossero proprio loro la banda di spaccio con i quali il pusher faceva da tramite nell’attività investigativa e verso i quali avrebbe potuto indirizzare i ragazzi americani per l’acquisto della cocaina.

Il «pacchetto» rifilato ai giovani, lo zainetto sottratto e il tentativo di recupero del contenuto, avrebbero scritto invece tutto un altro finale. Tragico e inaspettato. Un’ipotesi dove il condizionale é, e resta, ancora d’obbligo.

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