Libia, Al Sarraj alle prese con la protesta
28 Agosto 2020Libia, Al Sarraj alle prese xon il fronte interno. Ma le proteste “sociali” rompono tutti gli schemi degli analisti occidentali.
E’ inutile cercare di capire la Libia, le categorie che usiamo per analizzare la situazione non corrispondono a quella complessa realtà che non è ne Africana né arabo-islamica.
Non ci si lasci ingannare sulla Libia, non è un paese propriamente arabo-islamico e nemmeno totalmente africano anche se la politica di Gheddafi l’ha proiettato verso l’Africa.
La Libia è la Libia ed è una realtà (non lo si può definire un “paese” come lo intendiamo noi) inafferrabile se non si sia libici, se non si appartenga ad una delle tante tribù libiche.
Oppure non ci si chiami Italo Balbo, l’unico straniero che l’aveva capita, oppure Gheddafi che, con il suo libro verde, era riuscito a libizzare anche il Corano.
La Libia è le sue tribù, che costituiscono una realtà dalle dinamiche così complicate che più non si può.
E tutto quello che ai nostri occhi sembra ormai compiuto e assodato, compiuto e assodato non lo è affatto.
Tante cose sembravano fatte: da una parte il Fratello musulmano Al Sarraj appoggiato dai turchi, e dall’altra Haftar appoggiato dall’Egitto acerrimo nemico dei Fratelli musulmani.
Un tira e molla di confronti militari, minacce e dichiarazioni d’intenti.
Una volta la partita sembrava volgere a favore di Al Sarraj, e un’altra a favore di Haftar e noi eravamo nell’attesa di vedere chi la spuntava.
Ma nessuno aveva tenuto conto della Libia vera, una realtà dove il potere è atomizzato tra un centinaio di capi tribù, ai quali del potere nazionale non importa un bel niente, a fronte dell’interesse della propria tribù.
Interesse che spesso non combacia con quello che noi consideriamo “interesse”.
Ed ecco che, proprio in casa Al Sarraj, spunta il fronte interno e dilagano le proteste, quelle proteste che noi, con le nostre categorie, decliniamo come istanze della lotta sociale:
- riforme,
- certezza del salario e del diritto,
- sviluppo del paese.
E il bello è che i manifestanti fanno sul serio, hanno quasi la stessa grinta dei “gilet jaunes” ma, cosa da non sottovalutare, ognuno ha a disposizione un vecchio AK-47 (o Kalashnikov che dir si voglia).
Il giornalista Emanuele Rossi su “Formiche.net” ha dipinto la situazione con un titolo cosi’ esauriente che è un programma: “Se la Libia rischia un caos nel caos”.
Tripoli è in subbuglio come Torino negli anni d’oro (si fa per dire) delle proteste contro la politica imprenditoriale della FIAT di Romiti.
Il fatto da non sottovalutare è che le proteste sono rivolte contro un governo, il GNA di Al Sarraj, sostenuto dall’ONU e trovano lo stesso megafono che gli operai della Mirafiori trovavano in Lotta Continua: nelle radio e TV, in questo caso degli Emirati arabi Uniti.
Altre manifestazioni si sono prodotte in territorio antagonista, quello controllato da Haftar, ma non hanno costituito un fronte interno contrario al governo, anzi, lo sollecitavano a darsi da fare per attaccare e metter fine alla guerra.
Due fronti interni si inseriscono quindi nelle martoriate parti in conflitto libiche ma il fronte interno tripolitano potrebbe effettivamente costituire una pericolosa pietra di inciampo suscettibile di far cadere il governo tripolino.
Infatti, secondo Al Arabiya, le più importanti manifestazioni, tutte finite con sparatorie, morti e feriti, sono state quelle di Tripoli: una, costituita da alcune migliaia di persone si stava dirigendo verso la sede del Consiglio Presidenziale (organismo voluto dall’ONU), e un’altra analoga nelle dimensioni ha investito Piazza dei Martiri.
Queste manifestazioni, per imponenza e per numero di vittime, ma soprattutto per timore di regolamenti di conti in sospeso e per evitare che in tale bailamme una delle tante milizie non ne approfitti per agire in autonomia, hanno indotto Al Sarraj a dichiarare il coprifuoco e creare un comitato per la gestione della crisi.
In tale frangente, l’ONU, per bocca di Unsmil ha fatto sentire il suo ruggito (quello del coniglio) chiedendo sottovoce l’apertura di un’inchiesta su quanto accaduto.
Tutte le opzioni analitiche sull’andamento del fronte interno sono ora aperte ma sarà difficile fare proiezioni perché le logiche della “pancia” dei libici non rispondono alla geostrategia e nemmeno a Al Sarraj o a Haftar ma ai capi tribù più anziani e autorevoli, spesso dei vecchietti ai quali non daresti un soldo di importanza ma che tra una manciata di pistacchi e un thé scaldato su un braciere, con poche parole dirigono la vaporiera e menano il torrone alla faccia degli analisti.