
C’è anche un po’ di Fintech nella Legge di stabilità 2018
21 Dicembre 2017Prime regole per lo sviluppo delle nuove tecnologie per la finanza e il credito. L’emendamento Fintech entrato nella Legge di Stabilità 2018.
C’è un po’ di Fintech nella Legge di Stabilità 2018
Fintech entra nella Legge di Stabilità 2018 approvata oggi alla Camera e, infatti, l’emendamento presentato dal deputato Sebastiano Barbanti che introduce le prime innovazioni legislative per favorire lo sviluppo del settore esaminato nei mesi scorsi dalla apposita Commissione parlamentare.
Ecco le novità che riguardano il mondo della tecnologia applicata alla finanza personale, al credito e alle assicurazioni, e che sono entrate nella Legge:
- E’ stato eliminato l’obbligo di chiedere il codice fiscale ai cittadini stranieri che è emerso come uno dei principali ostacoli allo sviluppo dell’operatività del settore.
- La tassazione per il peer-to-peer lending non avverrà più all’aliquota marginale ma al 26 per cento, il che dovrebbe rendere molto più accessibile il mercato dei servizi finanziari, nonché contrastare il credit crunch.
In realtà l’emendamento conteneva anche altri elementi innovativi, ma solo questi due sono stati acquisiti dalla Commissione Bilancio e inseriti in Legge di Stabilità.
“Sono comunque due passi passi in avanti per un sistema Italia più aperto, più innovativo, più inclusivo – ha commentato su Facebook il deputato del Pd Barbanti, che si è speso per mesi per sostenere il mondo del Fintech – Ma certamente non è tutto e non è sufficiente. Il resto, che è ben delineato nella relazione fatta dalla Commissione Finanze, spetterà a chi verrà nella prossima legislatura”.
La relazione della Commissione Fintech, approvata la settimana scorsa, rappresenta per certi versi la summa della situazione italiana del settore, che è in grande sviluppo sebbene non abbia ancora un sua precisa definizione tecnica e giuridica. La relazione, è frutto delle audizioni di tutti i principali operatori e delle istituzioni che vi hanno competenza e prende in considerazione tutti i fenomeni che si stanno sviluppando vorticosamente nel mondo delle tecnologie applicate a finanza, credito e assicurazioni.
La digitalizzazione dei servizi finanziari infatti sta avendo un grande sviluppo e rischia di avere un enorme impatto sul mercato, sulle abitudini e sulle possibilità di operatori e consumatori in questi settori, così come è già accaduto negli ultimi anni in altri ambiti economici.
Basti pensare che appena nel 2009 il 70 per cento dei clienti svolgeva le sue operazioni bancarie allo sportello, oggi i contatti tra cliente e banca avvengono in due casi su tre tramite servizi di online banking.
Allo stesso tempo si pensi a quanto il peer to peer lending e il crowdfunding favoriscano l’inclusione finanziaria, perché agevolano cittadini ed imprese, anche se non “bancabili”, nell’accesso al credito.
Analogamente, lo sviluppo dell’Insurtech, per esempio, rende utilizzabili i big data, dal cui esame si possono ricavare profilazioni molto spinte degli assicurati.
E questi sono solo alcuni esempi, sufficienti però ad indicare la portata dei fenomeni in atto. Di qui la necessità di verificare che il sistema normativo e di vigilanza sia adeguato all’evoluzione del settore e al contempo non ne ostacoli o addirittura ne soffochi lo sviluppo.
Fintech: un forte sviluppo che richiede regole adeguate
La Relazione della Commissione Fintech, grazie alle audizioni di diverse decine di esponenti di istituzioni e di operatori del settore, ha evidenziato tutti i caratteri del settore della financial technology o Fintech, che in queti anni sta avendo un notevole sviluppo.
Si stima, ad esempio, che entro pochi anni i nuovi operatori che entrano sul mercato potrebbero riuscire ad erodere anche il 60 per cento dei profitti attualmente ottenuti dal sistema bancario “tradizionale”. Non a caso, anche in Italia, tutte le bnche degne di questo nome stanno investendo pesantemente nella Fintech.
La digitalizzazione dei servizi finanziari, in atto in tutto il mondo, investe con effetti dirompenti diversi settori economici, dal credito alle assicurazioni, dalla finanza alla gestione del risparimo.
La diffusione del robot-advice, ad esempio, potrebbe investire massicciamente la gestione via internet dei conti correnti e delle finanze personali dei piccoli risparmiatori, che rappresentano il cosiddetto mass market, creando un nuovo mercato, aumentando trasparenza e tracciabilità e magari riducendo i costi.
L’espansione dei big-data, con la raccolta, la gestione e la consultazione aperta di grandi quantità di dati, permette di delineare e segmentare in profondità consistenza, ampiezza e comportamenti di consumo di tutte le categorie presenti sul mercato.
La distruted ledger technology è la tecnologia sottostante alle motene elettroniche e virtuali, di cui la più famosa è Bitcoin, e che prevede l’esistenza di un ledger, o registro elettronico, gestito da uno o più soggetti, e in cui finisce la registrazione di tutte le transazioni digitali verificatesi tra un nodo e l’altro della rete.
E lo stesso successo di tante multinazionali cresciute nella new economy non sarebbe stato possibile senza la parallela crescita di sistemi di vendita e di pagamento “on line”.
Al contempo, l’espansione di fenomeni come il peer to peer lending e il crowdfunding hanno letteralmente creato nuovi mercati del credito e addirittura permettono l’inclusione e l’ingresso nei mercati finanziari anche a soggetti tradizionalmente esclusi.
Dalla Relazione emerge, tuttavia, che in Italia gli investimenti in Fintech siano sensibilmente minori rispetto ad altri Paesi: al momento, risultano essere pari al 5% degli investimenti dell’intera area Europa. E il Belpaese sconta la crisi strutturale dell’intero sistema bancario, ma anche i deficit di digitalizzazione del territorio e della popolazione. Inoltre, dai dati Ue si evince che l’Italia, che investe meno del 2% del Pil in Ricerca e sviluppo, è al 25esimo posto per utilizzo di tecnologie digitali, davanti a Grecia, Bulgaria e Romania.
Invece, in molti Paesi europei, del Medio oriente e asiatici, massicci investimenti pubblici e privati e la presenza di capitali di rischio hanno permesso lo sviluppo di poli di innovazione tecnologica che tengono il passo con le tradizionali capitali anglo-sassoni della new economy.
Il Fintech, per la sua crecsita, richiede dunque anche in Italia, come nel resto dell’Ue, investimenti pubblici e privati, nonché la crescita del relativo mercato, ma anche quei provvedimenti – leggi e regolamentazioni – che aiutino a frenare o a bloccare la crescita di rischi di ogni genere, compreso quelli delle frodi, del riciclaggio e di altre attività illecite.
Varie istituzioni europee, dalla Commissione all’Esma alla Bce, hanno da tempo avviato una serie di studi e analisi, approdati nel Piano d’azione per le tecnologie dei crediti al consumatore della Commissione Ue (marzo 2017) e nella risoluzione del Parlamento europeo sulle tecnologie finanziarie (maggio 2017).
Il quadro normativo italiano, rileva la Relazione, appare disegnato piuttosto sul sitema bancario tradizionale, anche se il recepimento di alcune direttive europee è intervenuto a regolamentare almeno in parte vecchi e nuovi aspetti dei sevizi di pagamento e del mercato degli strumenti finaziari.
Ma la crescita impetuosa del settore impone l’adozione o l’adeguamento di regolamentazioni sempre più favorevoli allo sviluppo del comparto Fintech, la diffusione di una adeguata educazione finanziaria sia degli operatori che dei cittadini, la corretta allocazione della proprietà dei dati, la regolamentazione del mercato dell’invoice financing e dell’Insurtech, nonché del crowdfunding e delle criptovalute.
Insomma, occorre creare, anche per via legislativa e istituzionale, nonché fiscale, un ecosistema favorevole alle innovazioni del Fintech.