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Israele, scacco matto a Re Bibi Netanyahu?

Israele, scacco matto a Re Bibi Netanyahu?

09 Giugno 2021 0 Di Rebecca Gnignati

Domenica 13 la Knesset vota la fiducia alla prima coalizione di governo senza il Likud, il partito di “Bibi” Netanyahu.

Il bilancio dell’Era Bibi, ad un passo dalla fine

Domenica 13 giugno, Benjamin “Bibi” Netanyahu dovrà affrontare quello che potrebbe rilevarsi l’ultimo scacco matto della sua carriera politica. La Knesset (Il Parlamento Israeliano) si riunirà per votare la fiducia della prima coalizione di governo formatasi senza il Likud, il partito guidato da Netanyahu, dal 2009.

Sebbene molti analisti dubitino che la coalizione guidata da Yair Lapid e Naftali Bennett riuscirà ad ottenere la maggioranza parlamentare necessaria, Israele è in un momento di svolta: per la prima volta in oltre dodici anni c’è la possibilità che lo Stato Ebraico e Benjamin Netanyahu non siano più sinonimi.

Mentre “Bibi” combatte una partita decisiva per la sua sopravvivenza politica, noi facciamo un passo indietro e analizziamo i momenti ed i temi che hanno definito l’Era Netanyahu.

Benjamin Bibi Netanyahu

Le origini di Benjamin Netanyahu

Nato a Gerusalemme nel 1949, dopo aver servito per cinque anni in Sayeret Matkal, un’unità di forze speciali dell’IDF (Israel Defence Forces, l’esercito israeliano), Netanyahu si laurea al MIT di Boston nel 1976.

Dopo essere tornato in Israele e aver ricoperto vari incarichi diplomatici, nel 1988 si candida alle legislative con il Likud e viene eletto nella 12esima Knesset.

Tranne un breve periodo di pausa dal 1999 al 2002, “Bibi” passerà i prossimi 40 anni tra i corridoi del Parlamento Israeliano e quelli dei vari Ministeri di cui é stato a capo.

Di questi quattro decenni nella macchina del potere, uno e mezzo lo passerà a correre per battere il record del premier più longevo dello Stato Ebraico, superando Ben Gurion, fondatore d’Israele, nel 2019.

L’era Netanyahu: sicurezza, sicurezza, sicurezza

Non é una sorpresa che uno dei soprannomi rifilati al premier israeliano sia “Mister Security”.

La situazione dello Stato Ebraico di cui prese le redini nel 1996 é molto lontana da quella di oggi: gli attacchi terroristi erano all’ordine del giorno.

Infatti, sin da quando era Ministro degli Esteri, Bibi ha riscritto il paradigma del conflitto israelo-palestinese in termini della sicurezza dei cittadini israeliani. 

Netanyahu, che ha diretto un Istituto contro il Terrorismo e il cui fratello é stato ucciso in un attacco, ha dichiarato guerra ai terroristi di Hamas e della Jihad Palestinese dal primo giorno del suo mandato.

Questa dichiarazione di guerra non si limita alle potenti risposte agli attacchi delle due organizzazioni, come nelle Guerre di Gaza del 2015 e del 2021, ma si traducono in precise posizioni di geopolitica regionale, come l’opposizione senza compromessi all’Iran e all’Hezbollah Libanese.

Nello stesso quadro si inscrivono le relazioni con Gaza, pressoché nulle dalla salita al potere di Hamas, e, seppure in maniera diversa, quelle con l’Autorità Palestinese.

In questo contesto, l’Israele di Bibi é stato un successo senza precedenti. Se da un lato i confini e la potenza militare israeliani non sono mai stati così forti, grazie anche allo sviluppo di Iron Dome, il sistema antimissilistico più avanzato al mondo, d’altro canto Netanyahu ha assicurato la sicurezza regionale diminuendone i conflitti armati e firmando, nel 2020, gli Accordi di Abramo con gli Emirati Arabi, allargati in un secondo momento alla normalizzazione delle relazioni con Marocco, Sudan, Bahrein e Oman.

Seppur non sia riuscito a fermare Barack Obama dal firmare l’Accordo sul nucleare Iraniano, grazie ad un’azione diplomatica su scala mondiale, Bibi ha fatto uscire Israele dalla narrativa di antagonismo agli Stati Arabi e ai loro storici Alleati (Paesi dell’ex Blocco Sovietico, ma anche Cina, India, Stati Membri dell’Unione Africana etc.) per farlo emergere come un importante attore sulla scacchiera globale.

Naturalmente, l’ossessione del premier per la sicurezza ha rallentato, se non addirittura fermato, il processo di pace tra Israele e Palestina, in panne dal 2014, anno dell’ultima guerra significativa con Gaza.

Se da un lato la diplomazia non fa progressi, certamente lo fanno gli insediamenti israeliani in Palestina. A causa anche del costo della vita nelle città israeliane, ad oggi i cittadini israeliani residenti tra la Cisgiordania e Gerusalemme Est sono circa 600 mila contro i 300 mila del 2014.

La liberalizzazione economica e la Start-up Nation

Un’altra caratteristica della leadership di Netanyahu é stata la spinta costante verso la liberalizzazione economica.

Fin dal suo mandato da Ministro delle Finanze iniziato nel 2003, “Bibi” ha combattuto la recessione dovuta alla seconda Intifada con degli importanti tagli fiscali, portando l‘aliquota massima individuale dal 64 al 44 per cento e le tasse societarie dal 36 al 18 per cento, oltre ad alzare l’età della pensione e liberalizzare le leggi sul cambio valuta.

I sostenitori di Netanyahu attribuiscono a queste riforme il boom high tech dello Stato Ebraico degli anni successivi, che è valso ad Israele il titolo di “Start-up Nation“, mentre i critici sostengono che tali politiche siano responsabili per l’innalzamento del costo della vita e per i tagli ai fondi di welfare.

Tale spinta di liberalizzazione ha avuto dei risultati positivi tangibili, difatti il PIL per capita israeliano é cresciuto del 45 per cento dal 2009 al 2019, da 27.500 a circa 40 mila dollari.

Numeri incoraggianti sono anche quelli della disoccupazione, che nel 2019 ha raggiunto il record di 4,3 per cento dal 7,5 del 2009.

Inoltre, le politiche di Bibi hanno dimostrato responsabilità fiscale, tenendo alti gli indicatori macroeconomici.

Nell’ultimo decennio, il debito pubblico israeliano é sceso dal 75 al 60 per cento del PIL, facendo crescere di conseguenza la valutazione del credito israeliano a livello internazionale.

Nel 2019, l’agenzia Standard & Poor’s ha valutato il credito israeliano come AA-, a solo 4 punti dalla valutazione massima di AAA.

L’eredità di Bibi Netanyahu

Se da un lato Bibi lascia ai suoi successori un Paese sicuramente più ricco, sicuro e vaccinato (Israele è stato il primo Stato al mondo a riaprire in sicurezza grazie alla velocissima campagna vaccinale su larga scala), d’altro canto la gatta da pelare del conflitto israelo-palestinese diventa di giorno in giorno più ingestibile ed urgente.

Dato che Bennet e Lapid hanno annunciato che il governo di coalizione da loro guidato si concentrerà sulle politiche socio-economiche, viste le loro inconciliabili opinioni sul conflitto, sembra alla fine che l’eredità di Bibi non andrà persa.

Neppure in un governo il cui unico collante è vedere la fine di Netanyahu. Difatti, concentrarsi sull’economia e ignorare la crisi del processo di pace sembrano due politiche che Bibi approverebbe a pieni voti

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