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Sanità: il buco della ricerca tappato dai privati

Sanità: il buco della ricerca tappato dai privati

06 Maggio 2025 Off Di Nunzio Ingiusto

Lo Stato spende poco, dai privati più risorse per i giovani ricercatori. Il caso della Fondazione Roche

L’Italia spende ogni anno circa  27 miliardi di euro per ricerca e sviluppo. Mette l’1,37% del PIL con una media molto al di sotto di quella europea, che è del 2,2% del PIL. Non siamo messi per niente bene,  soprattutto perché ricerca in campo sanitario vuol dire prevenzione, organizzazione, cure. E non siamo un Paese di teen ager. Il buco politico e culturale è largo. Lo riempiono i privati, i centri ricerche delle aziende, gli enti no profit. “Investire nel talento e credere nei giovani ricercatori significa scommettere sul futuro del nostro Paese” dice Mariapia Garavaglia, Presidente di Fondazione Roche, già Ministro della Sanità nel 1993. La sua Fondazione ha pubblicato un bando con 350 mila euro di dotazione. É per giovani ricercatori. Partecipano a una gara atipica in un contesto privato, con i concorrenti a presentare progetti sulla salute per aree terapeutiche dove ci sono bisogni clinici insoddisfatti. Il bando ha per titolo “ Per la Ricerca Indipendente”;  è partito e in queste ore viene studiato in tutti i particolari nella speranza di arrivare al traguardo del finanziamento.

Giunto alla 9ª edizione il bando sostiene i ricercatori under 40 che presentino progetti innovativi. Una specie di Made in Italy scientifica che intende contrastare il fenomeno della fuga dei cervelli dal nostro Paese. Tema che ci mortifica ma non ancora abbastanza, evidentemente. D’altra parte anche nella polemica politica sui tagli alla sanità di cui è paladina la sinistra il capitolo della ricerca in campo sanitario ha poco spazio.
Secondo i dati dell’ultimo Rapporto sulla Sperimentazione Clinica dei Medicinali dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) il 17,3% delle sperimentazioni cliniche autorizzate è riconducibile a studi no profit. Percentuale che riflette, appunto, il dato dei cosiddetti “cervelli in fuga” che nel pubblico non trovano spazi adeguati. Secondo l’Annuario dei ricercatori italiani all’estero, infatti, sono più di 33 mila quelli che hanno lasciato l’Italia con 14 mila di loro impegnati in dottorati di ricerca.

Un Paese che invecchia

Il supporto alla ricerca, quindi, viene da istituzioni come la Fondazione Roche che quest’anno destina il plafond a sette progetti in cinque aree terapeutiche: oncologia, ematologia oncologica, oftalmologia, neuroscienze e malattie ereditarie della coagulazione. Patologie molto invalidanti di cui bisogna tener conto soprattutto in un Paese che invecchia. “Noi siamo convinti che sostenere la ricerca indipendente sia una leva strategica per far crescere il Sistema Italia ” aggiunge Garavaglia. “È nostro dovere continuare a cercare soluzioni innovative che migliorino concretamente la vita delle persone, rispondendo con visione e coraggio alle nuove sfide della salute”. Ma lo Stato è ancora troppo impreparato per competere con la ricerca applicata in molti ambiti vincenti: dalla salute all’ambiente alle tecnologie. Il pubblico, però, si è reso spesso protagonista di vicende poco chiare sui giudizi verso ricercatori e aspiranti docenti universitari. Il privato ha preso strade diverse. La valutazione dei ricercatori che saranno premiati da Roche, a garanzia di imparzialità e terzietà è affidata all’editrice Springer Nature, leader nel mondo della ricerca e dell’educazione scientifica. Quasi tutti fanno così ed è un segnale rassicurante per gli effetti che produce. I 350 mila euro del bando di Roche si aggiungono ai 4,3 milioni di euro degli anni precedenti e che sono andati a 63 progetti di valore internazionale. Una piccola ma grande barriera per bloccare la corsa all’estero di talenti italiani. Ma ad alzarla la barriera non è lo Stato.

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