
Finanza sostenibile: perché c’è anche Cassa Depositi e Prestiti.
09 Novembre 2021
La svolta della “cassaforte ” dello Stato italiano in occasione di Cop26 per sostenere gli investimenti nelle rinnovabili e i programmi di lotta ai cambiamenti climatici.
Si mobilitano anche perché non ne possono più di essere tacciate di distruggere il pianeta. “Siete contro la finanza sostenibile” hanno gridano i giovani. I cambiamenti climatici storicamente non sono nel loro core business, ma ora le istituzioni finanziarie si stanno avvicinando al problema. Muovono miliardi di dollari ed euro in tutto il mondo e in occasione di Cop 26 hanno annunciato di essere dalla parte di chi il pianeta lo vuole salvare. Finalmente, una bella accelerata, bisogna ammettere, con tanto denaro da impiegare in politiche di sostenibilità. Con la salita dei prezzi delle materie prime, petrolio e gas ai record, credo che questa volontà di essere green della grande finanza vada seguita con attenzione. Il gruppo Development Finance Institutions (DFI) in questi giorni ha firmato l’“Adaptation & Resilience Investors Collaborative” per iniziare un percorso innovativo. A sostegno di questo progetto c’è anche la Cassa Depositi e Prestiti , la “cassaforte” per eccellenza dello Stato italiano, guidata da Giovanni Gorno Tempini. Diciamola tutta: vista la determinazione del governo Draghi sulla transizione ecologica e gli ambiziosi traguardi del PNRR, ci saremmo molto meravigliati se Cdp non fosse stata al fianco delle altre importanti istituzioni finanziarie. La partita miliardaria si gioca su azioni strategiche globali per superare i limiti agli investimenti privati. Uno scenario planetario su tutto cio’ che riguarda la lotta alla CO2 e dove i soldi in circolazione faranno la differenza. La Cdp ha un potenziale enorme ed oltre a sostenere l’economia reale italiana attraverso partecipazioni e controllo in diverse attività (anche energetiche) ha il dovere di ambire ad una funzione sociale legata ad una prospettiva rigeneratrice del sistema Italia. Il suo sostegno alla transizione ecologica è centrale, ancora di più in questa stagione politica con alla guida del Paese personalità impegnate nello sviluppo sostenibile. La fase della retorica ambientalista, per fortuna, è alle nostre spalle e la concretezza ha preso il posto della demagogia.
Non poteva, quindi, Cdp non cogliere l’occasione dell’ennesimo grido d’allarme per una finanza sostenibile per curare i mali della terra ed irrobustire la parte più debole di una “maratona lunghissima”, come ha detto Barack Obama. Insieme, leggo nel documento firmato, le Banche vogliono “adottare principi comuni per rendicontare le risorse finanziarie mobilitate a favore di progetti di adattamento e resilienza in linea con le migliori pratiche del settore, attraverso un approccio graduale, puntuale e conservativo”. Per la prima volta saranno resi pubblici i volumi di risorse impegnate in progetti di adattamento e resilienza climatica. Una volta all’anno governi e cittadini dovranno sapere cosa e quanto viene messo dentro la battaglia per il clima. Si vogliono sviluppare pratiche comuni per identificare, valutare e gestire i rischi climatici fisici, in modo tale da andare tutti in una sola direzione. Cdp ci ha ricordato di essere impegnata nella Cooperazione allo Sviluppo, ma ora è pronta “fornire supporto pari a 1,4 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 5 anni”. Se i buoni propositi avranno seguito, vedremo l’Italia avere una grande parte a
“sostegno sia della mitigazione che dell’adattamento”. D’altro canto anche l’Agence Française de Developpement (AFD) è impegnata con 2 miliardi di euro all’anno sullo stesso fronte.
Cop 26- e non solo- ha messo sotto accusa gli investimenti nelle fossili e fatto riemergere vari distinguo tra Paesi. Tuttavia anche la Banca Europea per gli Investimenti ha manifestato il proprio impegno verso l’adattamento climatico. Un segnale europeo da cogliere, accanto a due istituzioni come quella italiana e francese che possono smuovere anche le altre istituzioni bancarie in un gioco serissimo. Le agenzie di stampa hanno ripreso le parole di Rémy Rioux, Amministratore Delegato del Gruppo AFD : “per le istituzioni finanziarie, valutare e gestire i rischi climatici contribuisce a sensibilizzare sull’importanza dell’identificare le vulnerabilità. e banche di sviluppo hanno una particolare responsabilità: non penalizzare i debitori più esposti focalizzandosi unicamente su un approccio basato sul rischio, ma conoscerli meglio e accompagnarli verso un percorso di adattamento di lungo termine, per contribuire a ridurne i rischi “. I rischi ambientali si abbassano con i soldi e la Adaptation & Resilience Investors Collaborative a mio parere sarà la base operativa per tenere insieme finanza e obiettivi alti. Il tempo medio-lungo ci dirà, ovviamente, se la volontà richiamata nei documenti si tradurrà in azioni concrete.
Quando si parla di affari e capitali la prudenza deve essere massima. Visti gli annunci e l’autorevolezza delle sigle (per sano nazionalismo penso alla nostra Cdp ) non é il caso di diffidare in partenza. Del resto a Glasgow il disimpegno della finanza è risuonato più volte nelle sessioni di lavoro e nei cortei di protesta. Il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres nel suo discorso ha chiesto agli investitori pubblici di unirsi agli “investitori istituzionali internazionali per trasferire i portafogli verso investimenti ad emissioni zero”. Un esempio ? Il fondo pensioni delle Nazioni Unite che ha puntato sulla riduzione di carbonio e raggiunto in anticipo le previsioni di investimento con un + 32 % netto. Un caso da studiare, su cui gli gli analisti potranno esercitarsi per capire- una volta per tutte- che le cure per il pianeta costano, ma possono anche produrre benefici.