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Alpi Hrovatin: il no all’archiviazione di un processo senza fine

Alpi Hrovatin: il no all’archiviazione di un processo senza fine

05 Ottobre 2019 0 Di Claudia Svampa

Il giudice per le indagini preliminari di Roma, Andrea Fanelli, ha respinto ieri la richiesta di archiviazione- presentata dalla procura – in merito all’inchiesta sull’omicidio dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi in Somalia, a Mogadiscio il 20 marzo 1994

Il Gip dunque dice no all’archiviazione: il caso non é chiuso e si continuerà a indagare. 

Diversa angolatura ma stessa visione dei fatti

Si ripartirà da un omicidio attribuito alla mafia, quello del giornalista, co-fondatore di Lotta Continua e fondatore della comunità Saman  Mauro Rostagno, ucciso nel 1988 vicino Trapani. In 180 giorni andranno acquisiti gli atti relativi al fascicolo di indagine su questo omicidio per verificare possibili collegamenti tra i due casi: Rostagno e Alpi Hrovatin. .

Si cercherà,  ancora, un apparentemente nuovo ma identico movente per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, che incolli il puzzle infinito le cui tessere non hanno mai combaciato in un quarto di secolo di indagini: dal traffico di armi ai rifiuti tossici, dai servizi deviati ai finanziamenti alla cooperazione italiana allo sviluppo, dalle violenze contro i somali perpetrate da militari italiani, al coinvolgimento di Gladio. 

Dopo le navi della Shifco, l’autostrada dei veleni a Bosaso, il manuale del maresciallo Aloi, la morte di Vincenzo Li Causi (Sismi) e Marco Mandolini (incursore dell’esercito), la nuova tessera del puzzle da incastrare nel delitto di Mogadiscio sarà dunque il caso Rostagno. Mancheranno ancora  il Ten. Col. Mario Ferraro (Sismi) e Monsignor Salvatore Colombo (vescovo di Mogadiscio) e poi i deceduti in circostanze sospette o mai chiarite con un qualche legame somalo saranno al completo per le indagini del caso Alpi Hrovatin. 

Il contesto dell’inferno somalo

Sono passati venticinque anni e sei mesi da quel 20 marzo 1994 quando alle 15,10 ora locale, l’auto sulla quale viaggiavano Ilaria Alpi, inviata del Tg3 e Miran Hrovatin, operatore per la stessa testata, appena rientrati a Mogadiscio da Bosaso, veniva crivellata da colpi di kalashnikov in un agguato perpetrato da un commando di somali nel centro di Mogadiscio, poco distante dall’ex ambasciata italiana. 

Erano gli stessi giorni in cui il contingente italiano lasciava la Somalia,  e l’operazione Ibis della missione internazionale Unosom, iniziata il 13 dicembre del 1992,  si concludeva il 21 marzo 1994 con un bilancio pesante per il nostro paese: avevano perso la vita undici militari, un’infermiera volontaria delle Croce Rossa e due giornalisti della Rai.

Era questo il contesto, dell’’inferno somalo, a 8000 chilometri da Roma. Che é. un contesto immutato ancora oggi e che si chiama guerra civile, carestia e pestilenza. Un contesto che, nella gran parte degli atti di indagine appare quasi marginale e invece é sostanziale nella ricerca della verità. E’ lo stesso contesto nel quale, pochi giorni fa, alcuni soldati italiani attualmente impegnati in quell’area nella missione europea Eutm-Somalia sono miracolosamente rimasti illesi, dopo che due loro mezzi VTLM Lince sono stati colpiti da un’autobomba al rientro da un’attività addestrativa. 

Obiettivo movente politico nella propaganda mediatica

E’ lo stesso contesto nel quale le paludi giudiziarie  si sono più volte impantanate, nella ricerca di moventi precostituiti e individuati con ostinazione da una visione prismatica totalmente politicizzata.  Nella quale si sono incontrate e scontrate procure, da Udine a Trapani passando per Roma, inchieste giudiziarie, magistrature militari, commissioni parlamentari d’inchiesta, esami autoptici e riesumazioni di salme, super perizie balistiche e contro perizie, un numero impressionante di audizioni e di atti processuali. 

Due omicidi e una sola vittima

E da una tale mole di lavoro investigativo sono nati decine di libri, inchieste televisive, fiction tv e piece teatrali, dove la personale verità dei fatti a guardare bene porta sempre le stesse firme dell’ex parlamentare Mariangela Gritta Grainer e prioritariamente dei giornalisti e scrittori Luciano Scalettari, Francesco Cavalli, Maurizio Torrealta. Si chiama sempre “la storia di Ilaria” questa storia di complotti e depistaggi. Ed é sempre la stessa storia: un duplice omicidio dove la vittima sembra essere solo una, la giornalista, mentre l’operatore ucciso interpreta il ruolo di comparsa. 

Dove i familiari della vittima sono solo i genitori di Ilaria, oggi entrambi scomparsi, e non anche e alla pari, la moglie e il figlio di Miran Hrovatin. Dove i libri scritti e le fiction, non hanno mai guardato con altrettanto rispetto e attenzione a quel professionista che il mestiere di inviato di guerra lo conosceva bene e lo praticava da anni, e che é morto esattamente come é morta Ilaria Alpi.  

 Qualche altra luce da accendere

Allora con un’inchiesta ancora aperta, ormai matura dopo oltre 25 anni, perché non cominciare a fare luce anche su altri elementi, altri interessi più aderenti a quanto accaduto? 

Ad esempio perché Hrovatin é personaggio di serie B nelle battaglie dei ricercatori di verità? Solo perché la sua famiglia crede poco nel complotto e forse, conoscendo il lavoro svolto da Miran per anni nella guerra dei Balcani ha qualche buona ragione per non sposare la tesi del depistaggio? 

E ancora, perché la dirigenza Rai, all’arrivo delle salme a Roma, ha subito potuto (e voluto)  prendere in consegna tutto il materiale video e i taccuini senza che tutto ciò non fosse preventivamente sequestrato dalla magistratura? 

Oppure perché i due giornalisti avevano un budget così esiguo – e imbarazzante alla luce dei fatti – per affrontare i costi di una missione in Somalia (che non gli consentiva certamente di investire in scorte e sicurezza) soprattutto se rapportato a quello dei colleghi del Tg1 e Tg2 presenti nello stesso momento? 

E ancora come é possibile sostenere con accanimento la tesi delle inchieste scottanti quando un filone d’inchiesta richiede mesi di studio, approfondimenti, contatti, documentazione ricerca  da parte del giornalista e di tutto ciò non é mai stata trovata traccia? 

E in ultimo, perché non si é mai dato credito ai tanti colleghi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, colleghi che erano presenti o che realmente la conoscevano, come conoscevano la Somalia e il lavoro dell’inviato in aree di crisi, che per primi avrebbero voluto fare luce su qualsiasi depistaggio se ci fosse stato, ma altrettanto per primi hanno dovuto prendere atto della verità dei fatti e non delle teorie complottistiche? 

La guerra somala non é solo una cornice paesaggistica

Traffico di armi, corruzione della cooperazione, business dei rifiuti tossici  o scontro tra servizi, sono tutte realtà che fuor di dubbio coesistevano nello stesso contesto nel quale é avvenuto l’omicidio Alpi Hrovatin. Coesistevano e coesistono al pari di una conflitto esasperato che non conosce la parola fine. Ma é proprio la guerra che, nella ricerca della verità non può essere derubricata a cornice paesaggistica. Se così continuerà ad essere la parola fine sull’omicidio Alpi Hrovatin non sarà mai scritta, perché la verità parallela che attinge agli scandali politici avrà sempre la meglio sulla dignità di due professionisti che svolgendo il proprio lavoro hanno perso la vita in Somalia.  Come altri 77 colleghi in venticinque anni,  in un paese dove certamente, loro per primi, sapevano che il valore della vita umana era pari a zero e il rischio che si correva e si corre, altissimo.

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