Contenuto Pubblicitario
Regressione nei Balcani, l’Europa non resti a guardare

Regressione nei Balcani, l’Europa non resti a guardare

03 Ottobre 2016 1 Di Michael Giffoni

I Balcani, una posta in gioco enorme per l’Unione e la sua leadership politica: perdere questa sfida sarà un colpo definitivo per la sua credibilità. E anche l’Italia non può ignorare quel che accade alle porte di casa.

 

Non era mai successo che degli annunci di guerra fossero seguiti da un consolidamento della pace. Che dopo speranze di pace scoppiassero d’improvviso le ostilità era, invece, fatto pressoché normale nella grande penisola. A volte si aveva l’impressione che la penisola fosse davvero vasta, che ci fosse posto per tutti: per lingue e religioni diverse, per una dozzina di popoli e Stati, regni e principati, perfino per tre imperi (…) ma il tempo passava, i pareri cambiavano e sembrava che il Paese si restringesse. Più che dall’attrito dei territori e delle lingue di tanti popoli, quel senso di angustia era alimentato da vecchie reminiscenze. Erano angosce che i popoli in questione covavano in solitudine fino a che il loro peso si faceva insostenibile (…).

Questa magistrale descrizione della penisola balcanica e della sua storia centenaria di incontri e scontri tra popoli, religioni e civiltà diverse, apre un breve volumetto di Ismail Kadarè, supremo esponente della letteratura albanese contemporanea, dal titolo “Tre canti funebri per il Kosovo”, pubblicato profeticamente in Francia nel 1998…

Sì, proprio nel 1998, l’anno prima di un nuovo scoppio di ostilità vera e propria in Kosovo, dopo due decenni di “annunci”, a margine della violenta disintegrazione della Federazione Jugoslava, la quale, per più di quarant’anni, scavandosi un solco nell’ordine bipolare del secondo Dopoguerra, aveva tenuto a freno le eterne spinte disgregatrici dell’area finendo per “implodere” marcando per un decennio, e violentemente, l’assenza di un nuovo ordine mondiale da sostituire al precedente, crollato insieme al Muro di Berlino.

Mi è venuto in mente varie volte questo breve passo di Kadarè leggendo le cronache balcaniche nel panorama assurdo e paradossale delle notizie internazionale di questa balorda estate e soprattutto una intervista dura e rivelatrice, rilasciata dal premier serbo Alexsandar Vucic ad A. Tarquini di “Repubblica” e pubblicata il 27 settembre scorso, che mette a nudo le vecchie (mai sopite) e nuove (e forse ancora più preoccupanti) tensioni tra i vari Paesi dell’area:

  • la Serbia accusa apertamente la Croazia (diventata nel 2013 il 28mo Stato dell’Ue) di sabotare l’ingresso in Europa di Belgrado con una vera e propria “guerra di spie”;
  • in Bosnia-Erzegovina il 25 settembre scorso, Milorad Dodik, il premier dell’entità serba di cui si compone il problematico Stato uscito dagli accordi di Dayton, è riuscito a far passare un referendum su un parere della Corte Costituzionale che può aprire la strada a un altro referendum sulla possibilità di secessione dell’entità stessa e conferma ancora una volta l’assioma che la Bosnia-Erzegovina sopravvive unita da 20 anni solo per il (sottile) collante della volontà internazionale;
  • poi, l’eterno duello tra Serbia e Kosovo, con la prima tenacemente opposta alla sua indipendenza, pur ormai un vero e proprio dato di fatto internazionale, con un “dialogo politico” tra Pristina e Belgrado mediato da Bruxelles, partito tra tante speranze nel 2010 che s’inceppa a ogni istante e sembra sempre di dover partire da capo, tra quotidiane baruffe quasi folcloristiche e sporadici scontri (per nulla folcloristici) tra i duellanti;
  • e poi, infine, l’endemica instabilità, politica ed etnica, della Macedonia, che non riesce a far altro che tornare quasi ogni anno alle urne, e i passi incerti nella costruzione dello Stato in Albania e Montenegro, che pure hanno fatto registrare qualche progresso in più negli ultimi anni.

Nel 1999, la comunità internazionale intervenne in Kosovo per evitare che l’ultimo atto di quella violenta disaggregazione provocasse lo stesso impatto devastante per la popolazione civile che aveva segnato il resto della regione, ponendo le basi di una grande “rivoluzione europea politica e concettuale”, vale a dire la “Prospettive Europea” di tutti i Paesi dei Balcani Occidentali (i Paesi post- jugoslavi inclusi il Kosovo più l’Albania), sancita a Salonicco nel giugno 2004 e fornita di un vero e proprio “calendario” per l’adesione, da realizzare gradualmente e sotto stretto – ma non soffocante – controllo, unica speranza nel cammino della regione verso l’integrazione euro-atlantica.

Erano questi i principali obiettivi di un intervento e di un impegno europeo, che durano da venti anni e che ora Bruxelles sembra aver “sotterrato” sotto le urgenze più incalzanti del momento e il “mantra” di slogan ripetitivi e ormai quasi del tutto insignificanti.

Come sempre accade in queste situazioni, del resto, è la popolazione civile che soffre e paga, prima e più di tutti, costretta in una specie di “limbo geografico, politico, economico sociale e soprattutto psicologico”, finendo per rassegnarsi ad una cieca volontà di fuga, non solo da quei Paesi, ma dalla realtà stessa, nella speranza che, se l’Unione Europea non viene, almeno siano loro stessi ad andarci (e provare a restarci).

Già, l’Europa, ci aiuta di nuovo Kadarè con un altro passo del libro già citato

L’Europa… si ripeté, come se volesse ridare un senso a quella parola così svilita dai motteggi e dallo sprezzo. Una ventina di imperi, un centinaio di popoli, a volte stretti gli uni agli altri, a volte lontani. Quando si presentava nella sua vera dimensione? Quando la si vedeva contratta, oppure quand’era distesa? Quel continente, avevano spiegato amici istruiti, era una volta una sorta di immensa galassia spersa in mezzo al vuoto, mentre, di recente, aveva finito col diventare a sua volta una sorta di deserto asserragliato da una fitta moltitudine.

I Balcani rappresentano una posta in gioco enorme per l’Unione e la sua leadership politica, sia in termini di coesione interna che per le sue capacità operative sul terreno. Perdere questa sfida, come si sta purtroppo delineando, sarà un colpo definitivo per la sua credibilità, forse di più della stessa gestione della crisi migratoria e della tenuta dei conti pubblici e delle regole di Francoforte.

Del resto, i Balcani sono parte geograficamente dell’Europa (è inutile cercare ipocritamente di nasconderselo) e se non saremo capaci di intervenir alle porte di casa, difficilmente potremo farlo altrove.

Ecco perché non possiamo continuare a fallire. Ciò che adesso serve è la determinazione a continuare la strada intrapresa per portare a compimento, con successo, l’”europeizzazione” dei Balcani per evitare la balcanizzazione europea.

Ma tutti gli sforzi saranno vani se il dialogo con le autorità politiche della regione non convincerà quest’ultime a smetterla di rincorrere i fantasmi del passato e provare invece a cogliere le opportunità del futuro. Per loro e per i loro popoli è ormai tempo di chiudere definitivamente il capitolo della dissoluzione e aprire quello della riconciliazione politica, della solidarietà e del progresso sociale ed economico.

Solo così il desolato paesaggio balcanico e post-jugoslavo potrà far parte di un retaggio comune europeo, fatto di desolazione e sofferenza, ma anche di speranza, pace e progresso.

Contenuto Pubblicitario
Banner Istituzionale Italpress 666x82