
Festa del Cinema 13: Il Vizio della Speranza consacra lo stile di Edoardo De Angelis
24 Ottobre 2018Dopo il successo di Indivisibili, il regista campano Edoardo De Angelis torna alla regia con Il vizio della speranza, in uscita nelle sale a novembre. Protagonista una magnifica Pina Turco, che da sola infonde vita ed energia a tutto il film. E’ la storia scarna, eppure densa di Maria, ambientata in quella zona lungo il fiune Volturno dove sono relegati i derelitti, i perdenti, i disperati di ogni sorta, come in un girone infernale. Donne e uomini in fuga da fame, guerre o semplicemente da fallimenti professionali e personali. Esseri umani in cerca di un luogo dove ricominciare a vivere.
il fiume volturno è un simbolico acheronte e maria ne è il caronte benevolo
Maria, un’infanzia violata nel giorno della sua prima comunione, si prende cura di una madre malata (l’ottima Cristina Donadio già vista in Gomorra) e del suo inseparabile cane pitbull dagli occhi dolci. Non ha sogni Maria, e la sua vita scorre lungo il fiume, ove trasporta su una barca povere donne costrette a vendere a una “madama” perfida e ingioiellata (Marina Confalone) le loro creature. La maternità surrogata, infatti, è l’ultimo business della Camorra e qui trova terreno molto fertile.
Degrado, prostituzione, baracche, stracci, corpi segnati a avvizziti. Il film di De Angelis trasuda disperazione, evidenziata anche nella scelta dei colori appassiti e della stagione invernale per raccontare questa storia di dolore ed emarginazione. Ma poi, un giorno, inaspettatamente, tutto cambia.
Nella vita di Maria piomba l’impesabile, una gravidanza impossibile che, se portata a termine, causerà la sua morte. Un evento detabilizzante e inatteso, che innesca un cambiamento irreversibile: instilla la speranza. Prima con esitazione e paura, poi con sempre maggiore consapevolezza e decisione. Grazie al figlio che porta in grembo, Maria intravede una speranza, appunto, un futuro meno disperato e farà le sue scelte di conseguenza. Anche a costo della vita.
Il film, comunque, non convince fino in fondo, non ostante il messaggio positivo. E’ il ritratto un po’ troppo esibito ed amaro di un’umanità ripiegata su se stessa, in cui molti si adagiano e che non riesce a bucare lo schermo, a risultare autentico. Il marcato simbolismo religioso evidenziato da croci, edicole votive in contrapposizione alle vite disperate appesantisce la narrazione, soprattutto nel finale e diverse riprese volutamente simboliche sono fini a se stesse e annoiano, dando poca fluidità al girato. Anche il ritmo lento, anzi sonnolento, di gran parte della pellicola non aiuta, mentre le musiche di Enzo Avitabile sono come sempre azzeccate ed energiche.