
Referendum 2025, Armeni (No): Democrazia o strumentalizzazione?
27 Maggio 2025Da Claudio Armeni, coordinatore del Comitato per il No e l’Astensione consapevole, una riflessione critica sul referendum, strumento di democrazia a rischio di strumentalizzazione.
Referendum 8-9 giugno: Democrazia o strumentalizzazione? Una riflessione critica
L’8 e 9 giugno 2025 si terranno in Italia cinque referendum abrogativi promossi, tra gli altri, dalla CGIL. Di questi, quattro toccano temi centrali del mondo del lavoro, come i contratti a termine, le tutele crescenti, i licenziamenti e gli appalti. Il quinto, invece, propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale necessario per ottenere la cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri.
In un paese in cui la partecipazione politica è in costante calo e la disillusione verso le istituzioni cresce, la chiamata alle urne tramite referendum può apparire come un’azione di democrazia diretta, un’occasione per dare voce ai cittadini su temi cruciali. Ma è davvero così? Oppure ci troviamo di fronte a un uso improprio, e potenzialmente distorsivo, di uno strumento che dovrebbe essere eccezionale, ponderato e soprattutto risolutivo?
La CGIL e il paradosso del referendum “sindacale”
Partiamo dai primi quattro quesiti referendari, quelli sul lavoro. L’impressione – e non solo impressione – è che la CGIL stia usando il referendum come surrogato di uno sciopero generale o di una grande mobilitazione politica.
Ma con una differenza fondamentale: uno sciopero lo paga chi lo fa, mentre il referendum lo pagano tutti gli italiani, con costi che superano i 400 milioni di euro.
Questo uso del referendum come strumento di protesta è discutibile, perché travisa la sua funzione originaria: non servire a “lanciare messaggi”, ma a cambiare leggi.
E proprio qui sta il nodo: i quesiti sul lavoro sono tecnici, a tratti confusi, e rischiano di produrre effetti incerti, se non controproducenti.
Abrogare norme complesse con un tratto di penna, senza proporre un’alternativa normativa contestuale, può creare più caos che giustizia.
Inoltre, il referendum abrogativo, per sua natura, è binario: sì o no. Non c’è spazio per la mediazione, per l’articolazione di proposte alternative, come accade nel processo legislativo ordinario.
Insomma, l’opposto della negoziazione sindacale, che vive di compromessi e gradualità.
Un altro discorso per il quinto quesito
Diverso è il discorso per il quinto referendum, che riguarda l’accesso alla cittadinanza. Il quesito propone di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto agli stranieri per poter chiedere la cittadinanza italiana.
In questo caso, la questione è chiara, netta, e il voto – sia esso un sì, un no, o un’astensione consapevole – ha un senso compiuto.
Il tema della cittadinanza tocca principi fondamentali come l’integrazione, l’identità, i diritti civili, e può essere valutato con consapevolezza anche da un elettorato non specialistico.
Qui il referendum è più coerente con la sua vocazione: consultare il popolo su un principio ordinamentale e sociale importante.
Il senso dell’astensione
In questo contesto, anche l’astensione può diventare una forma di espressione politica. In particolare per i primi quattro quesiti, chi ritiene che il referendum sia stato strumentalizzato come “protesta istituzionale” può decidere di non legittimare l’iniziativa, contribuendo a non far raggiungere il quorum.
L’astensione consapevole – spesso demonizzata – è invece perfettamente legittima in un referendum abrogativo: il quorum è lì proprio per garantire che una minoranza organizzata non imponga la propria visione a una maggioranza silenziosa.
Così il referendum non è nobile strumento di riforma na veicolo di battaglie ideologiche
Il referendum è uno strumento nobile, ma fragile. Se diventa un veicolo per campagne sindacali o battaglie ideologiche senza vere prospettive di riforma concreta, rischia di indebolire ulteriormente la fiducia dei cittadini nella democrazia diretta.
I quesiti dell’8 e 9 giugno, salvo uno, sembrano più un atto di protesta simbolica che un tentativo serio di cambiare il Paese. Una protesta, però, pagata con i soldi di tutti.
*Claudio Armeni è Coordinatore del Comitato peril No e l’Astensione consapevole