
Il Referendum dell’8 e 9 giugno è il fallimento del Sindacalismo tradizionale
10 Giugno 2025L’opinione di Claudio Armeni, sindacalista e Coordinatore Nazionale del Comitato per il No e l’Astensione consapevole sul Risultato del Referendum: “Un Fallimento Epocale per la CGIL e per un Sistema Sindacale Ormai Superato”.
Il Referendum dell’8 e 9 giugno è il fallimento del Sindacalismo tradizionale
Il risultato del referendum promosso dalla CGIL rappresenta un fallimento epocale per il sindacalismo tradizionale, per un modo di fare sindacato che da quarant’anni si è allontanato dalla realtà dei lavoratori, delle imprese e del tessuto sociale del Paese.
Nonostante oltre 5 milioni di iscritti, la CGIL ha sentito il bisogno di ricorrere ad un referendum popolare per ottenere una legittimazione che, nei fatti, dovrebbe derivare dalla sua rappresentanza. Ma quella rappresentanza è ormai svuotata di significato.
Ha dovuto chiedere ai cittadini un’autorizzazione per portare avanti istanze che avrebbero dovuto essere già patrimonio di un confronto istituzionale costante e credibile.
Un modello sindacale bocciato dalla maggioranza silenziosa del Paese
Il risultato? Una bocciatura sonora, senza appello. È il segno chiaro di un modello sindacale respinto dalla maggioranza silenziosa del Paese.
Il fallimento è ancora più evidente se consideriamo che nessuna delle principali sigle sindacali rappresentative si è schierata apertamente a favore. Anzi, la CISL ha espresso con nettezza una posizione contraria. Questo isolamento certifica che la CGIL non rappresenta più nemmeno il mondo sindacale, figuriamoci quello del lavoro.
Ma a crollare insieme alla CGIL è stato anche l’universo dei sindacati autonomi minori, quelli che hanno ingenuamente appoggiato il referendum, credendo di fare “la cosa giusta”.
Hanno confuso l’opportunità con l’illusione, finendo per fare da sponsor inconsapevoli del sistema cigiellino, senza capire che la strada dell’insuccesso era segnata fin dall’inizio.
Il sindacalismo tradizionale è morto, serve un nuovo modello di coordinamento per i sindacati autonomi
È la dimostrazione che il sindacalismo tradizionale è morto. E con esso i piccoli sindacati che continuano a muoversi dentro schemi antichi, autoreferenziali, lontani dalla vera vita dei lavoratori.
Serve un nuovo modello, serve un coordinamento intersindacale moderno, credibile e netto, che sappia confrontarsi con le istituzioni, parlare la lingua del presente e lasciarsi alle spalle la retorica ottocentesca di cui la CGIL è ancora intrisa.
Il mondo del lavoro è cambiato. Almeno il 50% di lavoratori e pensionati non si riconosce più nel sindacalismo dominante.
Lo Stato, il Parlamento, i Governi devono prendere atto che quel sistema non è più rappresentativo. E noi dobbiamo essere capaci di costruire un’alternativa vera.
Un sindacato non deve mantenere le proprie rendite ma incidere sulle decisioni strategiche del Paese
Un sindacato non deve pensare a mantenere se stesso, le proprie sedi, le proprie rendite, le proprie clientele. Deve incidere sulle decisioni strategiche del Paese.
Deve proporre, non recitare. Deve progettare, non sponsorizzare testimonial.
Non può usare le tessere degli iscritti per finanziare campagne da 200 milioni di euro (sì, duecento milioni, come ammesso dalla stessa CGIL), buttando al vento il contributo di almeno 2000 lavoratori, solo per confezionare una narrazione vuota, nostalgica, già bocciata.
Non abbiamo visto visione, non abbiamo sentito proposte per il futuro. Solo un insistito richiamo al passato.
E in questo, i piccoli sindacati “puristi” che hanno scelto di sostenere il “sì”, ci fanno quasi tenerezza. Pensavano di guadagnare spazio, invece si sono annullati. Se non si abbatte il sistema attuale, si resterà sempre ai margini. Perché chi lo governa non permetterà mai a nessuno di emergere, se non piegandosi alle stesse logiche.
È tempo di cambiare. È tempo di dire la verità ai lavoratori e ai cittadini: non possono più essere presi in giro. I lavoratori hanno bisogno di rappresentanza vera, seria, trasparente.
Noi siamo sindacato. E continueremo a fare sindacato. Ma quello autentico, fatto di ascolto, di proposta, di confronto. Lasciamo la politica degli slogan e dei tifo da stadio a chi ha fallito.
Rimbocchiamoci le mani e ripensiamo il sistema sindacale
Rimbocchiamoci le maniche: ripensiamo il sistema sindacale, tagliamo i rami secchi, spazziamo via le foglie morte che giacciono al suolo. Perché da lì non nascerà più nulla.
Il tempo delle parole vuote è finito. Costruiamo insieme un nuovo modo di rappresentare il mondo del lavoro.