
Covid19: la mutazione tra i visoni in Europa
21 Dicembre 2020Torna alla ribalta il martoriato visone d’allevamento e la sua suscettibilità a Covid19. Come per il pangolino e il pipistrello cinese, anche il visione ha dimostrato di essere un eccellente veicolo per lo spillover, il salto di specie uomo-animale-uomo. Con effetti però che potrebbero avere conseguenze gravi anche sulla suscettibilità ai vaccini in arrivo.
Andiamo per gradi. La Lav, lega anti vivisezione si batte da tempo non solo per la chiusura di tutti gli allevamenti per motivi etici e di maltrattamento e sfruttamento dei visioni, ma anche per i rischi sanitari ad essi connessi in periodo di pandemia.
I primi allarmi sui visoni da pelliccia
I primi allarmi sono scattati in Danimarca e Olanda, paesi leader in Europa nell’allevamento dei preziosi animali da pelliccia. La Danimarca è il primo produttore in Europa di pellicce di visone con 17 milioni di pelli l’anno, secondo al mondo solo alla Cina. L’approccio iniziale danese alla minaccia Covid19 tra i visoni, cominciato con i primi focolai il 17 giugno, è stato quello di non abbattere i capi. A seguito di questa strategia, da giugno a fine settembre la Danimarca si è ritrovata con 41 focolai e numerose persone, allevatori e operatori del settore, infettate dal SARS-CoV-2. Infezione proveniente dai visoni, avendo documentato lo stesso sequenziamento genetico del virus rilevato negli animali.
A inizio novembre il primo ministro danese Mette Frederiksen annuncia la decisione del governo di dovere procedere all’abbattimento in urgenza di tutta la popolazione di visoni. In un solo mese i focolai erano passati da 41 a 207 e il virus, mutato nei visoni, si era diffuso nella popolazione.
Lo stesso problema si estende all’’Olanda, che a fine agosto rende noto il divieto di allevamenti di visone da gennaio 2021, consentendo però alle strutture non infette di portare a termine l’ultimo ciclo di produzione. Alla base di questa decisione, sono le evidenze prodotte dall’Istituto Nazionale per la Sanità Pubblica e l’Ambiente circa i rischi per la salute pubblica nel mantenere attivi gli allevamenti.
In Italia sono 8 gli allevamenti intensivi
In Italia – ci comunica la Lav – secondo la mappatura da loro condotta tramite istanze di accesso agli atti a tutte le regioni, sono presenti circa 66.000 visoni in 8 allevamenti intensivi. La Lombardia ha la popolazione più alta di visoni nei 3 allevamenti presenti in provincia di Brescia (con 7.000 visoni) e Cremona (3.500 e 26.000).In Emilia Romagna ci sono 2 strutture in provincia di Ravenna (10.000) e Forlì-Cesena (2.500). In Veneto altri 2 allevamenti in provincia di Padova (10.000) e Venezia (1.000). Infine un allevamento anche in Abruzzo in provincia de L’Aquila (1.500).
Ad agosto, nell’ allevamento in provincia di Cremona, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna ha condotto test diagnostici rilevando in almeno due campioni la presenza del virus SARS-CoV-2. La notifica all’OIE – prosegue la Lav – sarà trasmessa solo il 30 ottobre, tre giorni dopo che la stessa Lav ha reso pubblica questa informazione.. A novembre poi è stata rilevata una terza positività al Covid19 su animale asintomatico. Nonostante tale evidenza, non sono stati condotti test diagnostici nelle altre 7 strutture. In Italia infatti non vengono svolti obbligatoriamente test diagnostici nei visoni di allevamento per verificare l’eventuale presenza del virus. Ciò in quanto l’indagine epidemiologica disposta dal ministero della Salute prevede l’effettuazione di tali accertamenti solo a seguito di manifestazione di sintomi ascrivibili ad infezione o in caso di incremento di mortalità in allevamento; e, comunque, sulla base della discrezionalità della ASL/ATS o del veterinario aziendale. Ad oggi, dunque, non è possibile affermare che gli allevamenti italiani di visoni non sono serbatoi del coronavirus, soprattutto dopo le positività riscontrate nel mese di agosto.
La mutazione dei visoni risponde ai vaccini?
Eppure un problema relativo al sequenziamento di questo virus in transito dall’uomo ai visioni e nuovamente dai visoni all’uomo dovremmo porcelo. Ed é un problema non da poco, all’alba di una campagna vaccinale mondiale.
Lo scorso ottobre in Danimarca é stata pubblicata una ricerca dall’Università di Aalborg e Staten Serum Institute sul sequenziamento delle mutazioni virali, che mostra che c’è stata trasmissione dal visone all’uomo, e da persone direttamente collegate agli allevamenti a persone nell’area locale. Il dott. Anders Fomsgaard, responsabile della ricerca e sviluppo sui virus presso lo stesso istituto ha dichiarato che “i visoni allevati nello Jutland settentrionale sono infettati da una variazione speciale del coronavirus e la stessa mutazione è stata trovata in persone infette nell’area.Tali mutazioni possono rischiare di rovinare il lavoro di sviluppo di un vaccino contro il coronavirus«.
Lo studio conclude che proseguire nell’allevamento di visoni durante una epidemia di Covid-19, comporta un elevato rischio per la salute pubblica. Perché? Perché a causa delle mutazioni che si verificano nella proteina spike in molte di queste varianti del virus, almeno sette – spiega l’Istituto danese – c’è il rischio che i vaccini che si stanno sviluppando con riferimento alla linea base del genoma, e che puntano ad attaccare il virus proprio dalla proteina spike, non forniranno una protezione ottimale, e comunque l’immunità di gregge alla prima infezione di Covid-19 potrà fornire una protezione inferiore contro le nuove varianti del virus.
Secondo i dati dell’OMS, dal giugno 2020, 214 casi umani di Covid19 sono stati identificati in Danimarca con varianti Sars-CoV-2 associate a visoni d’allevamento, inclusi 12 casi con una variante unica, segnalati il 5 novembre.
Tutti i 12 casi sono stati identificati nel settembre 2020 nello Jutland settentrionale, in Danimarca. I casi avevano un’età compresa tra 7 e 79 anni e otto avevano un legame con l’industria dell’allevamento dei visoni e quattro casi provenivano dalla comunità locale. Questa variante, denominata variante “cluster 5”, presenta una combinazione di mutazioni che non erano state osservate in precedenza. Le implicazioni dei cambiamenti identificati in questa variante non sono ancora ben comprese. I risultati preliminari indicano che questa particolare variante associata al visone, identificata sia nei visoni che nei 12 casi umani, ha una sensibilità moderatamente ridotta agli anticorpi neutralizzanti (ossia resistente al vaccino che ricercatori di tutto il mondo stanno sviluppando).
Un rischio per le caratteristiche immunogeniche della proteina spike
Anche l’ECDC l’agenzia europea per la prevenzione e il controllo delle malattie, ha rilasciato un documento il mese scorso sui rischi per la salute pubblica in riferimento alla diffusione del Covid19 tra i visoni di allevamento e che conferma i gravi pericoli già segnalati dalle evidenze scientifiche delle ricerche condotte dalle autorità sanitarie olandesi e danesi. L’agenzia europea ritiene infatti che la variante denominata “Cluster 5” sia potenzialmente pericolosa non perché caratterizzata da una maggiore patogenicità o trasmissibilità, ma perché potrebbe alterare le caratteristiche immunogeniche della proteina spike, andando tra le altre cose a mettere a rischio lo sviluppo di un vaccino efficace, e determinando la possibilità di reinfezione in individui già precedentemente contagiati da Sars- CoV-2
Non solo ma la stessa agenzia europea, in un ulteriore documento pubblicato ieri dal titolo «Rapid increase of a SarsCoV2 variant with multiple spike protein mutations observed in the United Kingdom» riferito alla variante inglese del virus sequenziata in questi giorni, ha considerato tre possibili cause favorenti l’inusuale alto numero di mutazioni della proteina spike nella nuova variante del Sars-CoV2.
La prima spiegazione possibile potrebbe essere la mutazione avvenuta per replicazione virale in un singolo paziente potenzialmente con risposta immunitaria ridotta. In questo caso un’esposizione prolungata al virus in un singolo individuo avrebbe potuto portare all’accumulo di mutazioni di fuga immunitaria a un tasso elevato.
La seconda ipotesi invece potrebbe essere legata, appunto, ai processi di adattamento del virus quando compie un salto di specie e viene ritrasmesso all’uomo dall’animale ospite. Come avvenuto in Cina dove il probabile fenomeno di spillover tra pipistrelli, pangolini e specie umana diedero il via all’epidemia di Wuhan nella regione dello Hubei. In questo caso invece gli animali in questione potrebbero essere proprio i visoni degli allevamenti intensivi ad aver operato una variante del virus con mutazione multiple della proteina spike.A questo proposito però i ricercatori britannici si sono affrettati a riferire all’ECDC e all’Ufficio regionale dell’OMS per l’Europa che non esisterebbe un chiaro legame epidemiologico con gli animali per quanto concerne la variante in studio tale da rendere questa ipotesi sufficientemente probabile.
In ultima analisi l’ECDC prende in considerazione la possibilità che la variante sia emersa attraverso la circolazione in paesi con copertura di sequenziamento nulla o molto bassa. Questa ipotesi, secondo l’agenzia europea sarebbe la meno plausibile perché le mutazioni casuali acquisite durante la circolazione del virus non spiegherebbero la percentuale insolitamente alta di mutazioni della proteina spike e la circolazione non rilevata per un tempo abbastanza lungo da far accumulare l’elevato numero di mutazioni.
Prevenire l’insorgenza di zoonosi
Davanti ai numerosi scenari che l’attuale contingenza apre con la nuova mutazione, restano comunque profetiche le parole del responsabile Lav area moda animal free Simone Pavesi: «Ogni singolo allevamento di visoni è un potenziale serbatoio del coronavirus; è inaccettabile che la salute pubblica venga messa a rischio per mantenere in attività queste strutture e che, a seguito dell’insorgenza di infezioni come quella da coronavirus, la ricetta proposta dal Ministro della Salute sia quella di abbattere tutto per poi tornare a fare business appena possibile. L’unico vero vaccino è prevenire l’insorgenza di zoonosi e, nel caso specifico, vietare definitivamente gli allevamenti di visoni».