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Guerra e pace, “adda passà ‘a nuttata”

Guerra e pace, “adda passà ‘a nuttata”

26 Marzo 2022 0 Di Emilio Magliano

Perchè, se parliamo di guerra e pace, torna buona la frase di Eduardo De Filippo in Napoli milionaria, “Adda passà ‘a nuttata”.

Guerra e pace, come diceva Eduardo, “Adda passà ‘a nuttata”

Il capolavoro di Eduardo De Filippo, il piu’ grande drammaturgo italiano insieme a Luigi Pirandello, “Napoli milionaria” si conclude con la celeberrima frase del protagonista. “Adda passà ‘a nuttata“. Deve passare la notte.

E alla moglie che disorientata gli chiede “Ma cosa è successo?”, Eduardo risponde: “A ‘uerra, a ‘uerra“. La guerra.

Ho voluto citare questo passaggio della commedia per tre motivi. Il primo: per la sua terribile quanto evidente attualità, la commedia è stata scritta alla fine del Secondo conflitto mondiale, 1945.

Il secondo: perché il linguaggio di Eduardo  non è mai soltanto dialettale, ma per quanto si esprima in vernacolo , è universale nel senso che i messaggi  che lancia attengono alla sfera del profondamente umano, parlano alla nostra anima e alle nostre coscienze. E in questo ci sta una estrema vicinanza alle tematiche di Luigi Pirandello.

Il terzo motivo:  la “nuttata” di cui parla Eduardo non è soltanto quella temporale delle ore che devono trascorrere affinché la medicina faccia effetto su su figlia ammalata, come il medico ha rassicurato, ma è la lunga notte dj Napoli, ma soprattutto della guerra, che non finisce quando finisce, ma continua anche dopo con le ferite materiali e morali che ha lasciato e che ogni conflitto lascia.

E quella bambina ammalata, nel contesto di una famiglia devastata soprattutto nei principi etici e nella perdita dei valori civili, non rappresenta soltanto Napoli che deve guarire, ma rappresentenza l’innocenza di un popolo travolto da un evento piu grande di lui.

La guerra genera perdita della luce della ragione

La guerra, ci dice De Filippo, genera perdita della luce della ragione, della moralità, dei rapporti umani, della “pietas”.

Le guerre ci precipitano nella lunga notte del “sonno della ragione, che genera mostri” come ci ricorda il dipinto di Francisco Goya del 1797.

Ma cosa è una guerra? È un conflitto, è una deflagrazione, è un porsi gli uni contro gli altri, è un “essere contro“, è una voragine, una crepa che si apre non solo tra eserciti, ma tra popoli, tra civiltà, tra individui, tra persone.

È un abisso che “se tu lo guardi lui guarda te”  come diceva  F, Nietzsche, in “Al di là del Bene e del Male“(1886).

E se l’abisso ti guarda ti risucchia nel suo vortice, nelle sue profondità, nella sua notte, lunga e profonda.

È difficile risalire l’abisso, e quando ci si spinge oltre, è facile caderci dentro ed è difficile tornare indietro.
È quello che sta accadendo con questa guerra scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina? Probabimente si.

E la percezione che abbiamo, che ha la pubblica opinione è che si sia andati troppo avanti.

Se cosi fosse, sarebbe una catastrofe, impensabile ma non impossibile, nell’anno di grazia 2022.

Ma non è questa la sede per discernere di geopolitica. Qualcuno ha gettato non il cuore oltre l’ostacolo, ma la follia.
Restiamo ad Eduardo e al suo linguaggio universale, alla sfera intima e nel  contempo collettiva e terribilmente umana della nostra condizione esistenziale quando c’e’ una guerra nella quale noi avvertiamo di esserci.

E questa è una di quelle guerre dove noi percepiamo di esserci dentro. Da qui il senso di precarietà che ci avvolge, una paura che non è, per fortuna, panico ma è latente e che ci fa sentire ancora piu fragili e insicuri provenienti, come siamo, dalla guerra che ha preceduto questa: quella contro il Covid-19.

Ci confrontiamo con la nostra fragilità, siamo precari della vita

“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” (1918, Soldati) per dirla con Ungaretti, il nostro piu grande poeta contemporaneo.

Ci confrontiamo con la nostra fragilità: siamo precari della vita. E forse questa precarietà ci serve ad apprezzare la pace, che avevamo dato per scontato.

Come, con il virus, avevamo dato per scontato l’onnipotenza della scienza che ci metteva al riparo dalle incognite.

Cosi, sic et simpliciter, senza quella ricerca che poi si è dimostrata necessaria.

Una grande lezione: un microbo infinitamente piccolo ci ha fatto capire che noi non siamo infinatamente grandi, ma siamo piu piccoli del microbo.

Ora questa guerra dovrebbe aprire l’unico conflitto positivo che ci può essere: quello dentro di noi per riportarci alla dimensione dei nostri limiti e della consapevolezza dell’imponderabile.

La guerra, in estrema sintesi, è una lacerazione : strappa le nostre coscienze dai loro modus vivendi, dalle loro stesse contraddizioni del quotidiano con le quali, nelle piccole o nelle grandi opzioni verso di noi, verso gli altri, ci troviamo ad agire, appunto “secondo coscienza“.

E ci rimanda ad uno “straniamento“, cioè ad essere altro da quello che siamo, a sentirci estranei a noi stessi: e quello che avviene nei fronti di guerra nei soldati mandati li a combattere, e ahimè a morire, senza un come e ne un perché, per conto terzi.

La guerra è la morte della coscienza

La guerra è la morte della coscienza.

Per questo fa paura:perché  nella sua dimensione di lontananza ci è terribilemente vicina.

Siamo in una fase epocale di immense trasformazioni, siamo in un nuovo secolo e in  un nuovo millennio dove tutto è rimesso in discussione, anche la  Storia che non è purtroppo quella “delle magnifiche sorti e progressive” di Giacomo Leopardi (La Ginestra, 1836) che poi qualche ideologia utopica del Novecento ha fatto proprio, ma è caotica, va e viene.

La Storia non è un progetto, una  filosofia al termine del quale c’e’ la pace e la giustizia per tutti, un work in progress come in tanti della mia generazione credevamo e in nome della quale abbiamo combattuto, ma la Storia è il Kaos.

La guerra e la pace sono dentro la vertigine degli accadimenti

La guerra e la pace sono dentro questa vertigine degli accadimenti. Ma se ci vogliamo aggrappare al realismo di quello straordinario pensatore che è stato Antonio Gramscial pessimismo della ragione dobbiamo opporre l’ottimismo della volontà“, riconoscendoci nell’appello straziante di Papa Francesco: “Fermatevi, in nome di Dio!”.

Dobbiamo essere e sentirci,ciascuno di noi , Costruttori di Pace. E impegnarci affinchè passi la notte, perché, come ha detto il Maestro. “Adda passà ‘a nuttata”… 

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