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Considerazioni sull’uccisione del nostro Ambasciatore e del nostro Carabiniere in Congo

Considerazioni sull’uccisione del nostro Ambasciatore e del nostro Carabiniere in Congo

01 Marzo 2021 0 Di Corrado Corradi

Il nostro Ambasciatore e il nostro Carabiniere sono morti in Africa, in una zona rossa, per un evidente incidente di security.

Considerazioni sull’uccisione del nostro Ambasciatore e del nostro Carabiniere nella regione del Kivu in Congo

La morte del nostro Ambasciatore e del nostro Carabiniere, avvenuta la mattina del 22 febbraio in Congo, potrebbe sembrare quasi una banalità, perché è dal XIX secolo che i nostri uomini in Africa, ogni tanto, ci lasciano la pelle.

Infatti, se saltiamo il periodo pre e post coloniale, nonché quello della II Guerra Mondiale, atterriamo nel 1961 e scopriamo che 12 nostri aviatori sono stati massacrati a Kindu.

Se poi facciamo un altro salto e andiamo nel periodo 1993-94 nell’altra sponda dell’Africa, tra la Somalia e il Mozambico, contiamo 13 morti fra i quali un funzionario dell’allora S.I.S.Mi. e una crocerossina, e numerosi altri feriti.

Essendo amico dell’Ambasciatore Luca Attanasio evito di parlarne, perché rischio di scadere nell’agiografia. Ed essendo stato a lungo militare, rischio di scadere nell’agiografia anche nei confronti del carabiniere Vittorio Iacovacci.

Mi limito a dire che la morte di Luca è una tragedia per i suoi affetti e una perdita per l’Italia, perché era un giovane diplomatico destinato a far carriera, ma soprattutto a rendere i migliori servigi alla nostra politica estera.

Idem per la morte di Vittorio che non ho avuto modo di conoscere.

Ma avendo conosciuto molti suoi commilitoni in zone d’operazione, so di poterlo onorare per la professionalità, il coraggio e il senso del dovere.

Inoltre so che era anche lui, come me, legato a Luca da un sentimento di amicizia, e come si dice: «chi si piglia si assomiglia».

Pertanto, anche a te, caro Vittorio, una maschia stretta di mano e un A DIO! Perché è lassù, dal Padre nostro che sta nei cieli, che ci ritroveremo da uomini di buona fede.

E’ ora di capire perché li abbiamo dovuti seppellire

Sepolti con i dovuti onori due valenti uomini delle nostre istituzioni, è ora di fare il punto per capire perché li abbiamo dovuti seppellire.

E’ evidente che si è trattato di quello che in gergo viene definito “incidente di security”, ossia: il sistema di “security” di una struttura internazionale come il Word Food Program, per conto del quale l’Ambasciatore Luca Attanasio e il Carabiniere Vittorio Iacovacci si sono recati in quella regione del Congo, ha fatto acqua.

È vero che la polvere di quell’incidente è ancora in sospensione ed è difficile orientarsi quando non ci si vede bene.

Tuttavia, per esperienza professionale so che una regione come il Kivu, dove imperversano circa un centinaio di bande armate, non può che essere definita, secondo gli standard recepiti dalla security mondiale, come “Zona Rossa”.

E in “Zona rossa”, c’è poco da cincischiare, perché:

  • il dipendente che opera lì deve essere immediatamente evacuato, in quanto lì nessuno deve rimanerci;
  • se sorge la necessità di entrarci, ebbene, ci si entra dopo un accurato studio del rischio e con una scorta armata in grado di dissuadere il tipo di minaccia che lì vi imperversa.

Quanto alla responsabilità di quel tragico episodio, che in maniera evidente attiene alla “security”, ebbene, la normativa recepita internazionalmente dice che sia il rischio “safety” (incidente infortunistico), sia il rischio “security” (incidente da minaccia) sono in capo a quello che viene definito “il datore di lavoro”.

Nel caso specifico, colui per conto del quale Luca e Vittorio si sono recati, inadeguatamente protetti, in quella zona ad elevatissimo “rischio security”.

A naso, ma sarà poi un magistrato che lo determinerà, il Word Food Program.

Questo è quanto.

Noi adesso rendiamo onore ai nostri due caduti e lasciamo che le chiacchiere degli “esperti del giorno dopo” imperversino a vanvera sui media: fortunatamente presto si smorzeranno, perché “chi è morto giace e chi è vivo si da pace”.

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