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Brexit, Gran Bretagna divisa al referendum

Brexit, Gran Bretagna divisa al referendum

22 Giugno 2016 0 Di Pietro Nigro

Brexit, i cittadini della Gran Bretagna, secondo i sondaggi, sono completamente spaccati, e per l’11 per cento incerti, sul referendum per decidere se restare nell’Unione Europea (Remain) o uscirne (leave). Infuocato il dibattito, mentre i mercati – incerti, stanno a guardare e calcolano gli eventuali danni.

Brexit, Gran Bretagna divisa al referendum

La Gran Bretagna, che ospita il più grande centro finanziario d’Europa e che è entrata nella Cee nel 1961, arriva assolutamente divisa – e per l’11 per cento incerta – il 23 giugno – al referendum in cui votare se rimanere nell’Unione europea (remain) o uscirne (leave). I massimi esponenti politici, a cominciare dal primo ministro David Cameron, si sono spesi in ogni modo e secondo le loro possibilità per scongiurare l’ipotesi considerata peggiore, soprattutto dai mercati, quella della Brexit.

Ipotesi che, per il leader euroscettico dell’Ukip Nigel Farange, sarebbe invece un “independence day” per i britannici, mentre l’Unione europea sarebbe un “cartello del grande business” che blocca l’economia del Regno Unito. Per Farange, anzi, il processo di dissoluzione dell’Unione è inarrestabile: “Anche se noi scegliamo Remain saranno la Danimarca o l’Olanda che voteranno per uscire”.

 

Il premier ha battuto il Regno palmo a palmo. Nell’ultimo giorno di campagna referendaria, insieme all’ex premier John Major è stato nell’Oxfordshire. Ed ha rilasciato u’intervista al Financial Times in cui ha detto, ancora una volta, che alla Gran Bretagna il remain conviene. A sostenerlo, mille capitani c’impresa, che hanno sottoscritto una lettera pubblicata dal Times. A dargli man forte, un po’ tutti i leader europei. Ieri, il presidente della Bce, Mario Draghi, oggi il premier uscente spagnolo Mariano Rahoy (“Brexit sarebbe una catastrofe per la Gran Bretagna e anche per l’Europa”). E perfino Matteo Renzi, che in un’intervista al Guardian ha dettop che “Visto dall’Italia, un voto per uscire dall’Europa non sarebbe un disastro, una tragedia o la fine del mondo per voi nel Regno Unito: sarebbe peggio, perché sarebbe la scelta sbagliata. Sarebbe uno sbaglio per il quale soprattutto voi, gli elettori, ne paghereste il prezzo. Chi vuole veramente che la Gran Bretagna sia piccola e isolata?”.

 

E da ultimo anche Jean Claude Juncker, il presidente della Commissione Ue.

Voglio dire agli elettori britannici che non ci sarà nessun altro tipo di negoziato dopo quello già concluso a febbraio con l’Ue dove il premier Cameron ha ottenuto il massimo di quello che poteva avere e noi abbiamo concesso il massimo di quello che potevamo dare”, ha detto oggi Juncker. E’ una cosa buona che la Gran Bretagna resti nell’Ue. Bisogna però vedere il risultato delle urne”.

 

E dopo l’acceso dibattito dell’altra sera alla Bbc, in cui anche l’ex sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson si è sperticato nel chiedere agli elettori l’Indipendence day, mentre il suo successore, Sadiq Khan, denunciava la campagna di odio scatenata dai sostenitori dell’exit, il termometro della situazione viene comunque dagli scommettitori. Il remain è dato di poco vincente, mentre il leave raccoglie comunque molte più puntate.

L’incertezza, insomma, regna sovrana, anche i sondaggi che per giorni hanno registrato sempre il testa a testa tra le due posizioni, alla vigilia hanno svoltato invece in favore del “Si” all’uscita. A questo punto, decisivi potrebbero essere gli indecisi, stimati anche al 10, 11 per cento dell’elettorato.

In caso di uscita, come già da tempo hanno fatto notare diversi esperti, lo sganciamento della Grean Bretagna non sarebbe affatto immediato, né automatico. Il governo britannico, infatti, dovrebbe negoziare con l’Unione una amplissima serie di argomenti, in un processo che potrebbe durare mesi, se non anni, e che ovviamente può produrre conseguenze molto variabili wulle modalità con cui avverrebbe il divorzio.

Nell’attesa, comunque, incerti sono soprattutto i mercati, che da mesi si interrogano sui riflessi del voto sui vari settori dell’economia e della finanza, britannica e mondiale.

 

Brexit, le conseguenze per la Gran Bretagna

Uno studio, pubblicato dalla Reuters negli Stati Uniti, esamina le conseguenze, soprattutto di ordine pratico ed anche economico, della Brexit per gli stessi britannici e per la loro economia, dove il settore bancario e finanziario sono quelli che maggiormente potrebbero risentire dello sganciamento dall’Unione.

In generale, in caso di Brexit, si creerebbe un complesso quadro di implicazioni politiche, perché il venir meno della Gran Bretagna ai processi decisionali e legislativi europei cambierebbe certamente, ed in maniera oggi imprevedibile, i delicati equilibri che si sono venuti creando negli anni nell’Unione.

 

Ma in ambito finanziario, le conseguenze, e i costi, sarebbero enormi. Basti pensare che quasi tutte le normative in vigore nel settore dei servizi finanziari della Gran Bretagna sono di fatto derivati dal diritto comunitario, anche se a volte sono state rese più severe e stringenti. In caso di Brexit, dunque, ed entro due anni, sarebbe necessario approvare ex novo l’intero quadro legislativo del settore.

Inoltre, tutti i soggetti economici britannici che svolgono attività finanziarie, siano essi banche, assicurazioni, fondi di investimento, gestioni di patrimoni o servizi di pagamento, per non parlare delle otto agenzie di rating, sono di fatto autorizzati a lavorare anche negli altri Paesi dell’Ue. In caso di Brexit, queste società potrebbero continuare a lavorare in Europa, ma solo se la Gran Bretagna entrasse nello Spazio economico europeo, insieme a Norvegia, Islanda e Lichtenstein, ma non avrebbero più alcuna possibilità di partecipare alle decisioni legislative che le riguardano e sconterebbero in ogni caso un aggravio dei costi per operare in Europa.

 

Insomma, senza “passaporto” europeo, quanto meno sarebbe necessario creare filiali e controllate nei vari Paesi solo per poter continuare ad operare, e sempre ché venga riconosciuta l’equivalenza delle regolamentazioni sui capitali delle banche tra la Gran Bretagna e l’Europa, ad esempio.

I fondi comuni di investimento gestiti a Londra, che valgono non meno di 5.500 miliardi di sterline (7,9 trilioni di dollari), rispettano, al momento, la normativa europea. In caso di Brexit, potrebbero essere più o meno rapidamente declassati e perderebbero il loro status, il che non è roba da poco se si considera che la designazione comunitaria Oicmv, Organismi di investimento collettivi in valori mobiliari), è considerato come una sorta di Gold standard in tutto il mondo, e perderlo significa per un fondo di ritrovarsi immediatamente tra gli “investimenti alternativi”.

E come se non bastasse, in caso di Brexit, verrebbero staccate tutte quelle spine, tutte quelle connessioni che oggi uniscono Europa e Gran Bretagna, dalle piattaforme di pagamento internazionale alle piattaforme informatiche per la compravendita di azioni, agli indicatori statistici come il Libor bancario.

 

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