Libia e Algeria, cerchiamo di non fare come l’asino di Buridano
09 Aprile 2019L’escalation militare in Libia sembra destinata ad una rapida e già decisa conclusione. Per questo è meglio non perdere di vista quel che succede in Algeria.
Libia, l’escalation militare sembra avere esiti già decisi
E’ giusto che la Libia catturi la nostra attenzione, il reddae rationem tra Haftar e Al Sarraj é sicuramente di importanza capitale. Tuttavia, a me sembra che i giochI dietro quei due siano ormai conclusi: Donald Trump si é sfilato, facendo cosiì intendere che Haftar abbia il via libera… anche Al Sarraj sembra ce l’abbia… ma per andarsene, probabilmente dopo aver opposto un minimo di resistenza.
Tuttavia é bene non tralasciare un panorama più ampio che si annuncia ben più preoccupante: la striscia del nord ovest dell’Africa che si estende per quasi 1500 km a sud-ovest del Mediterraneo, e costituita da un paese dalle dimensioni ridotte come la Tunisia e da un altro che é un gigante (per dimensioni e per risorse energetiche), l’Algeria.
La Tunisia sta riprendendosi da una primavera araba che l’aveva ridotta ai minimi termini per l’aridità di quella stagione.
L’Algeria sta vivendo forse il peggior periodo della sua breve storia. Da febbraio, ogni venerdì, centinaia di migliaia di manifestanti scendono in piazza per dire no alla rielezione di un presidente mummificato, ma soprattutto, NO al sistema che lo ha sostenuto e NO a quello che si prepara a sostituirlo.
Per ora le manifestazioni si sono svolte in maniera ordinata senza disordini o incidenti maggiori ma la popolazione é veramente incazzata (mi si passi il termine) e il «sistema» é ostinatamente sordo… e il miscuglio si fa sempre più esplosivo.
La parola d’ordine dei manifestanti é chiara… «unica, categorica ed impegnativa per tutti» (mi si passi anche la rievocazione del laconico annuncio del Duce quando pretendeva di vincere quella che sarebbe poi diventata la Seconda Guerra Mondiale) «al Shaab yourid iskat al nidham», ossia, “il popolo vuole la caduta del sistema“; frase scandita con ritmica ripetitività da febbraio scorso ogni venerdì.
Algeria, truppe schierate alla frontiera e indifferenza alle richiese del popolo
Se la Tunisia, malgrado una grave crisi economica, pian piano si sta riprendendo, l’Algeria, o almeno, il sistema che gli algerini vogliono abbattere, sembra aver intrapreso la logica del «muoia Sansone con tutti i filistei».
Sembra incredibile infatti che una classe dirigente, a fronte di ocenaiche manifestazioni popolari di protesta che si susseguono ogni settimana, e conscia della instabilità di una regione, la Kabilia, che dai tempi della liberazione mal digerisce la cifra araba e islamica imposta dall’FLN, non abbia ancora dato una risposta alle istanze del suo popolo e, «peggio me sento», si arma per far fronte al nemico di sempre, il Marocco, dando il via ad una «display determination» delle sue forze armate proprio a ridosso della frontiera con quel paese, quasi fosse imminente un’invasione.
Va bene che l’uomo forte in questo momento é un soldato, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito algerino, Ahmed Gad Salah.
Però, anche il più incallito dei guerrafondai capirebbe che non é proprio il momento di suonare il «clairon de combat» e, da fedele servitore del proprio paese, saprebbe che non é facendo a botte con il vicino che si distoglie l’attenzione del popolo «incazzato» (mi si ri-passi il termine).
Semmai, sarebbe il momento di usare la propria credibilità (derivante anche dalla forza costituzionale di cui é depositario) per rendere giustizia al proprio popolo, che si è dimostrato oltremodo paziente e civile, inducendo una classe politica corrotta ad assumere quelle responsabilità che mai ha assunto sperperando le migliori potenzialità del paese.
Quanto a noi, europei del sud, che , attraverso il «mare nostrum» siamo in costante contatto con il Maghreb (la parte arabo-islamica del Nord-Ovest dell’Africa), faremmo bene a capire che ormai in Libia i gochi sono fatti e probabilmente vi sta prevalendo il minore dei mali, invece in Algeria i giochi sono aperti e sarebbe bene, per l’equilibrio della regione nonché per gli evidenti interessi di politica energetica, che qualcuno, possibilmente noi italiani, se ne occupasse.