Riuscirà Guterres a ridare all’Onu un ruolo effettivo?
10 Ottobre 2016Il nuovo segretario generale, il portoghese Antonio Guterres, è chiamato ad usare le sue vaste competenze diplomatiche per recuperare all’Onu un ruolo nell’attuale disordine globale.
Onu, il portoghese Guterres nuovo Segretario generale
Nessuno può mettere in dubbio le vaste competenze negoziali e diplomatiche nonché la solida esperienza politica e su scala internazionale del nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite, l’ex primo ministro portoghese Antonio Guterres, assunto a tale posizione di massimo prestigio nel giro di pochi giorni della scorsa settimana.
E’ bastato poco, bisogna ammetterlo, a raggiungere tale sbocco positivo, vale a dire la secca designazione del Consiglio di Sicurezza, che ha messo fine in tempo utile a un “toto-nomina internazionale” che stava diventando imbarazzante (a causa di maldestre iniziative di alcuni Paesi, soprattutto dell’Est Europa) e aperto la strada alla conferma definitiva da parte dell’Assemblea Generale del Palazzo di Vetro.
Guterres è un politico di notevole esperienza e provata energia, avendo guidato il Paese lusitano nel periodo a cavallo tra i due millenni, quando il mondo cambiava e importanti decisioni venivano prese a livello europeo.
E non gli manca quel tratto indispensabile di “diplomatic finesse” (come l’ha definita il “New York Times”), essendo stato per dieci anni alla guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, una delle più importanti e delicate Agenzie “onusiane”.
Non gli mancano quindi le conoscenze (fondamentali per il nuovo ruolo) dei complessi meccanismi interni delle Nazioni Unite, organizzazione tristemente nota per la sua “elefantiasi burocratica” (si narra che per spostare una sedia di un metro a Timbuctù o a Colombo spesso siano necessarie settimane di scambi di corrispondenze tra New York, Ginevra, Vienna e i diretti interessati).
Non gli manca neanche – e ciò è essenziale in questo momento particolare della congiuntura internazionale – la conoscenza dei complessi meccanismi della crisi migratoria che ha assunto dimensioni di preoccupazione estrema, in primo luogo nel bacino del Mediterraneo e poi all’interno dello stesso continente europeo.
Questa crisi Guterres l’ha vista ampliarsi a dismisura nonostante i suoi continui appelli, diretti alle potenze globali e regionali, proprio nel periodo della sua direzione dell’Unchr (dal 2005 al 2015.
Conoscendone bene le origini e gli sviluppi, sa bene quindi quanto drammatiche potranno essere le sue conseguenze se non viene quantomeno attenuata, e già nel breve periodo.
E questo elemento per l’Italia è positivo: cento volte meglio avere Guterres al Palazzo di Vetro che non qualcun altro – pur di grande prestigio – che la crisi mediterranea l’ha letta solo sui rapporti, se non sui giornali).
Cambiare Segretario generale difficilmente basterà
Il nuovo arrivato vorrà certamente imprimere slancio e vigore alle Nazione Unite (cosa non certo difficile rispetto all’ultimamente del tutto imbolsito Ban-Ki-Moon).
Ma difficilmente basterà cambiare Segretario generale per dare finalmente allo stesso Palazzo di Vetro un ruolo efficace nella gestione dell’attuale disordine globale, dalle crisi regionali letteralmente impazzite, dal Medio Oriente – con Siria, Yemen e Libia in prima fila – fino al Nord del Pacifico – con le due Coree sempre in guerra, pur fredda, passando attraverso centinaia di focolai.
Il tutto in una situazione internazionale resa più complessa e di difficile gestione dalla crescente tensione tra la Russia e l’Occidente (situazione che in alcuni Paesi si ingigantisce oltremodo, mentre in altri, Italia inclusa, si preferisce attenuare, ma che oggettivamente esiste), dalla Cina e dal suo ruolo sempre più aggressivo in Estremo Oriente, e – last but not least – dalle turbolenze economiche globali che rendono non solo incerte le prospettive economiche dei cosiddetti Paesi che contano (per semplicità usiamo la formula del G-20) ma ancora più acuto il divario tra mondo sviluppato e Paesi in via di sviluppo (che ancora esistono), con effetti a catena, primi tra i quali la permanenza della “fame nel mondo” e la ricerca di una via di fuga nell’emigrazione, nel malaffare e nei traffici illeciti, strumentalizzati dalla criminalità internazionale (la cosiddetta “Mc Mafia”, con termine coniato dal giornalista britannico Misha Glenny).
Non basta un cambio di vertice, servirebbe un vero e proprio “giro di vite” nella struttura e nel metodo a New York, ma questa è una lunga storia e da almeno due decenni ce la raccontiamo.
Se l’Onu aveva “vivacchiato” nel cinquantennio di Guerra fredda inserendosi negli “interstizi” dove le due superpotenze non potevano intervenire per paura dell’olocausto nucleare, fu sufficiente la crisi jugoslava dei primi anni ’90 a dimostrarne in pieno l’inadeguatezza nel passaggio dall’ordine bipolare a una situazione di generale disordine globale (poi complicata ancora di più dal sorgere di nuovi fenomeni quali il “nuovo” terrorismo internazionale e i cosiddetti “nuovi soggetti para-statali” ).
Già nel 1996, infatti, Gigi Riva e Zlatko Dizdarevic dalle macerie bosniache scrissero un libro diventato un “classico” dal titolo emblematico: “L’Onu è morta a Sarajevo”.
Da allora è mancata la capacità di riformarsi, di adeguare una struttura rispondente a un sistema non più attuale, quello post-1945), soprattutto a causa del “blocco” dei Paesi del Consiglio di Sicurezza ma anche per le rivalità di quegli altri Paesi (e la lista sarebbe lunga) che, invece di pensare a un cambiamento radicale, si sono accontentati per anni solo di reclamare una poltrona nel Consiglio stesso ovvero impedire ai propri rivali di ottenerne una.
Il risultato è stato riassunto da Guterres stesso che, parlando agli ambasciatori del Consiglio di Sicurezza nel suo discorso di commiato dalla carica di Alto Commissario per i Rifugiati, così si esprimeva:
Abbiano bisogno di una forte ripresa – “surge” – nella sostanziale diplomazia per la pace. La Comunità internazionale spende molto più tempo e risorse nel management degli effetti delle crisi che nella loro prevenzione e nel vero e proprio intervento diplomatico.
Sarebbe opportuno che Guterres se ne ricordi e che ne faccia il suo punto di partenza. Non a caso, nel salutare con soddisfazione l’accordo che ha portato alla sua nomina, il Rappresentante permanente britannico a New York, Matthew Rycroft, lo ha definito un uomo
all’altezza di dare all’Onu la capacità negoziale e l’autorità morale necessarie in una fase in cui il mondo è altamente diviso, a cominciare dalla Siria.
Pensando alla Siria e ad Aleppo, allo Yemen e ad altri scenari dove niente cambia, verrebbe voglia di aggiungere…
se il Consiglio di Sicurezza e le altre forze multiple che controllano le dinamiche internazionali gli consentiranno almeno di provare ad esercitarle.