Contenuto Pubblicitario
Noi e il mondo arabo-islamico: cogliamo l’occasione

Noi e il mondo arabo-islamico: cogliamo l’occasione

22 Novembre 2021 0 Di Corrado Corradi

Nei confronti del mondo arabo-islamico l’Italia dovrebbe svolgere il suo naturale ruolo geopolitico e favorire la stabilità del Mare nostrum.

Noi e il mondo arabo-isarabo-islamicolamico, cogliamo l’occasione

Ci conoscono molto meglio di quanto noi non conosciamo loro: sono i popoli arabo-islamici.
La maggior parte di loro parla le nostre lingue mentre noi raramente parliamo e capiamo la loro… e questo ci espone all’equivoco: non padroneggiando la loro lingua, spesso non ci rendiamo conto che le dichiarazioni ufficiali dicono una cosa quando le dichiarazioni ad uso e consumo delle proprie popolazioni dicono esattamente il contrario (specie in quel calderone in ebollizione che é la Terra Santa o Palestina).
Conoscono anche le nostre tradizioni mentre noi conosciamo le loro solo per una morbosa curiosità da folklore che é ben lungi dall’avvicinarsi alla realtà delle loro tradizioni…

Per lo più l’approccio é quello di marca positivista del turista che fa paragoni all’unico scopo di affermare a se stesso la superiorità della propria civiltà, quando invero non é esattamente così perché, almeno per quanto attiene ad alcuni valori fondanti la società (la famiglia, il rispetto per i vecchi, l’amore per i bambini, l’amor patrio, il senso di appartenenza, il senso disinteressato dell’amicizia, etc), spesso ci surclassano.
Popolano la riva meridionale ed orientale del Mediterraneo e nutrite comunità sono incistate in Europa; numerose sono ben integrate, alcune invece costituiscono realtà sociali isolate con consuetudini autonome e spesso in contrasto con le nostre norme e con un preciso obiettivo: affermare l’Islam in una terra che considerano «del disordine».
La matrice manichea della visione più tetragona dell’Islam induce il musulmano a considerare il mondo tagliato in due parti: la parte in cui é affermato l’Islam definita «Dar al Islam» o «casa dell’islam» (della pace/ordine) e «Dar al Harb» (casa della guerra/disordine).
Questi musulmani, «tetragoni», che anelano al ritorno all’Islam dei «pii antenati» e brigano perché si affermi, sono da noi tollerati perché se da una parte é vero che siamo inquinati dalla presunzione positivista che ci fa ritenere superiori agli altri solo in forza del progresso industriale prima e tecnologico poi, dall’altra, é altrettanto vero che la nostra civiltà forzatamente fluida ci porta non solo ad alimentare equivoci tipo: crediamo nello stesso Dio (cosa non vera perché la percezione che il musulmano ha di Dio é diversa da quella che ho io com’é giocoforza diversa la legge morale che ne deriva); ma anche ad assumere atteggiamenti colpevolisti al ribasso: accogliamo tutti e tutti tolleriamo (anche quelli che ci odiano) perché siamo stati feroci crociati e torvi colonialisti.
A fronte di questa realtà scomoda e pericolosa che si é consolidata fra le pareti di casa nostra noi ci imponiamo di ignorare quel fenomeno potenzialmente eversivo che vede incistate da noi comunità che inconfessabilmente ci odiano, e ci accontentiamo di mantenere un precario status quo nascondendo la realtà nell’ideologia post-colonialista accettando improponibili ricatti morali sulla scorta di altrettanto improponibili accuse di islamofobia.
Ma quando una politica geostrategica dettata da altri reclama la nostra attenzione, non disdegnamo di giocare sporco, come sporco abbiamo giocato nella prima e nella seconda GM, a Suez e poi in Iraq e poi più recentemente, con le cosiddette primavere arabe, in Tunisia, Egitto, Libia e Siria.
A parte gli USA che seguono una loro politica geostrategica discutibile ma strumentale ai propri interessi (spesso sbagliando e rimediando sonore figuracce), noi invece ci condanniamo all’incapacità di usare quegli strumenti di civiltà che ci sono connaturati e che ci permetterebbero di rapportarci in maniera efficace per entrambi con i popoli arabo islamici del bacino del Mediterraneo perché ci rifiutiamo di conoscerli per quel che sono accontentandoci di un banale approccio basato sul sentito dire preconcetto e relativistico improntato o all’ammirazione del turista che vuol essere meravigliato a tutti i costi, o al «laissez faire» del progressista che vuol essere tollerante a tutti i costi (anche nei confronti di pericolose realtà incistate da noi), oppure al timor panico del pavido nei confronti di una banda di straccioni che urlano «Allahu-Akbar».
In questo contesto l’Italia ha il dovere di emanciparsi:

  • sia dalle pastoie legate al relativismo culturale che la mettono in posizione di debolezza nei confronti di popolazioni identitariamente più salde come sono le popolazioni arabo/berbere/islamiche del Maghreb ;
  • sia dai sensi di colpa per il trascorso coloniale europeo (che ci mettono in una ingiusta mora nei confronti di chi non avrebbe gli stessi ripensamenti);
  • sia dalle più recenti improvvide politiche portate avanti dalle alleanze occidentali;
  • sia dalle costrizioni dell’UE (a sua volta serva dei potentati finanziari mondiali).

Giochi, l’Italia, il suo connaturato ruolo geostrategico… quel ruolo ereditato dalla storia e dalla sua provvidenziale posizione geografica che fanno di lei «il punto di fuga dei paesi del Mediterraneo».
Rompa gli indugi l’Italia e ritorni «…a sua scienza»; senza andare a rispolverare nel trapassato remoto l’universalità dell’Impero Romano, rispolveri il più recente fattore «Mattei», tenda la mano ai popoli del mondo arabo islamico del Mediterraneo, si inserisca nella dinamica di tentativo di «renouveau» in atto ormai da quasi vent’anni nel mondo islamico sunnita specie quello del Maghreb, e si erga a patrocinatrice di quei paesi che cercano di affrancarsi dalle pastoie della Sharia di marca wahhabita.
In primis il Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), poi l’Egitto, il Libano, la Giordania, la Siria, pur essendo paesi arabo-islamici, sono storicamente, geograficamente e culturalmente più vicini a noi di quanto non lo siano la Norvegia, la Svezia o la Danimarca.
Non ho citato la Libia sia perché versa in una situazione di guerra civile dagli esiti incerti che ne ha incrementato la naturale frastagliatura in clan e tribù. Tuttavia la colonizzazione italiana ha lasciato profonde tracce che la rendono facilmente integrabile.

La borghesia di quei paesi, per apertura mentale, cultura e onorabilità, non ha nulla da invidiare alla nostra, anzi, per certi aspetti é ben più sprovincializzata… questa mia considerazione non é dettata da una propensione terzomondista ma da una pluridecennale esperienza diretta vissuta in quei paesi e da un’analisi della geografia e dalla storia.
L’alleanza «patrocinale» con quei paesi da parte di un paese europeo come l’Italia non puo’ che favorire il processo di affrancamento dall’Islam integralista (wahhabita, salafita e della fratellanza musulmana) che vorrebbe imporre la Shari’a all’orbe, che minaccia la stabilità del Mediterraneo e che ha incistato in Europa comunità dedite alla militanza islamista, e non puo’ che favorire la stabilità regionale in seno al Mare Nostrum.
La questione é tutt’altro che semplice… e necessita di una breve precisazione storica: dopo il fallimento dell’ideale della grande nazione araba di marca Ba’athista (laica ma non atea)
Il ba’athismo è un programma politico nazionalista di “rinascita” o “Resurrezione” araba che promuove lo sviluppo e la creazione di una grande nazione araba unificata
Quelle popolazioni, dallo spiccato auditum identitario, si sono strette intorno all’unico fattore di identità che rimaneva: la religione, specie quella islamica, la quale é andata assumendo una forma via-via più rigidamente aderente alla shari’a per opera di un una organizzazione estremista, la Fratellanza Musulmana…

La Fratellanza Musulmana ha cambiato la religione musulmana in ideologia compulsando la schari’a nella politica. il suo motto é programmatico: «Dio è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihād è la nostra via. Morire nella via di Dio è la nostra suprema speranza”.
La quale, grazie ai dollari del golfo e all’insipienza Europea, aveva infiltrato capillarmente i paesi del mondo arabo islamico dal Mashrek al Maghreb condizionandone le classi medio-basse e, a partire dal 1990 quella infiltrazione si é estesa all’Europa.
Negli anni 80 (prendiamo come riferimento l’uccisione del Presidente egiziano Sadat), l’ondata di quell’istanza ormai più ideologica che religiosa, dal medioriente ha raggiunto il Maghreb, ha investito l’Algeria ed é giunta a lambire il Marocco seminando nella regione del Maghreb consuetudini fino ad allora sconosciute ed avversate ove insisteva (e tutt’ora insiste) una borghesia di grande apertura mentale in netto contrasto con la chiusura dell’Islam integralista, e dove l’Islam praticato era ed é un islam di ispirazione sufi in altrettanto netto contrasto con l’integralismo della Fratellanza Musulmana.
Adesso il mondo arabo islamico (sunnita) é diviso in due:

  • chi vuole la «riforma» dell’Islam,
  • e chi la rigetta volendo islamizzare il mondo…

il problema é che noi, rispondendo a tropismi non comprensibili ma attribuibili a condizionamenti di interessi geostrategici altrui, continuiamo a fare l’occhiolino a questi ultimi… una pazzia che ci impedisce di intercettare «il grido di dolore che si leva» da quelle sponde.
Per esperienza personale posso asserire che i paesi arabo-islamici che contorniano il Mediterraneo, a grande maggioranza cercano sponde per realizzare quell’affrancamento e se le aspettano dai paesi europei più coinvolti per geografia e storia con il mare Nostrum, e meno compromessi con il colonialismo… il ritratto perfetto dell’Italia… la quale é ora che smetta di fare le orecchie da mercante e persegua una politica regionale analoga a quella che é stata la «dottrina Mattei».

Contenuto Pubblicitario
Banner Istituzionale Italpress 666x82