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Derivati, l’Italia vuole 3 miliardi da Morgan Stanley

Derivati, l’Italia vuole 3 miliardi da Morgan Stanley

04 Luglio 2017 0 Di Pietro Nigro

Un risarcimento da 3 miliardi di euro: potrebbe chiederlo la Corte dei Conti a Morgan Stanely per i derivati venduti in Italia.

Derivati, scontro tra Corte dei Conti e Morgan Stanely

Tanti, troppi derivati, contratti rischiosissimi che Morgan Stanley avrebbe firmato con lo Stato italiano. E che hanno arrecato un danno alle finanze pubbliche che potrebbe arrivare a 4 miliardi di euro. Soldi di cui la Corte dei Conti. che da tempo sta esaminando l’impatto dei derivati sui bilanci pubblici, ora chiede conto a Morgan Stanley e ai funzionari che li hanno firmati.

I derivati sono contratti finanziari che sono stati stipulati tra la banca Morgan Stanley e il Governo italiano tra il 1995 e il 2005 ed hanno avuto una durata variabile fino al 2015. In pratica, si tratta di una sorta di assicurazione, che lo Stato ha sottoscritto per “tutelarsi” in caso di oscillazione dei tassi di interesse dei debiti a cui quei contratti sono collegati. Lo Stato cioè, oltre a prendere soldi in prestito, ha anche stipulato una assicurazione sul tasso di cambio.

Un danno per lo Stato da 3,9 miliardi di euro

Ma la Corte dei conti ha preso in considerazione il loro impatto sui conti pubblici per il sospetto che quei titoli di debito rischiosissimi siano stati un danno per le casse dello Stato, sia quando sono stati contratti che quando sono stati poi ristrutturati.

Operazione quest’ultima che risale alla fine del 2011 e l’inizio del 2012, quando il governo ha pagato a Morgan Stanley circa 3 miliardi di euro per definire la risoluzione dei contratti derivati.

L’istruttoria è stata chiusa nel 2016. E secondo la Corte dei conti pesa per almeno 3,9 milioni di euro. Parte – 1,2 miliardi – imputabili agli alti funzionari che li hanno redatti insieme alla banca d’affari: Maria Cannata, attuale responsabile del debito pubblico, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli. E parte, 2,7 miliardi appunto, imputabili proprio all’istituto finanziario Usa.

Ora, dunque, la Corte dei Conti passa all’attacco: secondo quanto rivelato dalla Reuters, i magistrati contabili hanno fatto ricorso al tribunale e la prima udienza dovrebbe tenersi nel mese di aprile 2018.

Ad ora Morgan Stanley non ha voluto commentare la notizia. Ma nell’agosto 2016, quando si è conclusa l’inchiesta dei magistrati contabili italiani e la banca ha ricevuto una proposta di transazione, ha bollato quelle pretese come del tutto infondate.

Di qui il ricorso al procedimento giudiziario, che potrebbe concludersi già nel corso del 2018.

La tesi della Corte dei conti è che le transazioni derivate stipulate tra il 1995 e il 2005 e terminate nel dicembre 2011 e gennaio 2012, dopo la crisi finanziaria mondiale 2008-2009, i tassi di interesse più bassi hanno si consentito all’Italia di ottenere prestiti sul mercato più economici, ma a prezzo di pesanti perdite sulle posizioni derivate.

La compensazione di utili e perdite, in questi casi, sarebbe un fenomeno fisiologico. Ma la procura della Corte dei conti sostiene che alcuni contratti negoziati dallo Stato italiano con Morgan Stanley erano di natura speculativa e contenevano clausole estremamente vantaggiose per la banca.

Morgan Stanley, il conflitto di interessi

Inoltre, secondo la Corte dei conti, Morgan Stanley ha avuto un conflitto di interessi, dovuto al suo doppio ruolo: da una parte infatti la banca ha venduto i derivati ​​al Tesoro, e dall’altra si è impegnata ad aiutare l’Italia a gestire le sue operazioni di finanziamento, compresa l’acquisto e la distribuzione di obbligazioni governative.

E con un danno per lo Stato italiano che in parte sarebbe imputabile alla banca e in parte ai quattro alti funzionari pubblici e ministri che quei contratti hanno stipulato. E che sono chiamati a rispondere – anche con i loro beni – per ben 1,18 miliardi di euro.

Per ora, tutti hanno scelto la via del silenzio, mentre una nota dell’Ufficio stampa del Ministero del Tesoro si limita a stabilire la piena fiducia nell’operato dei suoi dirigenti, e la certezza che il tribunale chiarirà l’intera faccenda.

 

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