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L’Islam è pericolo? Sì, se noi vogliamo che lo sia

L’Islam è pericolo? Sì, se noi vogliamo che lo sia

06 Febbraio 2020 0 Di Corrado Corradi

Proviamo a distinguere Islam pericoloso e Islam non pericoloso: la intima spiritualità dell’Iman è la vera discriminante tra le diverse interpretazioni della religione.

L’Islam é pericoloso?  Si, se noi vogliamo che lo sia.

Per spiegare il senso di un incipit così diretto e dal sapore paradossale procedo a lumeggiare i due estremi dell’Islam, quello pericoloso e quello col quale non si puo’ non andare daccordo.

Ovviamente, per «noi» intendo le genti, prevalentemente cristiane, che popolano quella che solo un secolo fa (ossia appena 4 generazioni) era conosciuta e rispettata come la civiltà europea, in seno alla quale ai tempi nostri un buon 10% della popolazione é musulmana.

E altrettanto ovviamente, va da sé  che per contrastare una spiritualità, quella islamica, molto sentita dai suoi fedeli che non hanno remore a manifestarla e testimoniarla attivamente, é necessario che da noi ritorni l’auditum fidei che i nostri padri avevano per la nostra fede. 

Lo spirito, anche quando non é santo, passa tra gli interstizi e riempie gli spazi vuoti e noi, a furia di pensieri oziosi, abbiamo lasciato molti spazi vuoti che l’Islam sta riempiendo.

L’Islam pericoloso

C’è un Islam che veicola le seguenti certezze:

  • come gli ebrei ritiene di essere il popolo eletto;
  • è convinto di essere chiamato da Dio a islamizzare l’orbe; 
  • guarda alle terre degli altri, i non musulmani, come «terreno» di conquista per la successiva conversione innescando così una sorta di «lebensraum» spirituale che poggia sulla «Da’wa», sulla «Takiya» e sul «jihad», ossia:
    • sulla predicazione che solleciti la militanza attiva;
    • sulla dissimulazione mirata a incistarsi senza suscitare sospetti;
    • sul combattimento mirato a tenere «sulla graticola» le popolazioni.

Con tali strumenti, e in ottemperanza ad un assunto coranico (l’Islam wahhabita vede il mondo diviso in due parti: la «dar al Islam (casa della Pace) e «dar al Harb» (casa della guerra); dovere della «dar el islam» è quello di estendersi alla dar al harb per far cessare l’intrinseco disordine amoralità che la caratterizzano.), l’Islam pericoloso persegue l’estensione dell’Islam all’orbe.

La strategia perseguita prevede:

  • nei paesi già musulmani considerati «tiepidi» un incremento della «da’wa»;
  • In Europa, l’incistamento di comunità islamiste con consuetudini autonome suscettibili poi di  inserirsi nella dinamica democratica per la creazione di partiti islamisti;
  • In entrambe le realtà geografiche il jihad svolge il compito di «presidio armato» incaricato di tenere sulla graticola la popolazione. 

Tale Islam ha il suo centro di irradiazione nella penisola arabica (sacro suolo già calpestato dal profeta dell’Islam Mohammad); risponde alla prassi religiosa wahhabita, forma di accesso fondamentalista all’Islam praticata dalla famiglia reale saudita; è propagandato da una confraternita, quella dei Fratelli Musulmani che si occupa di sovvenzionare e gestire la «da’wa» e il «jihad»…  

Wahhabiti e Fratelli musulmani sono ora antagonisti per questioni di appartenenza a differenti alleanze in seno al mondo arabo-islamico ma perseguono entrambi la stessa finalità, l’applicazione integralista della Shari’a.

Il motto della Fratellanza Musulmana recita:

«Allah è il nostro Obiettivo. Il Profeta è il nostro Leader. Il Corano è la nostra Legge. La Jihad è la nostra Via. Morire sulla via di Allah è la nostra più alta Speranza».

L’altro Islam

C’è un Islam totalmente altro, che è quello dei musulmani prevalentemente mediterranei o dei territori contigui alla parte orientale bacino del Mare Nostrum (esclusa la wahhabita Turchia di Erdogan), i quali rispondono a una logica diversa, perfettamente riassunta nel discorso di Toumliline che ha dato origine a una corrente di pensiero affermatasi e consolidatasi in Marocco nei primi anni 50, nota come l’Esprit de Toumliline, dall’omonimo monastero fondato dai Benedettini nel 1950 a Azrou (Atlante marocchino) e inaugurato dal Sovrano marocchino Hassan II, allora principe ereditario; di seguito:

«Dans ce pays que Sa Majestè le Roi espere voir devenir le trait d’union entre l’orient et l’occident, …mesdames et messieurs, vous etes chez vous. Car l’homme de bien, le croyant, l’homme honnete est partout chez lui… Alors, ce pays qui est le votre, est surtout la maison de Dieu, elle est celle de tous les croyant, celle de tous les hommes qui ont des aspirarions egaless dans un monde meilleur».

Per quanto precede, a titolo paradigmatico, si può tracciare il seguente solco tra i due Islam.

L’Islam pericoloso è quello che propugna con insistenza i famosi 5 pilastri, ossia:

  • la professione di fede (unicità di Dio);
  • la preghiera (Salat);
  • l’elemosina (Zakat);
  • il digiuno (Saoum);
  • il pellegrinaggio (Hajj).

Questi, nella realtà sono la parte presentabile dei pilastri dell’Islam che wahhabiti e Fratellanza musulmana, in ottemperanza all “takiya” sbandierano a uso e consumo di interlocutori occasionali e nemmeno troppo svegli. 

Come se una religione quale è quella islamica possa essere rappresentata nella sua universalità solo da cinque innocenti concetti così elementari… è ovvio che l’impalcatura di una simile religione poggia su speculazioni più ampie e profonde riguardanti Dio… ma anche Cesare, con tutte le ricadute giuridiche, sociali, economiche, etc che ciò comporta. 

Quando li enunciano nei talk-show davanti ad interlocutori sprovveduti come lo sono la maggior parte di quelli che si confrontano su quest’argomento, il fratello musulmano di turno ci fa sempre una gran bella figura da “bambino buono” proponendo cinque innocenti pilastri così politicamente corretti, ma ipocritamente sorvola sul fatto che un musulmano è musulmano a vita altrimenti è apostata e che l’apostasia comporta la pena capitale, ecco un pilastro, tenuto nascosto, sul quale poggia tutta la struttura dell’Islam: l’irrevocabilità, anche sul piano legale e normativo, dell’atto di fede.  

Ad esempio il membro della confraternita musulmana si guarda bene dall’evidenziare che il non musulmano che si sposa con una musulmana deve:

  • convertirsi pronunciando davanti a un notaio la formula sulla unicità di Dio (trattandosi di un pensiero consolidato nel cristiano, è facile cascare nell’inganno che sottende tale dichiarazione) 
  • cambiar nome (si chiede di abdicare al proprio nome, per abbracciarne uno evidentemente musulmano);
  • circoncidersi (ossia, assumere nella carne il marchio della diversità rispetto agli indegni). 

Essendo così diventati musulmani si è soggetti alla legge sull’apostasia (che in quei demenziali paesi dove impera il wahhabismo e/o la Fratellanza Musulmana significa pena di morte per lapidazione).

Si prenda coscienza che questa è la cifra dell’Islam che si sta affermando in Europa tramite l’empowerment portato avanti dai Fratelli Musulmani.

L’altro Islam, quello non pericoloso, é quello che, rifacendosi al precitato “esprit de Toumliline”, applica i 5 pilastri “cum grano salis” preferendo l’applicazione dello “Iman” ossia: “l’intima spiritualità” la quale prevede che il buon musulmano per essere in pace davanti al creatore, anche a fronte di una mancata applicazione pedissequa dei 5 pilastri,  debba professare nel suo intimo i seguenti principi:

  • L’unicità di Dio;
  • La fede nella sequela di tutti i profeti;
  • La certezza della promanazione dello spirito di Dio negli angeli;
  • La fede nei Libri sacri, intesi come Vecchio e Nuovo Testamento e Santo Corano;

Effettivamente ne emerge una sostanziale tendenza a mitigare la rigidità dei 5 pilastri i quali, come abbiamo visto, sono un bigliettino da visita fasullo per mascherare il fondamentalismo.

L’ «iman» costituisce quindi il discrimine tra l’Islam professato dai fondamentalisti e quello invece vissuto dalla maggioranza della popolazione musulmana…

Assunto che l’Islam è una religione in cui la sfera spirituale si confonde con quella laica, tra le tante sfumatura che caratterizzano l’Islam professato in seno ai paesi del mondo arabo-islamico, lo «iman» è un indicatore che i responsabili delle relazioni con quel mondo dovrebbero tenere da conto.

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