Brexit: cosa cambia per scambi di servizi e investimenti
26 Febbraio 2021Accordi firmati tra Regno Unito e Unione Europea anche per le nuove misure negli scambi di servizi e investimenti dopo la Brexit.
Brexit: Accordo di Recesso, un flop in tutto o in parte?
La tempesta scatenata dal Regno Unito a partire dal 2016 con la decisione di lasciare una volta e per sempre l’Unione Europea (o almeno così si crede ma la Scozia certo continua a insinuare un po’ il dubbio) non lascia ‘quasi’ nulla al caso.
Con il ‘quasi’ ci si vuole riferire qui alle fatali dimenticanze del primo ministro inglese Boris Johnson riguardo il settore finanziario che di sicuro non sono passate inosservate, e specialmente perché se non ha poi tanto riflettuto sulla questione finanza, almeno ha riflettuto sul da farsi con i pesci britannici.
O almeno così l’aveva messa il leader della Camera Jacob Rees-Mogg che con un po’ di quel tradizionale humor inglese aveva detto secondo quanto riportato dall’Independent “Almeno i pesci inglesi sono più felici ora”.
Eppure, se da un lato l’Independent aveva confermato la tragica mossa di BoJo descrivendola come “il sacrificio del settore finanziario per quello ittico”, in realtà dall’altro anche questa industria, apparentemente messa in salvo dal premier, sta risentendo dell’effetto Brexit. Tanto è che la BBC riporta con non poca ilarità la nuova preghiera fatta da Johnson negli ultimi giorni ai suoi connazionali: “Mangiate pesci inglesi”.
Ma insomma, possibile che sia stata invece una scelta politica, e manovra strategica quella di spostare il fulcro dell’attenzione dalla ben più redditizia finanza verso questioni di sovranità e di pesca?
Tutto resta da vedere, e soprattutto perché, chissà il perché e chissà il per come, molte industrie europee si stanno intanto spostando proprio verso Londra. Ma questa è un’altra storia.
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Intanto, di sicuro c’è che l’Accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione stabilisce almeno le nuove misure post Brexit per lo scambio di servizi e investimenti.
E meno male, perché il settore dei servizi conta per l’80% del PIL inglese. Il Regno Unito è infatti secondo al mondo per esportazione di servizi, e il caso un po’ beffardo e una natura ‘leopardianamente’ un po’ maligna vogliono che sia proprio l’Unione Europea a importare il 40% di questi servizi.
Vediamo allora quali sono queste nuove regolamentazioni che innanzitutto garantiscono a Regno e Unione l’accesso reciproco ai mercati inglese ed europeo.
Trattamento nazionale e accesso al mercato: le nuove regole per gli investimenti post Brexit
Come primo punto, l’Accordo tratta la liberalizzazione degli investimenti.
Il titolo si applica ad investitori e imprese disciplinate, e cioè quelle imprese presenti sul territorio di una delle due parti, che sia Regno Unito o un Paese Membro dell’UE, stabilite da un investitore dell’altra rispettiva parte. Lo scopo è quello di regolamentare lo scambio di investimenti tra il Regno e l’Unione dopo la Brexit.
Per quanto riguarda l’accesso al mercato, sia Regno Unito che Unione non possono limitare né le imprese disciplinate né gli stabilimenti di un investitore dell’altra parte con misure riguardanti:
- il numero di imprese che possono svolgere una determinata attività economica;
- il valore complessivo delle operazioni o delle attività patrimoniali dell’impresa;
- il numero complessivo di operazioni o della produzione totale da parte dell’impresa;
- la partecipazione di capitale estero nelle operazioni dell’impresa;
- il numero totale di persone che possono essere impiegate in un determinato settore e che sono necessarie per l’esercizio dell’attività economica;
- forme specifiche di personalità giuridica o joint venture attraverso cui l’investitore dell’altra parte può esercitare un’attività economica.
Per quanto riguarda poi trattamenti nazionali e trattamenti della nazione più favorita, sia Regno Unito che Unione Europea si impegnano a garantire agli investitori e alle imprese disciplinate un trattamento non meno favorevole rispetto ai trattamenti riservati ai propri investitori e alle proprie imprese, e rispetto a quello riservato ad investitori e ad imprese di paesi terzi.
Fatta eccezione però per alcuni particolari benefici di trattamento che derivano o da accordi internazionali per evitare la doppia imposizione fiscale, e cioè tassazione doppia in due Stati, o altre intese internazionali riguardanti la fiscalità.
In aggiunta, Regno e Unione non hanno l’obbligo di estendere all’altra parte neanche quei benefici di trattamento che vengono da misure di riconoscimento di licenze, autorizzazioni e certificazioni di persone o imprese per l’esercizio di un’attività economica; e dal riconoscimento di misure prudenziali riguardanti i servizi finanziari (punto 3 dell’allegato del GATS).
All’alta dirigenza e ai consigli amministrativi garantita la libera cittadinanza. Nuove misure anche sui contratti di licenza.
Chiaro poi nell’Accordo che né il Regno né l’Unione impongono l’obbligo per le imprese disciplinate di nominare come amministratore, dirigente o membro del consiglio una persona che abbia una specifica cittadinanza.
Inoltre, entrambe le parti dell’Accordo non chiedono che le imprese disciplinate nel proprio territorio si assumano impegni (elencati nell’ Articolo SERVIN.2.6, Capo 2, Titolo II dell’Accordo) come esportare un determinato livello o una data percentuale di beni o servizi, o assumere un determinato numero o percentuale di persone della propria parte, o ancora, raggiungere un determinato livello o valore di attività di ricerca e sviluppo nel proprio territorio.
L’Accordo poi non esige per quanto riguarda i contratti di licenza vigenti o futuri né che un’aliquota o un importo di una royalty siano inferiori a un determinato livello né viene richiesto che i contratti di licenza siano di una determinata durata. Per contratti di licenza, l’Accordo si riferisce a tutti quei contratti relativi al rilascio di licenze tecnologiche, processi produttivi o altre conoscenze proprietarie.
Nuove regole post Brexit anche per gli scambi transfrontalieri di servizi
L’Accordo tratta poi anche le misure relative agli scambi transfrontalieri di servizi forniti dai prestatori di servizi di una delle due parti all’altra rispettiva parte. Anche qui sia Regno Unito che Unione Europea non impongono limiti di alcun tipo relativamente:
- al numero di prestatori di servizi che possono prestare un dato servizio;
- al valore complessivo delle operazioni o delle attività patrimoniali nel settore dei servizi;
- al numero complessivo di operazioni di servizio o della produzione totale di servizi;
- a forme specifiche di personalità giuridica o joint venture attraverso le quali il prestatore di servizi può prestare il servizio.
Inoltre, nessuna delle due parti impone l’obbligo a chi presta determinati servizi transfrontalieri né di stabilire e mantenere un’impresa nel territorio dove presta il servizio, sia questo il Regno Unito o un Paese Membro, né tantomeno di esservi residente.
Per quanto riguarda il trattamento nazionale e della nazione più favorita, anche per lo scambio di servizi transfrontalieri viene garantito a servizi e prestatori di servizi della rispettiva altra parte un trattamento non meno favorevole rispetto a quello garantito alla propria parte e a paesi terzi.
Fatta eccezione anche in questo caso per i benefici di trattamento sopracitati in relazione alla liberalizzazione degli investimenti. Viene considerato come trattamento meno favorevole invece quel comportamento che altera le condizioni di concorrenza a vantaggio della propria parte, sia esso Regno o Unione a seconda del caso.
Tuttavia, è da notare che tutti quegli svantaggi competitivi che derivano dal carattere estero del servizio prestato nel territorio dell’altra parte, non verranno ricompensati e non sono riconosciuti come trattamento meno favorevole.
Spostamenti di lavoro: permessi dopo la Brexit gli ingressi e i soggiorni temporanei
Si passa poi alla questione relativa agli spostamenti per motivi professionali. Le attività economiche che prevedono il movimento di personale tra Regno Unito e Unione per breve durata devono quindi rispettare le nuove regole che si sono pensate rispettivamente per:
- visitatori per motivi professionali a fini di stabilimento;
- prestatori di servizi contrattuali;
- professionisti indipendenti;
- personale trasferito all’interno di una stessa società;
- visitatori di breve durata per motivi professionali.
Nuove regole per visitatori professionali a fini di stabilimento e personale trasferito all’interno di una stessa società
Regno Unito e Unione Europea autorizzano quindi, secondo l’Accordo, sia l’ingresso che il soggiorno temporaneo del personale trasferito all’interno di una società, e dei visitatori per motivi professionali a fini di stabilimento, senza imporre l’obbligo di un permesso di lavoro. Tra l’altro non è stato fissato un limite al numero totale di persone a cui è concesso l’ingresso né in qualità di visitatori per motivi professionali a fini di stabilimento né in qualità di personale trasferito all’interno di una società e impiegato da un investitore dell’altra parte.
Durante il soggiorno temporaneo nel suo territorio, garantito poi ancora una volta un trattamento non meno favorevole al personale trasferito all’interno di una società e ai visitatori per motivi professionali a fini di stabilimento di quello riservato ai propri lavoratori o ai lavoratori di paesi terzi.
La durata del soggiorno permessa è al massimo di tre anni per i dirigenti e il personale specializzato, al massimo di un anno per i dipendenti in tirocinio e al massimo di 90 giorni su un periodo di sei mesi per i visitatori per motivi professionali a fini di stabilimento.
E per visitatori di breve durata per motivi professionali?
Autorizzato anche l’ingresso e il soggiorno temporaneo ai visitatori di breve durata per motivi professionali per lo svolgimento delle attività elencate nell’allegato SERVIN-3 purché:
- i visitatori di breve durata per motivi professionali non sono impegnati in attività di vendita di beni o prestazione di servizi al pubblico in generale;
- i visitatori di breve durata per motivi professionali non ricevono per conto proprio alcuna remunerazione da fonti presenti nel territorio della parte in cui soggiornano temporaneamente.
Anche ai visitatori di breve durata per motivi professionali non è richiesto un permesso di lavoro e anche a loro è garantito un trattamento non meno favorevole di quello riservato ai propri prestatori di servizi.
La durata del soggiorno permessa è al massimo di 90 giorni nell’arco di dodici mesi.
Permesso anche l’ingresso a prestatori di servizi contrattuali e professionisti indipendenti
In relazione poi alle attività elencate nell’allegato SERVIN-4, sia Regno che Unione autorizzano l’ingresso e il soggiorno temporaneo dei prestatori di servizi contrattuali e dei professionisti indipendenti nel proprio territorio, senza limitare il numero totale a cui concedono l’ingresso. Anche per loro è previsto un trattamento non meno favorevole a quello riservato ai propri prestatori di servizi.
La durata del soggiorno permessa è limitata a un periodo complessivo non superiore a 12 mesi complessivi o alla durata del contratto, se inferiore.