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La Cassazione: Offese su Facebook? è diffamazione

La Cassazione: Offese su Facebook? è diffamazione

06 Gennaio 2017 0 Di Redazione In24

 

Pubblicata la sentenza della Prima sezione penale della Cassazione: Le offese diffuse sulla bacheca Facebook sono diffamazione aggravata dall’uso di uno strumento che raggiunge molti.

Offese su Facebook, diffamazione aggravata

I social network, Facebook in primis, sono strumenti potentissimi per comunicare, intenzionalmente o meno, con un altissimo numero di persone anche in tempo reale o comunque a stretto giro. E in questa comunicazione, tra bacheche proprie ed altrui e commenti letti e scritti un po’ dove capita, si può annidare un’offesa, lanciata troppo superficialmente all’indirizzo di chiunque non la pensi come noi, magari agevolata anche dalla mancanza di un contatto fisico diretto.

Ma un’offesa sulla bacheca Facebook non è cosa da prendere alla leggera: potrebbe trattarsi di diffamazione aggravata, e come tale ricadere nell’articolo 595 terzo comma del Codice penale. Insomma, un reato.

A stabilirlo, la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, che in una recentissima sentenza ha dichiarato senza mezzi termini che una bacheca Facebook è uno strumento potenzialmente in grado di raggiungere una notevole quantità di persone. Di qui l’aggravante.

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, terzo comma cod. pen., poiché si tratta di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, come si legge nella sentenza con cui la Cassazione ha rimandato gli atti del procedimento al tribunale competente..

Per i supremi giudici,

l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato dì coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante.

Insomma, la Cassazione va al nocciolo del problema, individua correttamente le caratteristiche di funzionamento del social network, in questo caso di Facebook, e coglie anche le implicazioni del suo utilizzo e le ricadute su una fattispecie di reato ben precisa.

E a nulla vale obiettare che Facebook non arriva automaticamente ad una vasta generalità di persone ma solo a quelle che vi sono iscritte.

“La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude che Facebook possa essere considerato un “altro mezzo di pubblicità” indicato dal Codice penale perché si possa parlare di aggravante.

Ciò perché, per la Cassazione, l’aggravante deriva non dalle possibilità di accesso pressoché di chiunque a Facebook, quanto dalle potenzialità del mezzo con cui si offende, in grado appunto di raggiungere tantissima gente ed amplificare la portata dell’offesa.

Non è più come accadeva ed accade quando la diffamazione avviene attraverso la diffusione di notizie via stampa, dunque.

La motivazione integrale della sentenza n. 50 del 2 gennaio 2017 della Prima Sezione penale della Cassazione é scaricabile dal sito www.italgiure.giustizia.it.

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