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Facebook, meglio condividere che scrivere (e pensare)

Facebook, meglio condividere che scrivere (e pensare)

03 Ottobre 2016 0 Di Giovanni Capozzi

Facebook è diventato il luogo della scrittura pret-a-porter, e della condivisione, a volte compulsiva, di chi non ha più tempo per pensare e scrivere.

Facebook, meglio condividere che scrivere (e pensare)

Gattini, tazzine di caffè per il buon giorno, vignette di giubilo per il week end e di lacrime per il lunedì mattina, pensieri di Padre Pio, benedizioni della Madonna, riflessioni di Osho, apologie di Hitler, Stalin, Mussolini: se il genere vi piace, ne trovate a carrettate su Facebook.

Il più frequentato social network del mondo è ormai diventato l’arena dei “condivisori”. Ossia di quelli che condividono questi post belli e fatti. Post-a-porter, insomma. Sempre più difficile trovare pensieri originali, riflessioni magari antipatiche ma “vere”.

Insomma, su Facebook non è tanto facile imbattersi in profili “a chilometri zero”, arricchiti dai contributi personali e diretti dell’internauta. Perché? Sicuramente perché scrivere è faticoso. E a volte pensare lo è ancora di più (e per alcuni può rivelarsi addirittura impresa impossibile).

Ma possiamo anche essere più tolleranti: sicuramente la condivisione (a volte condivisione compulsiva) è anche conseguenza del’uso degli smartphone. Quando, otto anni fa, il fenomeno Facebook esplose anche in Italia, la maggioranza degli utenti si connetteva da computer fisso: era quindi più facile scrivere, curare i testi, darsi il tempo di ponderare meglio quanto si andava a postare. E Facebook era sicuramente un posto meno affollato di oggi e dove c’era meno “urgenza” di apparire.

Oggi, invece, tramite smartphome ci si connette ovunque. Ma il telefonino è sicuramente meno “agibile” e “operabile” per scrivere.

E dunque, pur di “esserci”, si condivide. Si condivide di tutto.

Ci sarebbe poi da fare un’analisi per capire chi sono i creatori di questi contenuti condivisi: maestri dell’ovvio, del kitsch, quando non dell’orrido. Ma questo è un altro discorso.

Per il momento è abbastanza inquietante la fenomenologia dell’ “esserci” su Facebook mediante condivisione. Aridatece Heidegger e il suo “dasein” (non preoccupatevi, se non sapete che cos’è, c’è sempre Wikipedia).

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