La difesa della lingua italiana, Camilleri: Troppo abuso di termini stranieri
12 Dicembre 2024Sono talmente tanti gli abusi e i soprusi che subisce, che è necessario agire per La difesa della lingua italiana, come afferma Paolo Camilleri nel libro che ha scritto e di cui ci parla in questa intervista.
Intervista a Paolo Camilleri, l’autore del libro La difesa della lingua italiana
Un testo che risale alle origini dei soprusi e degli abusi che oggi subisce la lingua italiana, che tanta parte ha avuto e avrà ancora nell’arte della scrittura, nella comunicazione, nell’amore del mondo per il bello. È “La difesa della lingua italiana”, l’appassionato libro scritto da Paolo Camilleri e appena pubblicato daIl’editore I Robin&Sons (in vendita, tra l’altro, anche qui).
Buongiorno, Paolo, e ben arrivato a parlare con noi di quest’argomento che ci riguarda tutti, ma che è vissuto da ognuno in un modo differente e personale: la propria lingua madre. L’italiano, nel nostro caso. Quando è iniziata questa tua passione per la linguistica? Ti andrebbe di scendere in dettagli su questo tuo rapporto così viscerale con l’italiano?
“Buongiorno Sandra, grazie per l’invito a disquisire di quest’argomento che, come hai ben detto, riguarda sì tutti, ma di cui tutti non parlano abbastanza, a mio modesto avviso.
Non ho una passione per la linguistica, ho semplicemente avvertito il bisogno, da diversi anni a questa parte, di studiare e analizzare questo fenomeno di disamoramento che ho l’impressione ci sia stato riguardo all’utilizzo dell’idioma nazionale, nel tentativo di porvi rimedio.
Per quanto riguarda il mio rapporto con la lingua italiana, vorrei farti notare che per una mentalità come la mia, in realtà, si tratta non tanto di viscere, che sono gli organi interni dell’addome, ma piuttosto, come dire, di materia grigia, organo nobile dell’uomo collocato dalla natura un po’ più in alto.
Ma vorrei cercare di spiegarlo meglio, questo mio punto di vista: il mio rapporto con il linguaggio potrebbe meno che mai definirsi come qualcosa di viscerale che, stando sempre alla nostra benamata Treccani, può riferirsi a un fenomeno “profondo e istintivo, e nello stesso tempo irrazionale e acritico.
Piuttosto, si tratta di [e qui, al secondo “piuttosto” usato correttamente, l’intervistatrice inizia a cadere nella rete del fascino analitico di quest’autore, n.d.r.] un “sentimento”, giacché pur sempre di sentimento si tratta, di grande rispetto, come si conviene a un pilastro culturale tanto misterioso eppure tanto vivo, tanto recondito e tanto presente, attuale, nel quale non vi può essere nulla di irrazionale e meno che mai di acritico.
Non amo la passione acritica, l’atrofizzarsi della mente, l’abbandono alla vena poetica e artistica senza il supporto della riflessione, del pensiero, dello studio e del ragionamento”.
Non solo contaminazioni costruttive, ma il malcostume dell’utilizzo di lingue straniere
Bella questa considerazione sulla complicità tra i nostri sentimenti e le nostre capacità mentali quando si tratta di lingua e di comunicazione, Paolo. Ora mi sta venendo una curiosità particolare, e il tema è forse banale e superfluo, ma da quando ho iniziato la lettura del tuo libro ho desiderato chiederti un parere su questo. Secondo te, la lingua italiana offre strumenti particolari all’arte della scrittura? Rispetto ad altri idiomi, intendo. Sarà magari magica, misteriosa, intrisa di poteri nascosti? Queste ultime parole prendile come una provocazione, le ho introdotte per farti arrabbiare un po’. Pensiamo razionalmente, come tu ci aiuti a fare, al confronto tra l’arte dello scrivere esercitata da chi padroneggia la lingua italiana e chi ne padroneggia un’altra. Ci sono differenze, ci sono caratteristiche peculiari che possono essere solo italiche, ci sono possibilità che il resto del mondo non ha? Sempre senza nulla togliere al resto del mondo, naturalmente: tutti abbiamo amato Shakespeare e Dostoevskij. Intendo quelle sfumature, quelle caratteristiche inimitabili che altre lingue possono avere a modo loro, e sicuramente ne hanno tante. Ma l’italiano che potenziale ha secondo te? Poi avrei una sotto-domanda: ci sono contaminazioni costruttive? In fondo, il fenomeno è sempre esistito. Come bisogna fare? Va arginato? Cerchiamo di capire meglio insieme come amare la propria lingua e proteggerla, diffonderne le tradizioni autentiche. Mi pare di capire che sia questa la tua intenzione, per cui mi piacerebbe capire meglio.
“Magari si potesse parlare di mode stilistiche che, come tali, avrebbero un decorso quasi sempre non troppo lungo, quando non lasciano addirittura il solo tempo che trovano!
Nel libro mi riferisco agli abusi di certe mescolanze, e ne spiego le origini, gli equivoci che li hanno formati, le conseguenze, così come l’illogicità della loro esistenza.
A mio parere, il malcostume dell’utilizzo di terminologia straniera, che oggi è quasi esclusivamente quella inglese, non è una moda, bensì qualcosa di più serio e grave che si sta drammaticamente sottovalutando o ignorando.
Le contaminazioni e integrazioni di cui parli, che sono cessate parecchi secoli or sono e che hanno effettivamente arricchito la nostra lingua, sono cosa ben diversa, per varie ragioni che spiego più diffusamente nel libro La difesa della lingua italiana e che vanno dall’inconsapevolezza linguistica alla sostituzione di sana pianta di parole italiane, quando non di intere espressioni, con quelle inglesi. Non è così che si arricchisce una lingua”.
Si può giocare con parole di moda e neologismi, ma in lingua italiana
E questo è senz’altro un argomento complesso che richiede la lettura del tuo libro La difesa della lingua italiana per intero, dato che in questo breve spazio di tempo possiamo solo accennare un punto di vista che è interessantissimo approfondire. Non potendo riuscire a dire qui tutto quanto (e non sarebbe neppure giusto, perché ci priveremmo del gusto della scoperta che la tua opera ci regala una pagina alla volta e che richiede un po’ piu di tempo), vorrei fare per un attimo un discorso frivolo. Spendiamo qualche parola sulle mode passeggere e chiacchierate, come quella del termine “petaloso”, che inglese non è ma che è stato di un’invasività altrettanto dilagante? In un certo periodo lo sentivamo ovunque, da chi ne parlava bene e da chi ne parlava male. Che ne pensi di certe incursioni della fantasia nel linguaggio di tutti i giorni?
“Volentieri, parliamone. A me queste mode, quando utilizzano parole italiane, fanno sempre simpatia. Ho letto qualcosa in proposito e pare che petaloso fosse già stato usato in passato sebbene, guarda caso, solo in contesti poetici”.
Quali sono i neologismi che ti piacciono, se ci sono? Ognuno di noi può inventarne? In che misura e in che forma è lecito per un vero amante dell’italico idioma “giocare” con la lingua e inventare costrutti o termini?
“Un neologismo che mi piace è cronopercorso. Io credo che ognuno di noi possa inventarne di nuovi e, quando si tratti di un qualsiasi cittadino rispettoso della sua lingua madre – definizione che preferisco a “vero amante dell’italico idioma” – non porrei troppi limiti alla sua fantasia purchè, poi, i suoi neologismi finiscano con l’attagliarsi bene alla lingua natia”.
E’ giusto correggere i congiuntivi?
Purché, insomma, non si faccia violenza alla propria lingua. Ecco, a proposito di violenza: tu che rapporto hai con il concetto di “grammar nazi”, espressione che simpaticamente (di solito) viene riferita a chi ci corregge i congiuntivi per strada o sui social? Tu ti senti un po’ grammar nazi?
“Non ho mai sentito questa espressione né, tanto meno, so se si tratti di un concetto. Ad ogni modo chi corregge un errore dovrebbe essere sempre ringraziato. Io, comunque, non avrei molta simpatia verso chi dovesse farlo con saccenza, in contesti non opportuni e senza tatto”.
Ottimo. Per essere uno che non ha mai sentito quest’espressione, figlia di contaminazioni e provocazioni, hai dato una risposta quantomai equilibrata. Ma ascolta. Nel tuo quotidiano vieni capito riguardo all’amore per la lingua, o ti è capitato di imbatterti in persone dal parlare sgrammaticato ai cui occhi ti rendi sgradevole? Consiglio a tutti noi: correggere le persone quando parlano è lecito o è meglio evitare?
“Mi è capitato, svariate volte, di venire compreso e apprezzato per questo mio attaccamento alla lingua italiana. Per la seconda parte di questa prima domanda non ho compreso bene il senso ovvero, e ripeto testualmente: se, imbattendomi in persone dal parlare sgrammaticato, io poi mi sia reso (loro) sgradevole”… Sarebbe?
Perché, come dire, presa alla lettera la domanda sembrerebbe indice di una certa sfiducia nella mia educazione, nel mio sapermi relazionare coi miei simili e ciò potrebbe essere interpretato come uno sgarbo ma, come sono solito fare, prima di pronunciarmi attendo chiarimenti su questo dubbio che mi suscita non poche domande. Ora sono io a essere curioso.
Per la seconda domanda, a meno che non si sia in grande confidenza, non credo sia un buon costume quello di correggere le persone mentre parlano e, in ogni caso, è bene sempre valutare il contesto in cui questo dovrebbe avvenire.
Il motivo della domanda sul risultare sgarbato lo intuisci, comunque si tratta del fatto di poter essere mal interpretati quando si ha una passione che altri non nutrono altrettanto bene: c’è chi si sente stimolato e chi meno, chi si lascia coinvolgere e chi addirittura si offende. Non credo di poter dubitare del garbo con cui curi la lingua e anche i parlanti che ti trovi a incontrare. Grazie, Paolo Camilleri. Le tue opinioni riempiono una pagina interessante, ma più interessante e utile è leggere il tuo libro La difesa della lingua italiana per intero.