Epatologia in Campania: “Fegato crocevia della prevenzione”
25 Novembre 2024Educazione e prevenzione a partire dalla scuola. Se ne parlerà durante il corso di aggiornamento “L’epatologia nel terzo millennio”. Dodicesima edizione all’Archivio di Stato di Napoli il 29 e 30 novembre
Le malattie epatiche rappresentano una sfida cruciale per la salute pubblica e possono essere
prevenute attraverso interventi mirati fin dalla giovane età. La Campania, da questo punto di vista, paga storicamente un prezzo altissimo alle malattie del fegato: 1.800 decessi l’anno per cirrosi epatica e/o tumore al fegato, 1.200 nuovi casi di tumore al fegato nel solo 2021 e 73 milioni di euro spesi per la sola assistenza ospedaliera sono alcuni dei dati più significativi che riguardano la regione. Di questo e di altro si parlerà durante la dodicesima edizione del corso di aggiornamento “L’epatologia nel terzo millennio”, promosso dall’ospedale evangelico Betania, responsabile scientifico Ernesto Claar, in programma venerdì 29 e sabato 30 novembre presso l’Archivio di Stato di Napoli.
“Il focus di quest’anno è ancor più multidisciplinare – chiarisce Claar, direttore dell’Unità
Operativa di Epatologia dell’Ospedale Evangelico Betania – sempre nell’ottica di divulgare il
progresso scientifico e l’avanzamento tecnologico in epatologia e far comprendere quanto le
malattie epatiche rappresentino una sfida cruciale per la salute pubblica e possono essere oggetto
di prevenzione fin dalla giovane età”.
Il convegno
Esperti da tutti Italia si confronteranno sulle ultime novità in materia attraverso le sessioni del
corso: dalla programmazione sanitaria all’importanza dell’alimentazione, dagli effetti dell’alcol alle
terapie in essere. Intercettare precocemente il paziente con malattia di fegato potenzialmente evolutiva, significa infatti ridurre la mortalità generale e riuscire ad applicare cure (antivirali, antidiabetici,
immunosoppressori, etc.) nella finestra temporale in cui possono essere maggiormente efficaci.
In questa dodicesima edizione, si punta a diffondere la consapevolezza, soprattutto tra i più
giovani, che intercettare la malattia di fegato negli stadi iniziali può fare la differenza e ridurre il
prezzo sociale ed economico che, ogni anno, il Sistema Sanitario Nazionale e la Regione Campania
pagano. In tal senso, sono disponibili algoritmi diagnostici utili ad anticipare la diagnosi e
modificare la progressione di malattie fino a ieri inesorabilmente evolutive. Una delle principali
cause di epatopatia rimangono i virus epatitici (epatite B, epatite C, epatite D) per i quali abbiamo
terapie straordinariamente efficaci, ma è indispensabile anche prevenirne la diffusione.
La Campania
“La Campania – spiega l’epidemiologo Mario Fusco – presenta un tasso di tumori epatici primitivi
(standardizzato per 100mila abitanti) più alto di alcuni punti rispetto al dato nazionale, sia nei
maschi che nelle femmine, ma il trend temporale di incidenza dal 2010 al 2024 è in costante
diminuzione. E sta diminuendo anche la mobilità passiva, che per la chirurgia è passata dal 37,8%
del triennio 2017-2019, al 29,8% nel 2022”.
Per mobilità passiva si intende l’indice di fuga da una Regione, ovvero le prestazioni sanitarie
erogate ai cittadini in Regione diversa da quella di residenza.
Le malattie
La vera epidemia del terzo millennio è inoltre la malattia da fegato grasso (steatosi epatica)
associata alla sindrome metabolica (obesità, diabete, alterato assetto lipidico); il 65% dei diabetici
e l’80% degli obesi ha “malattia da fegato grasso” che, troppe volte, evolve inconsapevolmente in
cirrosi epatica oppure in tumore al fegato.
Il soggetto affetto da steatosi epatica con infiammazione (steatoepatite) ha un rischio
cardiovascolare ed un rischio di sviluppare tumore al fegato enormemente più alto. La mancata
consapevolezza dei danni procurati dall’alcol rischia di produrre danni irreparabili.
L’epatologia
Per l’alcol non esiste una quantità minima consentita; andrebbe semplicemente evitato. Il fegato
riesce a metabolizzare non più di mezzo bicchiere di vino ogni ora; a maggior ragione il consumo
smodato e concentrato in poco tempo (binge drinking) è particolarmente dannoso. L’alcol rompe
il normale equilibrio tra morte e rigenerazione cellulare del fegato, producendo danni a lungo
termine, di cui la prima espressione è la steatosi epatica. Il fegato, apparentemente resiliente,
presenta il conto dopo anni di abusi.
Emanuele Scafato, Direttore dell’Osservatorio Nazionale Alcol, Centro OMS per la ricerca sull’alcol
spiega che “l’impatto dell’uso di alcolici in Italia determina costi sociali e sanitari che sono il frutto
della diffusa disinformazione sui danni che l’uso di vino, birra, superalcolici, amari, qualunque
bevanda alcolica causa in vaste fasce di consumatori, prevalentemente le più vulnerabili come i
minori e gli adolescenti, i giovani, le donne e gli anziani. Degli 8 milioni circa di consumatori a
rischio 1,3 milioni sono della fascia d’età tra gli 11 e i 24anno, di cui 650mila minori. Ben 2,5
milioni di donne e altrettanti anziani e anziane rappresentano lo zoccolo duro della prevenzione
che manca. Il bere per ubriacarsi adottato da quasi 4 milioni di italiani causa il ricorso al pronto
soccorso di 39mila persone, il 10 % rappresentato da minorenni. Questo è il fenomeno
emblematico che connota il danno acuto del bere a cui si affiancano 770mila consumatori con
profili di alcol-dipendenza, consumatori dannosi che le strutture del sistema sanitario nazionale
intercettano e curano solo nel 7 % dei casi”.
La prevenzione
Il medico di Medicina Generale deve essere messo in condizione di applicare algoritmi (Steatosis
Associated Fibrosis Estimator) capaci di identificare precocemente soggetti a rischio di sviluppare
malattia di fegato. Attraverso l’elaborazione di parametri semplici (età, peso corporeo,
transaminasi, piastrine, presenza di diabete e globuline) è possibile identificare
“automaticamente” il soggetto che merita valutazione specialistica. L’impegno deve coinvolgere
istituzioni non solo sanitarie ma anche scolastiche ed educative. È fondamentale diffondere la
consapevolezza che l’obesità infantile aumenta drammaticamente il rischio di sindrome
metabolica in età adulta, con tutti i risvolti sulla compromissione della qualità della vita, su
autostima, ansia, depressione e capacità di partecipare ad attività fisiche e sociali.
Non tutti i bambini obesi diventano adulti obesi ed è possibile mitigare il rischio attraverso stili di
vita sani, l’adozione della dieta mediterranea, scoraggiare il consumo di alimenti ad alto contenuto
calorico e grassi saturi, scoraggiare il consumo di alcol, stimolare l’attività sportiva.
Indipendentemente dalla perdita di peso, l’esercizio fisico si associa ad una probabilità 3,5 volte
maggiore di ridurre l’accumulo di grasso epatico.
L’impegno dell’ordine dei medici
Sensibile a questi argomenti, la Commissione infanzia, famiglia, scuola dell’Ordine dei Medici-
Chirurghi e degli Odontoiatri di Napoli, coordinata dalla consigliera Raffaella de Franchis, ha già
realizzato un progetto dal titolo “La salute passa attraverso le immagini: un nuovo modello per
divulgare la salute”. “Tale programma – spiega – ha l’ambizione di prevenire comportamenti a
rischio su dipendenza da alcol, fumo, sostanze stupefacenti, obesità, anoressia e bulimia, bullismo,
cyberbullismo e prevenzione di malattie sessualmente trasmesse”.
“Il progetto – aggiunge Bruno Zuccarelli, presidente dell’Ordine dei Medici-Chirurghi ed
Odontoiatri di Napoli – ha consentito la realizzazione di un protocollo d’intesa con l’Ufficio
Scolastico Regionale. Obiettivo dell’ordine è coinvolgere un numero sempre crescente di medici
ed odontoiatri su tematiche di prevenzione attraverso la costante relazione medici/studenti”.