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Mimmo Lucano e il processo alla solidarietà

Mimmo Lucano e il processo alla solidarietà

25 Ottobre 2021 0 Di Redazione In24

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la riflessione di Regina Catrambone, co-fondatrice e direttrice della ONG MOAS, sul processo a Mimmo Lucano. 

La sentenza emessa lo scorso 30 settembre dal Tribunale di Locri nei confronti dell’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ha sconvolto e lasciato sbigottiti molti di noi.

Dopo quattro lunghi anni, Lucano è stato condannato a 13 anni e due mesi di reclusione nel processo sugli illeciti nella gestione dei migranti con l’accusa di un lungo elenco di reati contro la pubblica amministrazione, la pubblica fede e il patrimonio: associazione per delinquere, falso in atto pubblico e in certificato, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abuso d’ufficio e peculato. Fino a giungere a una condanna dalla durata vicina al doppio degli anni di reclusione che erano stati chiesti dalla pubblica accusa.

Nel 2017, la metà della popolazione di Riace era composta da persone provenienti da 26 Stati diversi. A seguito del recupero delle case e delle botteghe artigiane abbandonate e della riapertura delle scuole, quello che era un paese fantasma destinato allo spopolamento come tanti altri piccoli centri del Sud Italia, si stava trasformando in un centro pervaso di vita e di speranza. Muovendo i primi passi all’indomani della sua elezione nel 2004, il sindaco Lucano accoglieva le persone migranti che arrivavano sulle coste italiane, creando giorno dopo giorno un modello di inclusività e solidarietà unico al mondo fatto di asili multietnici, assistenza medica, di incentivi per il lavoro nei campi e nelle botteghe.

Con le accuse a Lucano, l’interruzione dei finanziamenti e la chiusura dello Sprar il borgo ha ripreso a spopolarsi, e quel modello di accoglienza virtuoso elogiato anche all’estero, ha cominciato a dissolversi senza che il testimone venisse passato a qualcuno in grado di continuare e correggere tutto quello che fino a quel momento era stato fatto.

In attesa dei successivi gradi giudiziari, è impossibile negare che la pena destinata a Lucano per meri errori di carattere amministrativo sia sproporzionata, come è stato affermato da numerosi giuristi che hanno seguito da vicino il caso.

E sembra inserirsi all’interno di un processo di criminalizzazione generalizzata che viene riservata negli ultimi anni a chi salva o è solidale nei confronti delle persone migranti. Dai pescatori alle organizzazioni non governative che operano attività di monitoraggio e soccorso nel Mediterraneo centrale accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, dagli amministratori locali, ai cittadini e alle associazioni di volontariato che provano a offrire assistenza a chi si trova sul nostro territorio.

Una tendenza pericolosa e disumana che, da una parte ha condotto all’esternalizzazione della questione migratoria con il mancato rinnovo di missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e la collaborazione con la Guardia costiera libica e, dall’altra, la creazione di un clima di odio sui social e nella società in merito alle tematiche migratorie, spesso degenerate in veri e propri atti di violenza nei confronti delle persone migranti.

“Ho speso la mia vita per gli ideali, contro le mafie, ho fatto il sindaco, mi sono schierato dalla parte degli ultimi, dei rifugiati che sono arrivati, mi sono immaginato di contribuire al riscatto della mia terra, è stata un’esperienza indimenticabile, fantastica, però oggi devo prendere atto che per me finisce tutto”.

A queste tristi parole, pronunciate da Mimmo Lucano subito dopo la sentenza, bisogna rispondere non lasciandolo solo e accogliendo la sfida di non cancellare un possibile modello da mantenere in vita e da replicare. Non possiamo permettere che chi si adopera per dare speranza alle persone che più hanno bisogno e ai territori, come quello calabrese, martoriati dall’abbandono e dall’oblio, siano costretti ad arrendersi e gettare la spugna. Non possiamo perdere la speranza di creare un mondo migliore e solidale. Tutti noi dobbiamo continuare ad agire e a impegnarci anche nei momenti più difficili, come questi in cui stiamo vivendo, in cui una parte della società cerca di criminalizzare gli atti di umanità.

Come ci ricordano le parole di Papa Francesco “La storia ci parla di tanta gente che venne uccisa, giudicata, seppur era innocente: giudicata con la Parola di Dio, contro la Parola di Dio. È il modello di Gesù che, per essere fedele e avere obbedito alla Parola del Padre, finisce sulla croce. Con quanta tenerezza Gesù dice ai discepoli di Emmaus: ‘Oh stolti e tardi di cuore’. Chiediamo oggi al Signore che con la stessa tenerezza guardi le piccole o grandi stoltezze del nostro cuore, ci carezzi, e ci dica ‘Oh stolto e tardo di cuore” e incominci a spiegarci le cose”(Omelia da Santa Marta dell’11 aprile 2016).

di Regina Catrambone

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