
3 maggio giornata della libertà di stampa. Chi la difende e chi no
02 Maggio 2025Si celebra in tutto il mondo la giornata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Promuovere l’indipendenza e il pluralismo dell’informazione. Anche il giornalismo deve cambiare. Basta con lo sfruttamento e i bassi compensi ai collaboratori.
Il 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di stampa. “Europa, democrazie e libertà di stampa sotto attacco. L’attualità delle conquiste della Liberazione tra bavagli, guerre e nuova narrazione della storia ”è il tema di quest’anno. Tema certamente non nuovo. Nel nostro Paese, poi, le intercettazioni abusive e le norme limitanti il diritto di cronaca arrivano come il sale su ferite antiche. Nel Report 2025 di Reporter Senza Frontiere (Rsf), l’Italia è scesa di tre posti rispetto al 2024 ed è al 49° posto nel mondo. La libertà di informare sembra, ormai, un elastico nelle mani di poteri inafferrabili. In tutto il mondo, anche nella civilissima Europa. I tempi cambiano, ma il desiderio di possedere e gestire le leve dell’informazione non modifica le acrobazie della politica. Che i giornalisti domani si mobilitino per difendere il principio della libera informazione è il segnale di una presa d’atto dei pericoli che stiamo correndo.Le Nazioni Unite se ne ricordano ogni anno. Ma la mobilitazione forse segna anche il tramonto di una certa autoreferenzialità dei giornalisti stessi. Un peccato grave che li ha portati spesso a distinguersi dalle altre categorie sociali solo in ragione di potenti mezzi di cui dispongono: giornali, radio, tv, siti web. Ciascuno, ovviamente, fa i conti con la propria coscienza.
La rivoluzione tecnologica ha travolto i giornalisti forse più di altri soggetti, facendo emergere interrogativi inquietanti sulla sopravvivenza della libera stampa come sostanza e linfa della democrazia. I presìdi del 3 maggio serviranno a ridefinire un nuovo rapporto tra operatori dell’informazione e pubblico ? I rischi che corre l’informazione saranno ben rappresentati nella più articolata vicenda degli attacchi ai diritti umani ? Sono domande lecite, più pesanti rispetto al passato, poiché il traguardo da cui ripartire è più vicino di quanto non si creda. L’informazione resta un bene prezioso per tutti, alla condizione che sia di qualità, si sforzi di interpretare i fatti, sia severa con se stessa, sia davvero al servizio di chi legge o ascolta. Concetti come affidabilità, specializzazione, chiarezza, selezione delle fonti, onestà, fanno da contrappeso a una crisi d’identità mondiale che coinvolge tutti, beninteso anche gli editori. Le notizie sono merce privilegiata da esporre a ogni ora del giorno e della notte. Esibita in un mercato globale dove – munifica Italia ! – è anche facile editare giornali quando è lo Stato a sostenerti con provvidenze milionarie: cioè pagate dai contribuenti. In questo caso lo scandalo italiano è lampante. Perché chi prende gli aiuti dallo Stato non retribuisce in maniera adeguata i giornalisti collaboratori ? Si parla di equo compenso ma poi si nasconde tutto. In tante parti del mondo la lotta per il controllo delle testate si combatte a suon di miliardi con i redattori sgraditi pronti a essere licenziati. E qualche volta ci si mettono anche i capi di Stato.
A testimonianza di ciò che sta accadendo nel mondo e in Europa, comunque, c’è anche il Report di Liberties Media Freedom. Un documento allarmato redatto da 40 organizzazioni che si occupano di diritti umani. La libertà dei media è la prima linea di difesa contro l’autoritarismo, ma in Europa si sta sgretolando, è scritto nel Report. I governi influenzano i media assegnando finanziamenti statali agli organi di informazione a loro favorevoli e utilizzano i mezzi del servizio pubblico come strumenti di comunicazione. Un gioco diabolico e contraffatto che punisce i professionisti seri. I giornalisti subiscono minacce e violenze diffuse e la libertà di accesso alle informazioni non è pienamente garantita. Protestare è giusto e le libertà sono da salvaguardare.
Lo sforzo da fare e che deve appassionare e convincere il pubblico (“i nostri padroni”, diceva Indro Montanelli) è saper raccontare la realtà, le cose per come sono, le ingiustizie, i drammi umani e sociali, gli imbrogli. Il silenzio di fronte alle ingiustizie è complicità, ho sentito dire da Maria Ressa, Premio Nobel per la pace. In quel momento non mi sono bastati 40 anni di attività, mi ha fatto piacere sentirlo. La giornata di mobilitazione di domani nelle piazze di tutto il mondo evidentemente non basta a riparare guasti storici. Non è sufficiente a fermare l’odio contro i giornalisti indipendenti che a migliaia lavorano in condizioni di totale sfruttamento, senza contratti di lavoro, per poche decine di euro ad articolo, senza tutele. Muoiono sul campo, vengono torturati nelle prigioni, sono spiati, inseguiti e insolentiti. E allora le domande di questo angosciante 2025. Cosa chiedere a chi inquina il campo di gioco della democrazia, ne approfitta per calcare la mano in ogni modo ? Stare dalla parte giusta, lasciare libera la stampa di cercare notizie, pubblicarle, commentarle, collaborare a rendere trasparente le attività e gli affari.
Informare è cosa diversa dal comunicare e la buona informazione richiede sempre più competenze, studio, verifiche. I giornalisti facciano – facciamo ! – passi avanti coraggiosi attraverso una preparazione crescente, più dedizione, più dubbi, mettendo nel racconto il senso di quello che è, che si vede, si scopre e non di quello che vorremmo che fosse. Le guerre, le epidemie, il cambiamento climatico, le migrazioni, le tecnologie, le nuove povertà, hanno scavato dentro certezze che i cronisti si tramandavano da generazioni. Il risultato è stata la crisi di modelli narrativi e di rappresentazione inadeguati, da sostituire con nuovi linguaggi, fonti qualificate, ritmi narrativi veloci, autorevolezza, tutto in grado di competere con la mole di news quotidiane, farlocche e a sbafo non opera di giornalisti. All’orizzonte, ma da costruire, un nuovo patto tra giornalisti e cittadini per non lasciare il campo alla prepotenza.