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Fede e libero pensiero: Titus Brandsma proclamato santo

Fede e libero pensiero: Titus Brandsma proclamato santo

19 Maggio 2022 0 Di Katia F. Mazza

La storia di Titus Brandsma, giornalista ed ecclesiastico olandese ucciso dai nazisti e canonizzato  in piazza San Pietro.

Una puntura di acido fenico. Così termina, a Dachau, la vita di Titus Brandsma. All’infermiera che sta per praticargli l’iniezione mortale il carmelitano regala un rosario. L’ultimo atto di fede. Questa volta nei confronti dell’umanità.

È il 26 luglio del 1942. L’Europa è nel pieno della Seconda guerra mondiale. Dachau, fieramente presentato nel 1933 da Heinrich Himmler come il primo campo di concentramento per prigionieri politici, rappresenta il modello in base al quale viene forgiato quell’universo parallelo dove si concretizzerà la tragedia pragmaticamente definita dai nazisti ‘soluzione finale’. In primis ebrei ma anche zingari, omosessuali, oppositori del regime. Non pochi i preti cattolici. Fra le vittime del dissennato progetto anche padre Brandsma, canonizzato lo scorso 15 maggio da papa Bergoglio.

Chi era Titus Brandsma

Anno Sjoerd Brandsma nasce nel 1881 da una famiglia di agricoltori benestanti. Inizia il suo noviziato nel 1898. Il nome scelto, Titus, è quello del padre. Studia a lungo filosofia e teologia, anche all’estero. Fra il 1906 e il 1909 è a Roma. Qui frequenta la facoltà di filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana e segue inoltre corsi di sociologia presso l’Istituto Leoniano. Tornato in Olanda, inizia la sua attività didattica. A partire dal 1909 insegna filosofia e matematica presso lo studentato carmelitano di Oss. Nel 1923 si aprono per lui le porte del mondo accademico. Padre Titus diventa docente di filosofia e storia della mistica presso l’Università Cattolica di Nimega.

Alle attività ecclesiastiche, didattiche e di studio, Titus, che già nel 1901 aveva pubblicato un’antologia degli scritti di santa Teresa di Gesù (Florilegio delle opere di santa Teresa), affianca la collaborazione con giornali e riviste olandesi.

Ma nel Paese, occupato dai nazisti nel 1940, la situazione della stampa è ormai ‘al limite’. Siamo all’inizio del 1942. E proprio per sostenere i giornali cattolici olandesi, Titus intraprende un viaggio che sa non essere privo di rischi.

Nel giro di pochi giorni incontra i direttori tutta la nazione portando loro le direttive dell’episcopato e invitandoli a non sottostare alle pressioni del regime.

L’arresto, la deportazione, la morte

Tornato a Nimega fa in tempo a salire in cattedra per un’ultima volta. Poi, l’arresto. Padre Titus viene condotto ad Arnhem per essere trasferito, il giorno successivo, presso il carcere di Scheveningen.

È il 20 gennaio. Al commissario che lo sottoporrà a interrogatorio, un prete secolarizzato, padre Titus risponde con un memoriale lungo nove pagine. Qui esporrà le ragioni della propria opposizione al nazismo di cui mai, in precedenza, aveva fatto mistero. In cella trova la forza per dedicarsi alla scrittura. Rimasto privo di carta, arriva a usare  per i suoi testi lo spazio fra le righe dei due unici libri che è  riuscito a tenere con sé.

In seguito Brandsma viene condotto nel campo penale di Amersfort per essere poi trasferito nuovamente a Scheveningen dove sarà sottoposto ad un altro interrogatorio.

Infine, dopo un viaggio di sei giorni dentro a un carro bestiame, Brandsma raggiunge Dachau. Blocco 28. Sveglia alle quattro. Turni di lavoro massacranti. Pasti quasi inesistenti. I più deboli vittime di crudeli esperimenti medici.

Prima di finire nell’ospedale del campo,  Brandsma incontra Raphael Tijhuis, un confratello internato con l’accusa di disfattismo. Sarà lui uno dei principali testimoni del processo di beatificazione. Insieme all’infermiera alle cui mani, quelle che l’avrebbero ucciso, Titus Brandsma affida l’ultimo oggetto a lui rimasto caro. “Di me – ha ricordato la donna che inizialmente rise di fronte al gesto del religioso – Padre Titus aveva compassione“. Questo, il più insondabile dei miracoli.

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