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Italia in piedi! E ridiventa Aleph del Mediterraneo

Italia in piedi! E ridiventa Aleph del Mediterraneo

13 Dicembre 2021 0 Di Corrado Corradi

È il momento che l’Italia riassuma il suo ruolo di Aleph del Mediterraneo.

Italia in piedi!

E’ il momento che l’Italia riassuma quel suo ruolo storico di «Aleph» del Mediterraneo conferitole dalla Divina Provvidenza.

Lo «Aleph», dell’omonimo scritto di Borges, é un punto ove convergono, senza confondersi, tutti i punti dell’universo.

Smetta l’Italia di andare al traino di politiche avventuriste d’oltreoceano, oltre manica e oltre Alpi, che hanno fruttato solo inutili scombussolamenti nella regione circum-mediterranea, basti pensare alle due guerre all’Iraq e alle primavere arabe che hanno travolto Siria, Egitto, Libia e Tunisia.

Si applichi a risolvere quello che viene dato per irrisolvibile: Ia secessione del mondo arabo islamico «tollerante» da quello «intollerante».

Islam «tollerante» é una definizione scelta dal sovrano marocchino Mohammed VI proprio per contrapporlo all’Islam «intollerante»  dei wahhabiti, dei salafiti e della Fratellanza musulmana, scevro dalla fregola della «da’wa» (predicazione attiva e costrittiva) e del jihad.

Come fare?… Attivi, l’Italia, quella miglior politica estera dell’antica Roma, del papato, del primo fascismo, del miglior Andreotti, e di quell’imprenditore capace, lungimirante e solidale (nell’accesso della dottrina sociale della Chiesa Cattolica) che era Enrico Mattei (già partigiano bianco/Guelfo),  realizzando dei rapporti di partenariato politico suscettibili di favorire l’emancipazione di quei paesi dalla loro lacerante condizione sempre in bilico tra Dio e Cesare, ma soprattutto tra passatismo salafita e modernità.

Il salafismo é una corrente di pensiero islamico radicale che rimanda alla tradizione dei «pii antenati», i pristini seguaci di Mohammed.

Come fare, con chi intavolare i primi proficui contatti, cosa dire e proporre e cosa ci si deve aspettare come risposta, non sono poi interrogativi così difficili da affrontare; il panorama dei paesi del mondo arabo-islamico che si affacciano sul Mediterraneo é articolato ma tutto sommato presenta due punti in comune:

  1. si tratta di paesi in cui l’Islam che vi si pratica é un Islam temperato dalla spiritualità sufi e che potremmo definire «tollerante».
  2. Tutti hanno seguito uno sviluppo politico e sociale condizionato dalle ricadute del passato colonialista che ha anche lasciato inequivocabili retaggi positivi, e dall’esempio delle democrazie europee, e tutti, anche quelli mediorientali, più vicini all’epicentro dell’Islam «intollerante» dei paesi del Golfo quindi maggiormente influenzati dalle pressioni dell’integralismo, guardano all’Italia come paese patrocinatore.

A grandi linee (non si potrebbe fare altrimenti perché sennò ci vorrebbe lo spazio di un’enciclopedia), passiamo in rivista quei paesi che scorrono dalla riva Est alla riva Sud-Ovest del Mediterraneo e che si presentano con differenti gradi di stabilità politica e sociale, di propensione alla innovazione e che presentano un accesso «tollerante» all’Islam.

Insisto sul fattore «Islam» perché in quei paesi, anche se repubbliche o regni «illuminati» più o meno avvezzi a fare i conti con la laicità dello stato, comunque costituisce un fattore identitario che influenza in maniera consistente ogni aspetto del vivere civile.

Tralascio la Turchia di Erdogan perché é fortemente condizionata dall’Islam propugnato dalla Fratellanza musulmana (alla quale appartiene il Ras turco) e sta procedendo verso una islamizzazione che non lascia presagire possibilità di equi accordi.

Siria, antica civiltà con un Islam molto tollerante

La Siria si affaccia sul Mediterraneo attraverso un largo corridoio incuneato tra Turchia e Libano. Si tratta di un paese di antica civiltà in cui l’Islam ivi professato é un islam decisamente «tollerante».

Il Paese é guidato dal presidente Bashar Al Asad, appartenente a una setta musulmana shi’ita non radicale legata all’Iran. La sua politica regionale si sviluppa in direzione del Libano sul quale mantiene una certa immistione; dipinto come un tiranno dagli stessi che hanno scatenato due guerre ingiustificate contro l’Iraq e che hanno organizzato le «primavere arabe», é riuscito a vincere una guerra civile ordita da movimenti islamici radicali eterodiretti dalla Fratellanza musulmana, dal Qatar e dall’amministrazione statunitense a trazione Obama-Clinton (signora), che con la scusa di rovesciare un regime ritenuto tirannico volevano aprire le porte del paese ai movimenti radicali legati all’Islam «intollerante» dell’Arabia Saudita, del Qatar e dei Fratelli Musulmani.
Prima dello scoppio della guerra civile la gestione politica e sociale del presidente Bashar era riuscita a migliorare il tenore di vita della sua popolazione e a proiettare il paese nel futuro assicurando un equilibrio confessionale tra musulmani e cristiani, infatti la Siria, com’era l’Iraq di Saddam e come é la Giordania di Re Abdallah, é un paese del mondo arabo-islamico in cui la comunità cristiana vive gli stessi privilegi di quella musulmana.

Libano, vocazione araba multiconfessionale e tolleranza religiosa

Il Libano é un paese a vocazione araba multiconfessionale in cui la tolleranza religiosa é sancita costituzionalmente; negli anni 70, a causa di una forzata «sostituzione di popolazione» ante litteram iniziata con l’immissione forzata di profughi palestinesi, la componente cristiana del paese ha ceduto terreno a quella musulmana che comunque, ha mantenuto una cifra «tollerante».

Attualmente le istituzioni del paese soffrono una grave crisi e l’economia é alla bancarotta. In seno al paese insiste una formazione politica musulmana shi’ita, Hizb Allah, referente dell’Iran, dotata anche di una efficiente milizia armata orientata prevalentemente in funzione anti-israeliana.

Malgrado la presenza di tale formazione dalle caratteristiche marcatamente islamiche shi’ite, il paese, ormai a maggioranza musulmana, continua a professsare un Islam «tollerante».

Egitto, vittima più che beneficiario della Primavera araba

Si tratta di un paese «cerniera» tra il mondo arabo-islamico del medioriente e del Maghreb. Vittima anch’esso di quella iattura chiamata «primavera araba» che ha portato gli islamisti militanti della Fratellanza musulmana al potere, ha evitato la tirannia del peggior Islam e la guerra civile, grazie al Presidente Al Sisi  il quale, considerato «pio» dalla comunità musulmana «tollerante» (maggioritaria nel paese), é riuscito a estromettere la Fratellanza musumana dal potere e a inserirla nelle patrie galere ristabilendo la pacifica convivenza fra la maggioritaria componente islamica e la minoritaria comunità cristiana copta.

Recentemente, al largo del delta del Nilo, l’Eni ha scoperto un enorme giagimento di gas che fa gola alla Gran Bretagna e non é da escludere che la triste vicenda del giovane ricercatore italiano massacrato da elementi deviati del servizio egiziano non rientri in una dinamica criminale che vede la Fratellanza musulmana impegnata a fare lo sgambetto ad Al Sisi facendolo passare per un tiranno massacratore e la Gran Bretagna a fare uno sgambetto all’Eni mettendo in crisi i rapporti Egitto-Italia.

Libia, dal panafricanismo all’anarchia

La Libia é il paese del mondo Arabo-Islamico più africano di tutti sia per la politica panafricana portata avanti con insistenza per circa una quarantina d’anni dall’ex leader libico Ghaddafi, sia per il caratteristico frazionamento della società in tribù e clan.

Vittima sacrificale della «primavera Araba» ma soprattutto della volontà francese di far fuori il suo leader (per ragioni non meglio chiarite ma facilmente ipotizzabili), dal 2012 é in preda all’anarchia tribale a mala pena contenuta da due strutture statuali che fanno capo, l’orientale al Generale Haftar, referente per Egitto e Russia e l’occidentale, fino a maggio al «Fratello musulmano» Serraji, referente per la Turchia e da maggio a un membro del clan Ghaddafi del quale non ricordo il nome.

La società libica é da considerarsi musulmana tuttavia l’Islam ivi praticato é stato flemmatizzato sia dalla visione annacquata che ne aveva Ghaddafi, sia da una propensione tutta libica per cui «primum vivere deinde philosophari» che, tradotto, significa farsi i fatti propri anche a discapito della religione oltre che delle norme.

Tunisia, dalla voracità di Ben Alì alla pervasività di Ennhada

vittima anch’essa della primavera araba, a partire dal 2010, dopo la fuga del presidente Ben Ali che aveva comunque assicurato per oltre 20 anni stabilità politica e sociale (funestata solo ultimamente da una eccessiva «voracità» dei propri familiari), é diventata per almeno 4 anni, fino al 2014, feudo di Ennahda, partito islamista organico alla Fratellanza musulmana e patrocinato dalla Turchia.

In seguito ad una palese incapacità gestionale del paese, Ennahda ha dovuto cedere il passo ad altre formazioni politiche.

Ricordo ancora che nel 2012, nel pieno della crisi economica, il parlamento a maggioranza Ennahda, in vista della imminente stagione estiva,  discuteva se era opportuno o meno autorizzare l’uso del bikini sulle spiagge.

Tuttavia in quei 4 anni aveva provveduto ad infiltrare un esercito di funzionari islamisti nel ministero dell’interno, nella magistratura e nelle più importanti strutture industriali legate allo sfruttamento del gas proveniente dall’Algeria.

Tale infiltrazione ha permesso ad Ennahda a perpetuare un condizionamento in senso islamista della popolazione.

Algeria, la casta inneggia più alla liberazione che all’Islam

Algeria: tutto sommato risparmiata dalla primavera araba, l’Algeria é un paese con dinamiche legate ancora al mito della liberazione che costituisce un fattore identitario ormai esaurito. I rimasugli dei gruppi islamici armati che hanno alimentato la guerra civile del 90-98 si sono riciclati nel Sahel-sahara algerino alleandosi all’ISIS che ha eletto quella regione a nuovo teatro operativo.

Malgrado una guerra civile dal profilo jihadista, la popolazione algerina non professa un islam intollerante. L’Algeria é un paese guidato da una casta di militari autoreferenti che alimentano il mito della liberazione e dell’identità araba.

Pur essendo un paese ricco di materie prime, idrocarburi e gas, la popolazione sconta una grave crisi economica e sociale a causa dell’incapacità, della corruzione e dell’insipienza della classe dirigente.

Marocco, stabilità politica e sociale e crescita economica

Il Marocco é stato appena lambito dalla primavera araba e non ne ha subito i contraccolpi, é il più stabile politicamente e socialmente ed é in costante crescita economica.

E’ quello dove l’Islam offre migliori garanzie di «tolleranza» e in seno al mondo arabo-islamico detiene una legittimità spirituale suscettibile di attrarre gli altri paesi che anelano affrancarsi dalle pressioni dell’Islam «intollerante» dei paesi del golfo e della Fratellanza musulmana; ha realizzato una sorta di protettorato sui paesi dell’Africa sub sahariana e la sua primazìa si proietta fino ai paesi del golfo di Guinea nei confronti dei quali ha stabilito una sua leadership cogliendo il testimone della visione panafricana di Ghaddafi; forte di una comunità ebraica autoctona storicamente consolidata, ha dato vita ad una proficua alleanza con Israele; mantiene una sorta di preminenza sulla parte araba musulmana di Gerusalemme essendo il suo sovrano anche il capo del comitato Al Qods.

A grandi linee questo é il panorama che ci circonda e in generale si può dire che, fatta la tara delle alleanze forzose, scelte o subite, con paesi più influenti per profilo militare o economico, le popolazioni di quei paesi nella loro componente proletaria, della piccola e media borghesia imprenditoriale privata, impiegatizia e dirigenziale dell’amministrazione dello stato,  guardano con simpatia all’Italia e si aspettano che il nostro paese smetta di essere «insensibile al grido di dolore» che si leva verso di noi da quei paesi che si sforzano o di emanciparsi da quell’islam «intollerante» che li opprime da generazioni, o di tenergli testa perché minaccia di affermarsi da loro, oppure di uscire da una situazione di crisi economica e sociale derivante da alleanze forzose con paesi dediti solo al loro sfruttamento.

“… non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi!» è la parte finale del discorso che il Re vittorio Emanuele II ha rivolto al Parlamento con il quale faceva riferimento all’agitazione dell’opinione pubblica del Lombardo-Veneto.

Tra i paesi passati in rivista, appare subito evidente che quello maggiormente suscettibile di trainare gli altri é il Marocco.

Ciò grazie al suo peso storico, perchè si tratta di un regno che affonda le sue radici nell’VIII secolo e che si estendeva da Timbouctou a Granada.

Ma anche grazie alla sua primazìa religiosa: il Sovrano marocchino discende dal profeta Mohammad e ricopre il ruolo di «Amir al mouminine» ossia «principe dei credenti” (con il titolo di Amir al Mouminine, il sovrano marocchino si rende garante per le tre religioni monoteiste).

Sia ancora in forza di un’avveduta politica estera che costituisce un unicum fra i paesi del mondo arabo-islamico.

Ecco i partner più interessanti per una possibile “Lega mediterranea”

Un embrione di «lega Mediterranea» composto da Italia e Marocco é suscettibile di coagulare intorno a sé: Tunisia, Egitto, Siria, Libano e anche Giordania (quest’ultima, pur non essendo un paese affacciato sul Mediterraneo, é tuttavia uno stato retto da un Sovrano avveduto e in cui viene professato un Islam «tollerante») con il benestare addirittura di Israele che potrebbe esprimere riserve solo sulla Siria.

L’Algeria non aderirebbe per una serie di questioni che riguardano sia l’annoso e irrisolto (ma ritengo anche irrisolvibile) antagonismo con il Marocco, sia, soprattutto per una questione «caratteriale»: trattasi di paese che prima del 1962 non esisteva, affonda quindi le sue radici in un passato recentissimo e la sua identità é basata su un mito, quello della «liberazione», che é giunto al capolinea perché non riesce proprio più a reggere il peso dell’incapacità gestionale e della corruzione della casta di militari al potere.

In siffatta situazione, lo stato si é incartato in una sorta di complesso narcisistico autoreferente basato solo sulle ricchezze del sottosuolo (idrocarburi e gas a iosa, ma anche uranio e materiali più o meno pregiati)… un paese straricco in cui la popolazione é quasi alla fame.

Quanto alla Libia é attualmente vittima di una dinamica improntata all’anarchia delle proprie tribù che ne allontana la soluzione della guerra civile in atto.

Si protenda l’Italia verso il Mediterraneo, ritroverà la sua naturale e storica vocazione e si stupirà di quale attrattiva, suscettibile di creare una realtà politica fatta di sviluppo e stabilità, é ancora capace.

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