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Primo Maggio: la passerella del concerto e il silenzio sul vero lavoro

Primo Maggio: la passerella del concerto e il silenzio sul vero lavoro

02 Maggio 2025 Off Di Claudio Armeni

Anche quest’anno il Concerto del Primo Maggio ha riempito Piazza San Giovanni a Roma con musica, slogan, e proclami. Una lunga maratona televisiva, artisti sul palco, cori di Bella Ciao, bandiere, dichiarazioni pro Palestina, appelli alla pace e alla giustizia sociale. Tutto molto coinvolgente. Ma il lavoro dov’è?

Primo Maggio: spettacolo coinvolgente. Ma il lavoro dov’é?

Anche quest’anno il Concerto del Primo Maggio ha riempito Piazza San Giovanni a Roma con musica, slogan, e proclami. Una lunga maratona televisiva, artisti sul palco, cori di Bella Ciao, bandiere, dichiarazioni pro Palestina, appelli alla pace e alla giustizia sociale. Tutto molto coinvolgente. Ma il lavoro dov’è?

La Festa dei lavoratori, nata per celebrare le conquiste e i diritti conquistati con fatica, rischia di trasformarsi in una rituale liturgia ideologica, sempre più lontana dalle vere esigenze di chi lavora.

Dietro le note e i proclami, il mondo del lavoro reale – fatto di turni infiniti, precarietà, partite IVA mascherate, sfruttamento – resta ai margini. Invisibile.

Il Primo Maggio dovrebbe essere un momento di unità, e invece sembra dividere. Perché i lavoratori non sono solo quelli che si riconoscono in certe bandiere o in una precisa linea politica.

Il lavoro non è di Sinistra o di Destra

Il lavoro non è di sinistra o di destra: è vita quotidiana, dignità, sostegno alla famiglia, progetto di futuro. La rappresentazione che ne viene offerta dalla kermesse romana è spesso parziale, stereotipata. E così, molti – troppi – non si sentono rappresentati.

A far discutere, poi, è anche l’ingente investimento economico che accompagna il concerto.

Una macchina organizzativa pesante, sostenuta anche dai sindacati confederali. Ma davvero questo è il modo migliore per celebrare la centralità del lavoro? Non sarebbe più utile destinare quelle risorse alla formazione, alla tutela legale dei lavoratori più fragili, alla riduzione delle quote associative per avvicinare nuove generazioni al sindacato?

Perché è proprio la rappresentanza, oggi, a mancare. Si annunciano referendum, si moltiplicano le contestazioni, ma le proposte latitano.

Il sindacato rischia di apparire autoreferenziale, più concentrato sulla visibilità mediatica che sull’efficacia concreta. Meno piazze televisive, più risposte quotidiane nei luoghi dove il lavoro si fa, si cerca o si perde. Questo serve.

Il lavoro non ha bisogno di una vetrina una volta l’anno. Il lavoro ha bisogno di ascolto, di contratti equi, di sicurezza, di giustizia fiscale.

Il Primo Maggio, se vuole essere davvero una festa, dovrebbe tornare ad essere uno strumento di riflessione profonda, non solo un evento da palinsesto.

Perché il lavoro è ogni giorno. E ogni giorno è, o dovrebbe essere, il Primo Maggio.

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