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Clima e armamenti: perchè ex ufficiali Ue chiedono investimenti nelle rinnovabili ?

Clima e armamenti: perchè ex ufficiali Ue chiedono investimenti nelle rinnovabili ?

05 Novembre 2025 Off Di Nunzio Ingiusto

Con una lettera ai capi di governo dell’Unione chiedono di includere gli investimenti in energia rinnovabile nella quota NATO per “infrastrutture critiche”

Armi e ambiente: due parole che iniziano con la stessa vocale, ma niente le mette in relazione. A meno che non si sveglino dei militari che vogliono provarci. Giorni fa una dozzina di alti ufficiali europei e britannici in congedo, hanno scritto ai capi di Governo dell’UE, chiedendo di includere gli investimenti in energia rinnovabile nell’1,5% della nuova quota NATO per “infrastrutture critiche”. Secondo loro, la crisi climatica è un rischio per la sicurezza nazionale e ridurre la dipendenza da petrolio e gas stranieri, aumenta la resilienza economica e rende meno vulnerabili le reti energetiche del vecchio Continente. Una posizione originale per chi ha comandato uomini, diretto eserciti, ha avuto a disposizione mezzi finanziari potentissimi per proteggere i Paesi da aggressioni e attacchi. La Nato governa il sistema di difesa e ora dovrebbe rispondere ai suoi ex alti gradi. Aspettiamo a vedere. Il gioco può anche essere rischioso per gli interessi economici che ci sono sia in campo energetico che militare. Muovere soldi da una parte all’altra è cosa che non riesce facilmente. Le infrastrutture critiche vanno protette, ma i militari che ispirano la manovra sono mossi da passione green o c’è altro ?

Il dibattito in Italia

In Italia, intanto, la lettera stimola le aziende delle rinnovabili per l’opportunità paventata per trasferire quel 1,5% del PIL agli investimenti in energia a basse emissioni. È una scelta di sicurezza nazionale, prima ancora che industriale che riduce la dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio, dice il Coordinamento FREE delle aziende rinnovabili. Se si riesce a fare, attenua la vulnerabilità agli shock di prezzo e limita l’esposizione a minacce contro infrastrutture centrali. Una rete energetica più distribuita, con produzione locale e sistemi di accumulo, indubbiamente risponde meglio a crisi geopolitiche e a eventi estremi. É  buon senso, ma non pare che il Paese stia andando nella giusta direzione della sostenibilità. “ Per l’Italia l’ordine di grandezza è un investimento annuo che si colloca a circa 33 miliardi di euro”, spiega  Attilio Piattelli di FREE.  Un programma di questa scala, metterebbe in moto filiere nazionali in progettazione, cantieristica, componentistica, gestione e manutenzione, con effetti sul PIL e sull’occupazione qualificata”. La lingua batte dove il dente duole, ossia sui ritardi che l’Italia ha accumulato negli investimenti in fonti rinnovabili e decarbonizzazione.

Clima e difesa

Nei prossimi anni, con gli obiettivi Onu sul clima, bisogna abbassare la dipendenza dalle fonti fossili riducendo la bolletta energetica a cominciare dalle imprese. L’1,5% si traduce in sostanza in una quota di resilienza a rinnovabili, accumuli, reti e digitalizzazione di sistemi. “L’efficienza negli usi pubblici critici, la gestione della domanda e il calore pulito costruiscono il fulcro di una difesa civile moderna ”aggiunge Piattelli che fa riferimento agli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina. Da settimane i siti energetici centralizzati sono diventati obiettivi principali della guerra da entrambi le parti. Un plauso, allora a generali e colonnelli che hanno posto il problema dell’allocazione dei soldi ? L’opzione sostituisce la finanza climatica legata alle rinnovabili ?  “No – risponde Piattelli- la integra, perché un’Italia che investe l’1,5% in energia pulita rafforza la sicurezza nazionale, tutela il tessuto produttivo e riduce trasferimenti di ricchezza a regimi che usano l’export fossile come leva geopolitica aggressiva”. La transizione energetica, inserita nel capitolo della resilienza è una partita da giocare. Prima di tutto, però, bisogna essere convinti della ineluttabilità del processo.

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