
Contro-terrorismo nel Sahel-Sahara, i soldati italiani possono fare bene
23 Maggio 2021 0 Di Corrado CorradiContro-terrorismo nel Sahel-Sahara, i francesi hanno pressoché fallito nell’operazione Barkhana, ma i soldati italiani potranno fare bene.
Contro-terrorismo nel Sahel-Sahara, i soldati italiani possono fare bene
Ritengo che la guerra contro-terroristica condotta dalla Francia contro i gruppi jihadisti nel Sahel-Sahara sia fallita. Ormai sono numerosi i gruppi jihadisti consolidati che non hanno ancora stabilito una strategia comune ma che non tarderanno a realizzarla.
Ritengo che, alla base del fallimento, ci siano due fattori:
- il primo è quello ideologico, riconducibile all’avversione a un colonialismo vituperato dalla grancassa mediatica da circa un’ottantina d’anni e che condiziona pesantemente anche quegli stati africani più avvezzi alla presenza francese post-coloniale, appartenenti all’area del CFA (in parole povere quella regione in cui il Franco Francese la fa da padrone);
- il secondo è l’esempio dell’Afghanistan, che invita chiaramente ad avviare una trattativa con i movimenti jihadisti per un accordo che dia sollievo alle popolazioni di quella regione esposte oltre che alla povertà, adesso anche alla violenza.
La questione non è da poco, perché sembra evidenziare, per la gioia dei gruppi jihadisti, che la lotta contro-terroristica al Jihad è una lotta persa in partenza.
Come dice l’ottimo giornalista Quirico: “E’ il modello afgano che si allarga” e che induce quelle popolazioni a ritenere che la presenza e il ruolo dei gruppi radicali islamici in loro seno sia una realtà da accettare.

Soldati francesi impegnati nel contro-terrorismo nel Sahelo-Sahara con l’operazione Barkhana (foto Ministére des Armees).
Peggio di così, quella lotta contro-terroristica iniziata nel 2001 dagli yankee, partiti lancia in resta senza avere uno straccio d’idea su chi fosse il vero terrorista e come eliminarlo, non poteva andare.
Qualcuno ritiene che non sia il caso che l’Italia si impegni a fianco della Francia in una guerra in quella regione in cui, tra l’altro, i nostri cugini d’Oltralpe spadroneggiano da almeno un secolo.
Beh, a dire il vero, qualche perplessità non può non insorgere. Tuttavia, ricordiamo “nostra semenza”, il nostro DNA di italiani… è vero che quella in cui stiamo entrando “boot on the ground” è una realtà altamente pericolosa: jihadisti sperimentati ma anche contrabbandieri, gruppi di predoni, gruppi di autodifesa, spinte autonomiste di tribù e clan…
E per di più, i governi di Mali e Burkina Faso stanno trattando con le due principali formazioni jihadiste (quella riconducibile ad “AQMI” e quella riconducibile all’ISIS).
In sostanza una situazione dannatamente complicata, ma, proprio per questo: chi, meglio del soldato italiano è in grado di districarsi in siffatta situazione calibrando la forza delle armi e la capacità di stabilire relazioni umane?
I nostri soldati hanno dato la miglior prova di sé in mondovisione, prima in Libano, poi in Somalia e, più recentemente, maggiormente sperimentati, in Iraq e Afghanistan, dove sono stati soldati efficaci e micidiali senza essere feroci e, in ottemperanza al detto per cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, hanno saputo anche esercitare un’azione politica tesa a promuovere alleanze suscettibili di abbassare il livello della minaccia.
E’ vero che i nostri soldati affiancheranno i 5 mila soldati francesi dell’Operazione Barkhane, ma se saranno gestiti da un Ministro della Difesa accorto, sapranno imporre il modus operandi italiano a tutto profitto del contro-terrorismo ma anche della stabilizzazione di una regione che, secondo me, dopo decenni di colonialismo e di CFA, non disdegnerebbe cambiare tutoraggio…
Ma questo, non riguarderà più i nostri soldati, riguarderà la nostra classe politica. E peggio me sento.
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Info sull'autore
Corrado Corradi è nato a Parma nel 1956 e nel 1965, al seguito dei genitori, emigra in Marocco ove frequenta le Scuole elementari e medie in Casablanca e superiori a Tangeri. Nel 1975 rientra in Italia per fare il servizio militare, nel 1977 é presso la Scuola Militare di Paracadutismo della «Folgore» ove consegue la qualifica di Istruttore di Paracadutismo e il grado di Sergente; nel 1980 accede al 9° Battaglione d’Assalto Incursori Paracadutisti «Col Moschin» ove rimane fino al 1993 partecipando ai principali addestramenti e alle principali operazioni del Reparto. A giugno del 1993, col grado di Capitano, transita presso gli OO.II.SS. (Oganismi di Informazione e Sicurezza) che lo « spediscono » in giro per il mondo arabo-islamico (Algeria, Tunisia, Yemen, Giordania, Iraq e Marocco). Posto in quiescenza nel 2011 con il grado di Colonnello, assume per conto Eni la responsabilità della sicurezza del Gasdotto Trans-tunisino e si trasferisce a Tunisi ove rimane fino a febbraio 2016 quando rientra in Marocco ove attualmente risiede nel paese costiero di Skhirate.